di Marco Pagliariccio
foto FIBA

 

 

Ho ricevuto e preso elogi quando c’era da prenderli. Ora che arriverà la merda, perché sono sicuro che arriverà, la prendo tutta io.

Gianluca Basile alla fine di Italia-Lituania

 

Italia, Mondiali, 2006. Unisci i puntini e il pensiero vola immediatamente là, al cielo azzurro sopra Berlino, al gol di Grosso (a proposito: lo sapevate che suo fratello gioca nelle minors nostrane?), ad un popolo impazzito di gioia per la Nazionale di calcio di nuovo sul tetto del mondo dopo 24 anni.

 

Sotto sotto, quando qualche mese dopo l’impresa teutonica la Nazionale di basket guidata da coach Charlie Recalcati sbarcava in Giappone per i suoi di Mondiali, qualcuno il bis magari l’avrà pure sognato. D’altro canto, chi avrebbe immaginato gli Azzurri al bronzo europeo nel 2003 in Svezia e addirittura all’argento olimpico solo un paio di estati prima ad Atene? E poi si sa, quando i nostri partono senza speranze, con le spalle al muro, spesso riescono a tirar fuori dal cilindro colpi e capacità insospettabili…

Ma, probabilmente, qualche conto con la buona sorte dovevamo averlo lasciato aperto. E a Saitama, quel 26 agosto 2006, iniziammo a pagarlo. Un conto aperto ancora oggi, che di anni da quella partita ne sono passati 12 e mezzo.

 

Riscaldamento

Con l’anonimo Eurobasket 2005 che aveva fatto seguito alla trionfale cavalcata di Atene, il Mondiale giapponese è di fatto precluso agli Azzurri. Ma, forti dell’argento olimpico di due anni prima, l’Italia ottiene la wild card per volare in Estremo Oriente a giocarsi le proprie carte. Coach Recalcati, dopo i primi cambi nell’Europeo dell’anno precedente, dà il via vero e proprio ad un corposo ricambio generazionale, cercando di piantare i semi che, sperava, nel giro di qualche anno avrebbero dovuto riportarci in alto. Per cui, nessuno si aspetta grandi cose da una Nazionale che, di quella delle Olimpiadi 2004, può contare soltanto su tre elementi: capitan Gianluca Basile, Denis Marconato e Matteo Soragna. Sono i tre senatori che Charlie ha scelto per traghettare verso la nuova era: quella di Gigli, Mancinelli, Bargnani e Belinelli, mentre già premono alle spalle i vari Datome, Hackett, Gallinari e Aradori. A fare da raccordo un gruppo di solidi giocatori che negli anni precedenti hanno ruotato ai margini della Nazionale, come Di Bella, Michelori, Pecile e Mordente, e l’aggiunta di Rocca come naturalizzato per dare energia ad un reparto lunghi dove c’è bisogno di gente operaia per duellare con i totem di mezzo mondo.

La prima tegola, però, arriva già al momento delle convocazioni: il Mago, reduce da uno scudetto da protagonista in maglia Benetton Treviso, viene scelto al draft con la numero 1 dai Toronto Raptors e preferisce restare in America: bisogna curare al meglio lo sbarco del primo italiano in NBA dai tempi del duo Esposito-Rusconi. Un duro colpo, ma niente retromarce: meglio un Garri domani che un Galanda oggi. E allora eccoli, i 12 che arrivano in Giappone per sfidare, nel primo turno, Stati Uniti, Slovenia, Cina, Portorico e Senegal.

«Partivamo senza obiettivi particolari, anche perché quel Mondiale non ce lo eravamo guadagnati sul campo – ricorda Matteo Soragna, uno dei tre reduci dei trionfi del biennio 2003-2004 – eravamo consapevoli della squadra che eravamo, con tanti ragazzi che per la prima volta affrontavano un palcoscenico così importante: ogni cosa fosse arrivata sarebbe stata ben accetta».

Il girone sulla carta non è dei più terribili, ma verosimilmente dovrebbe regnare l’equilibrio alle spalle degli Stati Uniti, anch’essi in pieno ricambio generazionale dopo la batosta di due anni prima. «Facemmo una tournée a Seul prima di sbarcare in Giappone nella quale io personalmente feci davvero schifo – ammette candidamente uno dei protagonisti emergenti di quella Nazionale, Marco Mordente –non riuscivo a trovare le migliori sensazioni. Tutto cambiò quando arrivammo a Sapporo. Io sono un tipo molto ordinato e in quel periodo ero proprio invaghito per la cultura e la filosofia giapponese. Entrai in uno stato mentale di grande fiducia, cambiarono proprio le sensazioni. E credo fu così un po’ per tutta la squadra: creammo un gruppo davvero unito, nel quale sapevamo chi erano i go-to-guy e chi, come me, Mason e Michelori, che dovevano essere più pronti alla battaglia. Poi per me era la prima manifestazione con un ruolo importante in azzurro, ero carichissimo e giocai molto bene nel girone, come del resto tutta la squadra».

Gli Azzurri schivano tutte le insidie, ottenendo il massimo possibile e trovando ogni volta protagonisti diversi: sfiancano Yao Ming con i centimetri di Marconato, la garra di Rocca e le triple del Baso; arginano il talento incompiuto della Slovenia di Nachbar, Lakovic e un giovanissimo Dragic con i lampi del Beli e le triple di Garri e Soragna; domano con fatica l’energia del sorprendente Senegal; certificano il loro valore svelando all’America il talento di Belinelli e cedendo il passo solo nel finale al team dei giovanissimi James, Anthony, Bosh e Wade; non fanno sconti ad un Portorico in caccia della vittoria qualificazione, regalandosi il secondo posto nel girone ed un incrocio sì insidioso ma non impossibile sulla strada verso le medaglie. «La solita bella Italia», la definisce coach Recalcati dopo aver chiuso i rubinetti a Carlos Arroyo, rispedendo a casa i caraibici.

«Facemmo davvero un ottimo girone, giocando bene e mostrando quella coesione e quella grande difesa che avevamo anche negli anni precedenti– dice Soragna – la partita con gli Stati Uniti non fu diversa dalle altre per noi: riuscimmo ad esprimere quella stessa pallacanestro anche contro di loro. Poi Beli fece una partita oggettivamente di altissimo livello e quella prestazione fu determinante nel suo sbarco in NBA. Ma più in generale dimostrammo di valere come squadra: vedere, ad esempio, Di Bella mettere in difficoltà Chris Paul non è cosa di tutti i giorni».  

La Lituania ci aspetta al varco degli ottavi di finale. E sappiamo bene il perché.

 

Palla a due

Se si rigiocasse quella partita altre 10 volte, vincerebbe sempre la Lituania.

Sarunas Marciulionis qualche mese dopo la vittoria italiana nella semifinale olimpica del 2004

 

Italia e Lituania si incrociano per la prima volta in gara ufficiale dopo l’indimenticabile impresa azzurra ad Atene di due anni prima. E se l’Italia è ampiamente in ricostruzione, anche i baltici si sono presentati in Giappone in formazione largamente rimaneggiata: Stombergas ha lasciato la Nazionale, Jasikevicius sta tentando di ricavarsi il suo spazio in NBA e dice no alla madrepatria per la seconda estate di fila e anche Siskauskas e Kaukenas hanno risposto picche alla chiamata di coach Sireika. Conseguenza, i “greens” si presentano in una versione fortemente ringiovanita, pur con un tris di giocatori NBA da mettere sul piatto, Macijauskas, Songaila e Kleiza, più diversi giovani ragazzotti che tutt’oggi vediamo scorrazzare sui campi europei. Insomma, il talento non manca, anche se per una volta, probabilmente, l’Italia non parte così sfavorita. «Il ricordo del 2004 era probabilmente più vivo per loro che per noi– aggiunge Soragna – noi, avendo vinto, ce la eravamo goduta, a loro scottò tantissimo».

È ben evidente che le chiavi dell’incontro sarebbero state due: da una parte la capacità di limitare la straordinaria batteria di lunghi lituana, dall’altra quella di tenere a bada lo spauracchio Macijauskas, faro offensivo del team e unico giocatore capace di creare anche fuori dagli schemi col suo sterminato talento.

Sotto canestro, niente Marconato in avvio, Recalcati vuole subito i muscoli e la reattività di Rocca al fianco di Gigli per duellare con Songaila e Darius Lavrinovic. Ma anche Sireika teme gli azzurri e in particolare il talento di Belinelli, sulle cui tracce spedisce un giovanotto di belle speranze di nome Mantas Kalnietis. Meglio non tirare il collo a Macijauskas, che viene dirottato su Di Bella. Coach Recalcati, invece, sceglie inizialmente Mordente per far partire la staffetta che deve limitare la guardia all’epoca fresco di ritorno in Europa, dove ad attenderlo c’è un faraonico contratto con l’Olympiacos. La carta Soragna, che ad Atene era stata vincente per mettere la museruola all’ex Hornets, per il momento il ct azzurro se la tiene ben stretta in tasca. «Macijauskas era un talento incredibile, ma aveva anche una grande peculiarità a livello fisico-atletico: era sempre in movimento all’interno dei 24” dell’azione offensiva– lo ricorda così Mordente –per cui non ti lasciava respiro, non potevi lasciarlo un attimo anche perché in uscita dai blocchi era micidiale. L’unica cosa che si poteva fare per limitarlo era stargli addosso, senza staccarsi troppo neanche per gli aiuti verso gli altri. Non fu semplice, quei giocatori lì spesso e volentieri si limitano da soli, nel senso che magari è più una serata storta loro che il tuo lavoro difensivo a metterli fuori giri».

Ma, modestia a parte, il lavoro della guardia allora fresca di scudetto con la Benetton è davvero notevole ai fianchi dello spauracchio lituano. L’attacco lituano ovviamente cerca moltissimo il suo lider maximo e lo fa usando un sistema basato sulla flex offense. Ma la retroguardia azzurra in toto, non solo Mordente, è ben preparata ai ripetuti movimenti di “bloccare il bloccante” e infatti i difensori azzurri leggono alla grande le scelte dei baltici convertendole in un paio di palle rubate per altrettanti canestri.

[Mordente intuisce il taglio verso canestro di Zukauskas e rischia grosso abbandonando Macijauskas. Ma l’anticipo è secco e si trasforma in palla recuperata, con canestro 1vs0 di Rocca]

Gli Azzurri lavorano alla grande dietro, Macijauskas perfora solo una volta la retroguardia azzurra punendo mezza distrazione di Mordente ma per il resto l’esterno azzurro lo tiene egregiamente a bada e sotto canestro Rocca e Gigli fanno la voce grossissima. Purtroppo mancano i guizzi degli esterni: Di Bella è un moto perpetuo ed è in serata di grazia, ma gli altri, da Belinelli in giù, soffrono la fortissima pressione lituana, che vuole togliere il tiro delle guardie italiane, al costo di concedere qualcosa ai lunghi azzurri. E così su pick’n’roll e uscite dai blocchi Belinelli, Mordente, Basile e tutti gli altri si ritrovano spesso braccati e raddoppiati, ma si aprono praterie nelle quali trovano terreno assai fertile l’esplosività del pivot bonsai e le mani morbide del lungo che aveva fatto stropicciare qualche occhio anche in NBA: 18 dei 20 punti azzurri del primo quarto portano la firma della strana coppia in maglia bianca.

Peccato soltanto che l’Italia non riesca a capitalizzare davvero la grande mole di palloni recuperati ad una Lituania che resta in piedi solo grazie a qualche sprazzo dei suoi solisti. La trazione anteriore di Di Bella, interprete del ruolo di playmaker da arrembaggio ai limiti dell’esasperazione, mette alla frusta una Lituania che riesce a malapena a placare l’ira funesta azzurra. Gli Azzurri quando riescono a distendersi in contropiede fanno male ad un team più pesante come quello lituano. Guardare per credere:

[Di Bella spinge Kalnietis in bocca alla difesa azzurra, dalla palla persa nasce la transizione da manuale degli Azzurri conclusa con la bimane di Gigli]

Ma anche a metà campo la sofferenza degli spaesati lituani è evidente. L’aggressività sugli esterni innesca le rotazioni difensive, ma i nostri muovono la palla da manuale e trovano due facili di Marconato su un rimbalzo in attacco generato stanando la difesa in uscita sul tiro piazzato di Soragna: il 22-17 che apre il secondo periodo è il miglior momento azzurro nel match.

[Fantastica circolazione di palla italiana. Gli Azzurri guadagnano un vantaggio sulla difesa lituana in leggero ritardo nella rotazione dopo il pick’n’roll Mordente-Marconato. Il pivot serve il taglio verso canestro di Michelori, a sua volta lestissimo a ribaltare il lato per Di Bella ed il tiro di Soragna in faccia al disperato tentativo di recupero lituano. Non arriva la tripla, ma Michelori completa il suo utilissimo lavoro tagliando fuori i lunghi lituani e creando lo spazio per il rimbalzo d’attacco di Marconato, convertito in due punti facili]

«Eravamo carichissimi, coscienti del nostro valore. Ma ci mancava quella esperienza ad altissimo livello che la Lituania aveva», rammenta Mordente. Di fatto, mancherebbe solo qualche invenzione dei nostri grandi solisti per dare una prima spallata ai baltici. Ma il Basile dei 26 punti rifilati alla Cina o il Belinelli dei 25 punti contro gli USA stavolta non sembrano della partita. «Ho cercato di stare tranquillo, ma dopo i primi 2-3 errori andavo giù con la testa», dice il Baso alla fine di una partita che chiuderà con una insolita virgola. Ma non è solo lui ad intestardirsi nella parte centrale del match, quella nella quale l’Italia, invece di continuare a cercare i vantaggi che concede la tutt’altro che reattiva difesa della Lituania, sbatte contro il muro verde. Così finché la difesa regge la partita resta in bilico. Ma quando cala la guardia su Macijauskas, la classe del funambolico e sfortunatissimo talento da Klaipeda (poche settimane dopo quel Mondiale iniziò il calvario di infortuni che lo costrinse al ritiro nel 2009, a soli 29 anni) fa sfracelli tra le allargate maglie difensive azzurre.

[Tutta la classe di Macijauskas in cinque movimenti: canestro fuori equilibrio nel traffico, pick’n’roll con assist al bacio per Javtokas, tripla in transizione, tripla in faccia a Gigli, pick’n’roll spezzato tra i due difensori e appoggio mancino a battere il recupero della difesa. Risultato: Lituania da +1 a +9]

L’Italia va in tilt totale e quando Javtokas ha infilato il primo di due tiri liberi a sua disposizione con 4’01” da giocare, la gara sembra essere ormai scivolata via: il tabellone luminoso recita 66-56, ci vorrebbe un miracolo per rimetterla in piedi.

 

Il terribile contrappasso

Passa un altro minuto prima che un’Italia sulle gambe peschi il primo di una serie di insperati jolly: Mordente, fin lì silenzioso in attacco dopo un estenuante lavoro difensivo alle calcagna di Macijauskas, trova una tripla col fallo a 2’52” dalla sirena e il gioco da 4 punti richiama gli Azzurri dalla tomba. «Ho ancora negli occhi quel gioco da 4 punti perché penso sia stato l’unico della mia carriera – scherza Mordente – ricordo che segnai davanti alla nostra panchina e tutti ovviamente esultavano, ma io lanciai uno sguardo a quella lituana. L’assistente di Sireika, infatti, era Kemzura, che era il vice di Blatt da noi a Treviso. Era un modo per far capire loro che non mollavamo ma anche per me per caricarmi e salire ancora un po’ di livello». E, stando ai risultati, la tecnica funziona eccome: sulla rimessa successiva al tiro libero, la guardia della Benetton spizzica il pallone a Gustas, Di Bella se la ritrova in mano e va a depositare altri due punti: in 8” l’Italia è incredibilmente a -4 e con l’inerzia completamente rivoltata dalla propria parte. La magia del basket.

Songaila tampona le perdite con un 2/2 in lunetta, ma poi scocca l’ora di Belinelli. Sui soliti cambi difensivi, il talentino della Fortitudo prima si ritrova davanti il pivottone dei Bulls e gli spara da tre in faccia (65-68, 2’ pieni da giocare), poi nell’azione successiva fa lo stesso con Kleiza: un paio di palleggi incrociati, finta, l’ala dei Nuggets salta, tiro coi piedi sull’arco. «Se fa questo, è un fenomeno», urla a squarciagola Marco Bonamico nella telecronaca Rai. E fenomeno lo è per davvero: altri due sul tabellone luminoso e vanno più che bene perché l’Italia ora a -2 (67-69, 1’05” alla fine).

L’ultimo minuto di una partita tutto sommato tranquilla per tre quarti ma esplosa letteralmente nell’ultimo è ora nella morsa della pausa di vincere delle due squadre. Da un lato c’è una Lituania che regala occasioni su occasioni; dall’altra un’Italia che le butta sistematicamente alle ortiche.

La prima: 37” dalla sirena, Macijauskas sbaglia dall’arco il tiro che può uccidere il match, Di Bella arpiona il pallone e lancia a tutto campo una palla imprendibile per Gigli invece di cercare un tiro ragionato per pareggiare o addirittura sorpassare.

La seconda: Gustas si avventura con scarsa fortuna nel traffico dell’area italiana, rimbalzo azzurro, Belinelli si gioca l’1vs1 centrale per andare al ferro o rimediare almeno un fallo. Songaila lo abbatte senza tante premure, il talento da San Giovanni in Persiceto rientra in panchina per il timeout con il ghiaccio alla coscia, ma ora serve un 2/2 per impattare. Marco, tiratore da 85% in carriera in NBA, fallisce il primo e segnare il secondo purtroppo cambia poco: l’aggancio non si materializza, è 68-69, 7” e spiccioli da giocare e palla lituana.

La terza: Quello che accade dalla rimessa in zona d’attacco per la Lituania alla sirena sarebbe riduttivo provare a descrivere con le parole. Lasciamo spazio alle immagini.

 

La lunga notte azzurra

Nessuno di noi aveva dimenticato la sconfitta di Atene.

Oggi siamo riusciti a vendicarla.

Coach Antanas Sireika al termine del match

 

«Mi dispiacque tantissimo per Baso, sia perché al suo posto poteva esserci uno qualsiasi di noi sia perché lo ritengo tutt’ora uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi. Gli arrivarono critiche ingenerose, gente che diceva che ormai era finito come giocatore. Lui fu straordinario a dimostrare il contrario negli anni successivi a Barcellona, la dimostrazione vivente che forse a volte bisogna fermarsi un attimo prima coi giudizi e con parole troppo affrettate. Fu un grande insegnamento per me».

Proprio Basile, l’uomo che con le sue triple ignoranti aveva abbattuto i sogni lituani ad un passo dalla medaglia olimpica, chiudeva nel modo più terribile il viaggio nipponico degli Azzurri. Un colpo così duro da spingerlo a pensare di abbandonare la Nazionale, decisione che però fu poi rimandata a dopo il fallimentare Eurobasket 2007. «Più che gli errori del Baso, però, il ricordo che brucia di più è il tap-in di Lavrinovic, perché se avessimo tirato giù il rimbalzo avremmo potuto avere il tiro per vincere– finisce Soragna – in generale, ripensando oggi a quella partita resta l’amarezza per aver perso un’occasione: ma non per chi eravamo singolarmente, ma per quello che avevamo saputo dimostrare nel girone di qualificazione, giocando con solidità e personalità. Quella squadra aveva la giusta mentalità e contro la Lituania eravamo convinti di potercela giocare. E tutto sommato è andata così. Purtroppo quel rimbalzo concesso a Lavrinovic…».

«Fu una mazzata tremenda, una delle più grandi delusioni della mia carriera– fa eco Mordente – ero a pezzi dopo la partita, non volli uscire dall’hotel fino al rientro in Italia, anche se qualcuno dei ragazzi fece qualche giro. Ero arrabbiato e deluso». Anche perché quella Lituania mostrò presto tutti i suoi limiti, finendo la sua corsa ai Mondiali giapponesi qualche giorno dopo nei quarti di finale contro i futuri campioni della Spagna. «Probabilmente anche noi, vincendo, ci saremmo fermati lì. Ma avremmo dato un altro tono al nostro Mondiale: finire tra le prime otto, giocarsi i piazzamenti dal 5° all’8°, voleva dire essere al livello delle primissime. Le eliminate agli ottavi di finale, come noi, invece non avevano nemmeno un piazzamento ufficiale. Non ci fu riconoscimento per quanto di buono avevamo fatto».

Il ricambio generazionale garantì ai baltici un veloce ritorno alla competitività ai massimi livelli, una competitività tale da far diventare i verdi uno degli spauracchi azzurri per eccellenza. Ben diverso fu il discorso per la nostra Nazionale: tutt’oggi quella partita resta l’ultima gara ufficiale in una kermesse al di fuori dal Vecchio Continente, che si tratti di Mondiali o di Olimpiadi. Tra sonore batoste e percorsi incompiuti, il ritorno tra le grandi del mondo a 13 anni dalla cocente eliminazione giapponese sembra ad un passo, lo puoi quasi toccare con un dito. Non ci sarà mica ancora la Lituania a sbarrare la strada…

fiba.basketball

 

Per riguardare la partita completa, purtroppo solo con telecronaca in lituano, ecco i link da un canale Youtube che l’ha caricata nei mesi scorsi:
1° tempo https://www.youtube.com/watch?v=RNOs5zEgBVU&t=530s
2° tempo https://www.youtube.com/watch?v=vm9ID6emS6I

 

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Marco Pagliariccio

Di Sant'Elpidio a Mare (FM), giornalista col tiro dalla media più mortifero del quartiere in cui abita, sogna di chiedere a Spanoulis perché, seguendo il suo esempio, non si fa una ragione della sua calvizie.

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