Il caso del passaporto turco al “milanese” Keith Langford (Keitah Langfordoglu il suo vero nome) è solo l’ultimo di una lunga serie di naturalizzazioni quantomeno sospette nella galassia delle squadre nazionali.

Come non ricordare, tra i casi recenti più eclatanti, il pescatore di Dubrovnik Dontaye Draper in maglia croata, Andray Blatche che dopo una notte brava a Manila si è ritrovato il passaporto filippino in tasca, il buon Bo McCalebbosky figlio illegittimo di Pero Antic e di una spogliarellista di Skopje, il torero di Manresa Serge Ibaka e J.R. Holden che beve vodka con Putin inneggiando alla Grande Madre Russia.

Lo sdegno è montato più volte dalle nostre parti. Facendo finta di non ricordare che in Italia naturalizzati e passaportati sono stati parte rilevante nella nostra Nazionale da quasi trent’anni e magari proprio dopo le belle esperienze in azzurro hanno deciso di restare nel Bel Paese.

Senza andare troppo indietro nel tempo (giusto ricordare almeno Mike D’Antoni, 5 presenze in Nazionale agli Europei 1989 nei quali l’Italia chiuse 4°), è con l’ondata di oriundi sudamericani di inizio anni Novanta che il fenomeno inizia a dilagare. Tra i primi, ricordiamo German Scarone e i fratelli Mario e Silvio Gigena, ma il caso più eclatante di quegli anni venne dall’Est: Gregor Fucka. L’airone di Kranj, sloveno di nascita, arrivò in Italia giovanissimo, vestendo la casacca azzurra già a livello giovanile prima di diventare una delle colonne della Nazionale con la quale vincerà da protagonista assoluto l’argento europeo nel ’97 e l’oro nel ’99. Dopo gli anni alla Fortitudo, si è stabilito a Bologna, dove non è raro vederlo in bici tra i portici del centro. Praticamente, come me sulla Peg Perego.

Gregor Fucka e il suo sguardo tremendamente sensuale
Gregor Fucka e il suo sguardo tremendamente sensuale

Suo compagno di squadra a Spagna ‘97 era stato Dan Gay, nato a Tallahassee, provincia di Ferrara, chiamato da Tanjevic per dare sostanza al reparto lunghi azzurro. Anche lui oggi è di stanza a Bologna, dove peraltro, a 53 anni, continua a sfondare nasi ed amputare braccia nel campionato di Promozione.

Nella cavalcata verso l’oro di Francia ‘99, invece, con Fucka c’era il brasiliano Marcelo Damiao. La sua vicenda arrivò anche sui tavoli delle giustizia per delle presunte irregolarità in merito alle sue origini siciliane (a quanto pare più vere delle tette della Ventura), lui nel frattempo si è portato a casa una medaglia d’oro europeo. Che poi si è mangiato sulla strada verso il Brasile, dove è tornato a vivere.

A inizio nuovo millennio, a rinnovare la “tradizione” ci ha pensato il croato Nikola Radulovic. Sbarcò a Napoli nel 2000, rimediando un passaporto italiano al mercato nero in cambio di un rene del suo compagno di squadra dell’epoca Randy Childress. Nikola fece parte delle gloriose spedizioni azzurre a Eurobasket 2003 (bronzo) e Olimpiadi 2004 (argento), chiudendo poi la sua carriera a Scafati nel 2012.

A seguire toccò a Dante Calabria. Americano, deve la sua cittadinanza a nonno Giovanni, emigrato a metà secolo scorso in Pennsylvania. Dopo aver bruciato le retine di mezza Italia, coach Recalcati pensò a lui come il jolly decisivo nella spedizione degli Europei del 2005 in Serbia, ma non servirono a granché le sue buone prestazioni. Chiusa la carriera da giocatore nel 2011, poi se ne tornò in Usa dove nella stagione 2012/2013 fece dai vice allenatore ai Tra Heels di North Carolina, con i quali aveva vinto il titolo Ncaa 1993.

Con Calabria, Recalcati portò in Nazionale anche Joey Beard. Professione boscaiolo, passaportato anche lui grazie a un trisavolo che aveva conosciuto una commessa di origini italiane mentre era in fila al McDonald’s di Pasadena, farà in tempo a collezionare “solo” 4 presenze in azzurro prima che il buon Charlie capisse che di lui c’era bisogno come di un dietologo a casa Damiao.

L’allora ct azzurro ci riprovò con maggior successo con Richard Mason Rocca, un altro che in fatto di legna non era e non è secondo a nessuno. Lungo (sì, vabbè…) di 195 centimetri, rimarrà nella memoria per il commovente duello con Yao Ming ai Mondiali del 2006. Si narra che Yao, finito il match, se lo ritrovò nel bagno che gli faceva tagliafuori all’ingresso della doccia. Gran lottatore, amatissimo dal pubblico, non era però elemento cui si potesse chiedere di cambiare il destino di una squadra alle prese con un faticoso ricambio generazionale.

Dopo anni di ali e lunghi, nel 2011 toccò ad un playmaker, Tony “Miracle Blade” Maestranzi, provare a fare a fette le difese europee a Lituania 2011. Se avete letto il pezzo su di lui della scorsa settimana, saprete com’è andata a finire.

L’ultimo di questa carrellata è stato Travis Diener, sulla cui questione si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma già si parla, per il futuro delle Nazionale, dell’ala quest’anno in Bundesliga Angelo Caloiaro, che, a dispetto del nome, di azzurro ha giusto la custodia dell’iPhone, e il play da Villanova Ryan Arcidiacono, per il quale Pianigiani sta trattando direttamente con la Santa Sede.

Tanti nomi, tante storie, pochissimi fenomeni. E intanto i giovani azzurri si mettono in mostra nelle competizioni di mezzo mondo, conquistando medaglie e riconoscimenti. Loro sì teniamoceli stretti.

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Marco Pagliariccio

Di Sant'Elpidio a Mare (FM), giornalista col tiro dalla media più mortifero del quartiere in cui abita, sogna di chiedere a Spanoulis perché, seguendo il suo esempio, non si fa una ragione della sua calvizie.

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