Non avremo mai la pretesa di contendere a Reggio Calabria il titolo di “capitale argentina d’Italia”, troppo è l’amore per Manu ed i suoi discendenti passati per il chilometro più bello d’Italia, né di candidarci a “provincia di Buenos Aires” (ma ci siamo andati vicino) come lo striscione che in una trasferta di una decina d’anni fa accolse la “colonia” albiceleste che giocava a Cefalù e dalla quale scappò un italoamericano che si diceva fosse abbastanza emarginato nello spogliatoio. Ma soprattutto l’ultimo FIBA Americas mi ha fatto riflettere e “suggerito” un legame davvero particolare tra la terra ed il popolo straniero che più amo in assoluto, l’Argentina appunto, e la regione dove orgogliosamente sono nato, la Basilicata. Che non solo esiste, ma è anche più vicina, almeno umanamente, alla Patagonia e alla Terra del Fuoco, di quanto si possa pensare.

Bernalda è una cittadina di neanche quindicimila abitanti nel cuore dello Jonio, ad una cinquantina di km da Taranto. Adesso la pallacanestro di alto livello è solo un lontano ricordo e non ci sarà neanche più la C che l’anno scorso qualcuno aveva generosamente portato avanti, eppure per una decina d’anni abbondanti la domenica il paese si svuota e confluisce tutto nel PalaCampagna, sorto curiosamente proprio alla fine del corso principale e pronto a trasformarsi in un catino bollente.

pubblico bernalda

C’è un pezzo di Sudamerica già nella promozione in C1, con il carioca Milton Nucci e l’argentino Matias Chahab, ma “El Alma” diventa ancor più forte nell’anno del grande slam, quando Rossi Pose e Gramajo trascinano il Touchdown ad una storica Serie B ed alla conquista della Coppa Italia di Pesaro. Un anno prima ha abbandonato la compagnia Lucas Raffaelli, espressione del volto fredda ed imperturbabile, ma tiratore micidiale e di grande pulizia ed eleganza estetica. E’ il figlio di Carlos, uno dei più grandi agenti sportivi a livello internazionale, con un illustre passato da giocatore alle spalle: dodici anni in nazionale argentina, cinque titoli argentini e un mondiale per Club con l’Obras Sanitarias, ma anche una coppa Korac con la Fortitudo Bologna.

foto Raffaelli

In B la Cestistica ci rimane ininterrottamente fino a due stagioni fa, quando dopo aver anche conquistato i playoff persi poi con Scafati, ristrettezze economiche costringono la storica società lucana a chiudere i battenti una lunga avventura in cadetteria, cominciata nel 2006 nel segno, tra gli altri, di due ragazzi arrivati da Bahia Blanca: Albano Chiarastella, attuale capitano di Agrigento (eliminata da Bernalda nella semifinale di C1 del 2006) e Dante Richotti.

Entrambi, classe ’85, arrivano appena in tempo per giocare i due campionati giovanili utili a renderli tesserabili in ogni categoria, cosa che non succede al cugino di Dante, Nicholas, più piccolo di un anno. Rovigo e Agropoli sono le tappe italiane del folletto cui nessuno in Italia – avrebbe potuto giocare solo in A – ha voluto dare una chance a livelli più alti, non immaginando che sarebbe diventato prima il giocatore più spettacolare della Liga ACB con la maglia di Tenerife, e poi entrato nei dodici della Selecciòn battuta a sorpresa solo dal Venezuela nel torneo continentale giocato in Messico un mese fa.

Dante è meno esplosivo, ma  qualità come intelligenza, altruismo e grande gestione del ritmo della gara gli permettono di costruirsi una solida carriera in Italia che l’ha portato a stabilirsi costantemente a Scauri, riportata dalla C2 alla B in due anni, conquistando la storica doppietta coppa – campionato nella scorsa stagione. “Ha un bagaglio tecnico abbastanza completo anche se,  pur avendo un buon tiro,  lo utilizza poco perché preferisce far giocare la squadra e mettere in ritmo i compagni – lo descrive il suo coach ai tempi di Bernalda Giacomo Genoveseun difensore arcigno anche a tutto campo,  bravissimo a mettere grande pressione al pari ruolo avversario, prediligendo il gioco in campo aperto,  grazie alla sua velocita nel condurre il contropiede”.

La sua permanenza a Bernalda dura solo un anno, eppure il ricordo della tifoseria è rimasto intatto ed estramamente positivo. Come quello di Pablo Filloy che però, al contrario di Richotti, in Lucania non solo è rimasto più a lungo, ma si è addirittura fermato per mettere su famiglia. Il cognome lascia poco spazio a dubbi ed interpretazioni, è il primogenito di quella dinastia che ha portato in Italia anche Ariel (adesso a Pistoia) e Demian (a Trapani dopo un anno in patria all’Atenas di Cordoba). Per comporre un trio che in un 3 vs 3 a metà campo sarebbe piuttosto temibile anche per la classe e la conoscenza del gioco di un atleta esperto e bidimensionale (poteva giocare 2-3-4, giocatore di cuore, come tutti i suoi connazionali, e fisicamente fortissimo) come Pablo, che adesso i consigli li dà dalla tribuna o dietro le quinte, nelle nuove vesti di procuratore, ma un anno scelse di decidere e risolvere così il derby di Massafra.

La saga inizia ancora prima a Potenza, quando in un’estate – siamo nel 2001 – dall’impazzita apertura delle frontiere, nella vecchia palestra Coni arrivano i primi due stranieri della storia: Matias Cisneros e Carlos Mainoldi. Il primo è un playmaker istintivo e fantasioso, nella ruota del riscaldamento ogni tanto tira la palla facendola partire dietro la schiena e al primo riconoscimento prepartita al richiamo dell’arbitro “Cisneros”, anziché “Matias”, come tutti si aspetterebbero, risponde “Diego, 10”. Eh già, l’avrete capito subito, la passione più grande ha un nome ed un cognome: Diego Armando Maradona. Ma il motivo per cui entra in questa “gallery” è la parentela: è il cognato di Leandro Palladino, “El Torito”, visto in Italia a Reggio Calabria (strano, vero?), Napoli e Novara, campione olimpico ad Atene ’04 con la Generaciòn Dorada. La sfortunata stagione potentina, chiusa con una salvezza all’ultimo turno dei playout, è il preludio ad un’esperienza italiana con poche luci, che lo vede poi vestire le maglie di Colle Val d’Elsa e San Giorgio del Sannio, prima di tornare in patria ad affiancare in tv papà Juan Daniel, noto giornalista argentino, nella conduzione di Showsport, approfondimento sportivo di Canal Canasta.

foto Cisneros

Più lunga la permanenza di Carlos, fratello maggiore di Leo, ala vista prima in Spagna a (Fuenlabrada e Saski Baskonia le ultime) e ora di nuovo in Argentina con la maglia del Quimsa.  Somiglianza a parte, basta vederlo giocare per capire come il tiro da 3 sia di casa a Canada De Gomez, ma il processo potrà dirsi completo solo quando Leo avrà imparato anche dal fratello maggiore il “ fade – away “ buttandosi indietro, la parte più importante della sua esperienza italiana, giocando in tre epoche diverse (e per quattro stagioni complessive) a Potenza e in una a Matera.

leo mainoldi

Nel secondo dei suoi tre passaggi potentini c’è anche Pablo Josè Nocioni, sul quale ci sarebbe da scrivere un articolo a parte per la miriade di aneddoti da raccontare nei tre anni in cui ho avuto la fortuna ed il piacere di essergli compagno. Tecnicamente parlando, un manuale di post basso alternato ad un più che accettabile tiro dalla media, visto solo in parte nella sua parentesi bernaldese, dove non è che lasciò un bellissimo ricordo, tanto che un successivo torneo amichevole fu sospeso proprio per eccesso d’intemperanze della tifoseria nei suoi confronti. Ben diversamente andò a Potenza, dove marchiò la prima vittoria in trasferta (ad Ostuni) con una partita da 23 + 14, facendo partire lui stesso, durante il viaggio di ritorno, il coro che aveva ascoltato qualche minuto prima al palazzetto e che non era stato granché gentile nei confronti della sua povera mamma.

Ancora meglio va la stagione successiva, quando la pattuglia di “gauchos” ne conta altri tre, Santiago Paparella, Matias Dimarco ed un altro volto che sarà abbastanza noto soprattutto al pubblico femminile.

foto Gauchos

Due episodi, in particolare, restano memorabili. Una mattina Pablo si presenta in sala pesi con la canotta originale dei Bulls del “Chapu” abbinata al pantaloncino…..del Bernalda. Durante una lunghissima trasferta in pullman a Canicattì (esatto, proprio la località che di solito si nomina per definire un posto piuttosto lontano) invece, la telefonata via Skype col fratello ha più o meno questi contenuti:

Pablo: “Stiamo andando a giocare a Canicattì, partita importante”.

El Chapu dall’altra parte: “Ah noi giochiamo domani a Los Angeles contro i Lakers”.

Quella partita negli ultimi minuti la vinciamo, come per la verità molte altre in quella stagione, in una corsa fino alla finale contro Ruvo, (dopo che nei quarti a Bernalda ci accolsero con petardi esplosi vicino lo spogliatoio e uno striscione “come può uno scoglio arginare il mare”) di cui restano memorabili le botte tra lui e Salvatore Orlando.

nocioni

Arriviamo a gara 4 sul 2-1 per noi (si, perché pur rendendomi conto di avere poco a che fare con quella squadra, ne facevo parte anche io) e il match-point in casa, sotto di uno ma con l’ultima palla in mano.

L’inizio dell’azione è complicato, ma all’improvviso Santiago Paparella trova il taglio di un compagno che a 3’’ dalla fine segna il canestro della B1, prima che proprio Nocioni costringa Ambruoso a fare passi e regalargli la palla. Non l’avete riconosciuto? È un giovanissimo (ventunenne appena) Bruno Cerella, arrivato due anni prima per dividersi tra le giovanili di Massafra e la C2 in un altro paesino lucano, Senise. La prima tappa verso lo Scudetto e il debutto in Eurolega. Partendo dall’Argentina e passando per la Basilicata.

cerella nocioni

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