articolo di Davide Giudici
illustrazione di Paolo Mainini

 

 

 

Dicembre 1991

Buio, nebbia e silenzio calano lentamente sui tetti di Reggio Emilia, prima che l’ennesimo vagito notturno interrompa bruscamente il sonno di una giovane coppia. Un bimbo di pochi mesi dorme, o meglio dormiva, abbracciato a una piccola palla da basket. I due poveri genitori, ancora una volta, aprono gli occhi e barcollano stancamente verso la culla. Ancora una volta, non riescono ad arrabbiarsi. Quando lo vedono, i loro occhi si gonfiano d’amore e, tenendosi stretti, si sussurrano al buio: 

“Ma perché questo bimbo non dorme mai?”

“È come se avesse un’energia infinita…”

Papà Leo porta a spasso il piccolo Nicolò in Piazza della Vittoria. Meglio abituarlo subito al successo…

Qualche anno prima, Leopoldo “Leo” Melli, oltre a studiare giurisprudenza e giocare nelle minors emiliane, conduce Running, una trasmissione sportiva in onda sulla tv locale Retemilia. Sono gli anni del boom del basket, la città è in luna di miele con le Cantine Riunite, la cui scalata culmina con i primi playoff scudetto del 1984. Gli ospiti che si susseguono nello studio televisivo di Leo sono quasi sempre giocatori, allenatori e dirigenti della zona, per di più calciofili e baskettari. Giunti alla terza edizione, serve un colpo ad effetto per lanciare la prima puntata dopo l’estate. Chi si potrebbe invitare?

Julie Vollertsen con la maglia della Nelsen Reggio Emilia. (foto www.fipavre.it)

 

Giugno 1979

Julie Vollertsen da Lincoln, Nebraska, a soli 18 anni viene convocata ai primi raduni della Nazionale di volley. Negli States non esisteva, né esiste, un campionato vero e proprio. I migliori giocatori entrano nel Team USA, si allenano nei Centri Federali, partecipano a Tornei e aspettano con trepidazione ogni manifestazione ufficiale. Il primo obiettivo di Julie è l’Olimpiade del 1980 a Mosca. Ma la Guerra Fredda non è mai stata così fredda e gli Stati Uniti boicottano i Giochi, impedendo ai propri atleti di partecipare nonostante le migliaia di allenamenti e altrettanti sacrifici per farsi trovare pronti all’appuntamento. Il disappunto di Julie dovrà aspettare ben quattro anni per svanire del tutto, quando, dopo altre migliaia di allenamenti e altrettanti sacrifici, i Giochi si spostano a Los Angeles. Il blocco sovietico non si presenta, Julie invece si presenta eccome. Nel girone, le ragazze del volley USA arrivano prime, battendo la Cina, che chiude seconda. S’intuisce che la vera finale sarà proprio la sfida tra le americane e le asiatiche. E infatti, nelle semifinali Julie e compagne liquidano 3-0 il Perù, mentre le cinesi fanno altrettanto con il Giappone. La finale olimpica del 1984 è indimenticabile. La Cina si dimostra più solida, ma le giovani americane tentano una rimonta disperata che fino all’ultimo tiene tutti con il fiato sospeso. Julie è la colonna portante della squadra, basta guardarla e le compagne ritrovano il coraggio per restare agganciate a quel sogno impossibile. L’impresa non si compie, ma Julie gioca una finale sontuosa che non passa inosservata.

La dirigenza di una squadra italiana di provincia si segna quel nome teutonico sul taccuino e, senza troppe aspettative, contatta la stella americana proponendole il primo, vero contratto da professionista.

Julie, dopo anni di collegiali, inizia a sognare ad occhi aperti:

“Ah, l’Italia… e perché non provare a giocare in un campionato vero?”

Julie accetta la sfida e nell’estate del 1984 atterra nel Vecchio Continente. Sono gli anni della Teodora Ravenna, che vince ben 11 scudetti consecutivi tra il 1980 e il 1991. Ma nonostante lo strapotere delle romagnole, Julie riesce a regalare a Reggio una Coppa Italia e una Coppa Cev. Dopo tre stagioni e con davanti l’ultimo anno di contratto inizia a pensare al rientro definitivo negli USA, finché una mattina di fine estate riceve una telefonata dal giovane presentatore di un’emittente televisiva locale che la vorrebbe ospite in trasmissione…

Nicolò con Mamma Julie e quella mossa con le braccia che ritroveremo più avanti…

Leo e Julie s’innamorano, si frequentano e nel 1989 si sposano. Reggio adotta definitivamente la stella americana del volley. E il 26 gennaio del 1991 arriva Nicolò, il “bambino nato campione”.

Leo e Julie nel giorno del matrimonio di Nicolò. Sullo sfondo un’ex cantante heavy-metal appassionata di chiese rinascimentali emiliane.

 

Dicembre 2009

“Buongiorno Enri”

“Papà ma che ore sono?”

“Le 7.08”

“Ma Nico non si alza?”

“Si sta allenando”

“Come allenando?! Ma è l’alba!”

“Ora che ha ripreso a giocare dopo l’operazione vuole tornare più forte di prima”

“E quindi?”

“Quindi ha deciso che d’ora in avanti si allenerà un paio d’ore prima della scuola…”

“Quello è matto…”

 

Un anno prima

La giovane Trenkwalder Reggio Emilia sfida Varese, la grande favorita alla promozione in A1. A Masnago, Galanda e compagni vogliono dare un segnale al campionato, fermando la corsa di quella banda di ragazzini “made in Reggio” che sta sorprendendo tutti a suon di vittorie. Prodotti a km zero dalla cantera reggiana, si stanno facendo largo in prima squadra i vari Masoni, Ancellotti, Campani.

E poi, soprattutto, sta spiccando il volo il “ragazzo prodigio”, quel talento cristallino che già da qualche anno è sulla bocca di tutti.
Per non dire di troppi.

Perché Nicolò Melli, molto prima di poter guidare un’auto, è già Nicolò Melli.

Ma perché?

Perché due anni prima è già stato premiato da His Airness tra i migliori prospetti mondiali della sua annata.
Perché sempre due anni prima ha firmato un importante contratto quinquennale con Adidas.
E perché ben cinque anni prima la Serie A aveva già iniziato ad assaggiarla, quando coach Frates lo ha portato in panchina contro Pesaro dopo lo stillicidio dei senior nella settimana precedente al match.

Nicolò premiato da Jordan a Milano. His Airness lo inviterà alla tappa di New York esclamando: “Come to fly with me!”

 

Ottobre 2004

La Bipop Carire Reggio Emilia ha il roster falcidiato dagli infortuni e da un virus influenzale. La trasferta di Pesaro si preannuncia a dir poco complicata, tanto che oltre agli Juniores, per sopperire alle assenze vengono convocati anche due sedicenni più che promettenti: Patrizio Verri e Andrea Ancellotti. La sera che precede la gara arriva un’altra tegola, un altro senior va ko per influenza e serve un altro giovane per presentarsi in dieci sulle rive dell’Adriatico. Dopo un breve confronto tra staff tecnico e società si decide di premiare l’impegno e la futuribilità del tredicenne Nicolò Melli.

Tre – di – cen – ne.

Il suo coach giovanile Max Olivieri, uno piuttosto avaro di complimenti, s’incarica di contattarlo:

“Nicolò, domani la Serie A gioca a Pesaro, devi venire anche tu. Ti passo a prendere così andiamo insieme.”

“Ok Max, ma oltre al mio, spero ci siano i biglietti anche per mamma, papà e mio fratello Enrico…”.

“Forse non hai capito. Sei convocato nei 12.”

Quel giorno, nonostante l’emozione fortissima di assaggiare il parquet di Serie A e in procinto di essere sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori, Nicolò si autoproclama assistente di Beppe Bellelli, storico e amatissimo massaggiatore biancorosso, assistendolo nel distribuire le borracce ai compagni assetati e raccogliendone gli asciugamani a fine gara. Nonostante questa sua prima, grande dimostrazione di intelligenza e umiltà, dopo la trasferta di Pesaro la vita di Nicolò non sarà più lo stessa.

Il suo nome inizia a circolare sempre più lontano, sempre più in alto. La fama inizia a bussare alla sua porta troppo presto, portando con sé quel carico pesantissimo di aspettative che non lo abbandonerà mai più. Chi non si sarebbe montato la testa? E invece quel ragazzino nato campione risponde con il suo grande sorriso, continuando la vita di sempre, difendendosi da tutta quella pressione con le uniche armi che conosce: impegno, talento e tanta forza interiore.

 

Aprile 2007

La formazione giovanile allenata da Andrea Menozzi ospita Treviso davanti a oltre 2.000 persone accorse al PalaBigi. In palio lo Scudetto Under 21. Sugli spalti, il coach azzurro Recalcati, Dan Peterson e tutta la prima squadra. Sul parquet, tutti i migliori prodotti del florido vivaio biancorosso. Tutti, tranne il migliore.

“Come mai non è in campo?”

“È infortunato?”

“La società non vuole rischiare di perderlo per infortunio?”

Il vero motivo di quella esclusione è tanto semplice quanto paradossale. Nicolò, nonostante i 16 anni, è già un punto fermo della prima squadra. Ma per la Finale Under 21, incredibile ma vero, non può essere schierato perché… è troppo giovane!

 

Febbraio 2008

“Oh Nico, fai poco casino che sto dormendo!”

“Scusa Enri, sono tornato ora da Caserta”

“Ma che ore sono?”

“Le 6”

“Com’è andata?”

“Bene, abbiamo vinto”

“Beato te che stamane te ne puoi stare a letto”

“Ma va! Dormo un’oretta e volo a scuola che ho un compito di latino”

“Tu sei matto!”

Il piccolo Enrico abbraccia il fratello maggiore Nicolò in uno dei rari momenti in cui non si menano.

 

Giugno 2008

Nel giugno del 2008 si disputano le Finali Nazionali Under 17 a Barletta. La Pallacanestro Reggiana affronta Desio nei quarti di finale. I biancorossi hanno la meglio dopo una vera e propria battaglia che termina solo dopo due overtime. Nella squadra lombarda c’è Riccardo Tavernelli, ora play guardia a Tortona, che nel finale si rompe il crociato. Trasportato in ospedale, dove passa la notte, la mattina seguente non fa in tempo a svegliarsi che una coppia chiede di poterlo salutare. Sono Leo e Julie, i genitori di Nicolò, che rincuorano lo sfortunato avversario del figlio augurandogli una pronta guarigione. Superata Desio, Reggio incontra la corazzata Virtus Bologna di Moraschini, Baldi Rossi e Michele Vitali, allenata dell’ex Giordano Consolini. A meno di 2’ dalla fine Nicolò ruba palla e s’invola verso il canestro, affondando una schiacciata che porta a -3 i biancorossi, ma che di fatto si rivela una trappola. Un dito resta impigliato nella retina e si spezza malamente, nonostante le sue proteste coach Olivieri è costretto al cambio e Reggio alza bandiera bianca. Il giorno successivo Nicolò non vuole sentire ragioni e fa di tutto per esserci, anche con un dito rotto, contribuendo in maniera determinante alla vittoria che vale il terzo posto. 

 

Settembre 2008

Durante un allenamento giovanile, d’improvviso le pareti della Palestra di via Cassala s’illuminano a intermittenza di lampi blu. Dal parcheggio adiacente all’impianto proviene un gran baccano. Poliziotti in divisa e in borghese entrano in palestra, seguiti da un signore elegante, alto e con gli occhiali, dal sorriso gentile. È l’Onorevole Walter Veltroni, a quel tempo Segretario del Partito Democratico, che in serata sarà ospite della Festa dell’Unità e che ha chiesto di inserire una piccola tappa sportiva nella sua agenda reggiana. L’amico Claudio Toti, Presidente della Virtus Roma, gli ha parlato tanto e bene di un ragazzino che piace a tutte le big d’Europa. L’allenamento s’interrompe, a Nicolò viene concesso di scambiare due battute con il politico romano. Che dopo i convenevoli lo saluta così:

“Allora ti aspettiamo a Roma, ok?”

L’Onorevole Veltroni informa Claudio Toti di aver convinto Melli a firmare per Roma.

Come tutti sanno, qualche anno dopo Melli imboccherà l’A1 ma invece di puntare verso Sud sceglierà Milano, con cui firma un contratto quinquennale che lo trasforma nel Capitan Futuro dell’Olimpia di Re Giorgio, affamata di vittorie dopo anni di digiuno.

La reazione di Claudio Toti dopo aver appreso la notizia della firma di Melli per Milano.

 

Dicembre 2009

A Varese, contro un pilastro della Nazionale come Galanda, stoppato senza pietà, l’astro nascente del basket italiano firma una partita mostruosa: 24 punti con 9/9 ai liberi e 38 di valutazione. I giorni che seguono sono a dir poco concitati, perché se è vero che il giovane reggiano è già seguito dagli scout NBA, quella prestazione è lo squillo di tromba che ogni carriera di un predestinato prima o poi suona. La domenica successiva il pubblico reggiano, avvolto dalla nebbia e pieno di curiosità, si incammina verso gli ingressi del PalaBigi. Tutti sperano di assistere a una conferma immediata del talento di casa. L’avversario di turno è Sassari, se Reggio vince vola in testa alla classifica.

Palla a due, nemmeno un giro di lancette e un grido di dolore gela gli spettatori.

Un banale movimento spalle a canestro provoca la rottura del crociato anteriore del ginocchio sinistro, con interessamento del collaterale interno. Giocare ad alti livelli, contro quei corpi già formati, potrebbe aver richiesto uno sforzo fisico eccessivo o era semplicemente scritto nel suo destino? Operazione pressoché immediata, prognosi di sette mesi e ovviamente stagione finita. È una mazzata durissima, non solo per lui. Reggio crolla emotivamente e precipita nei bassifondi della classifica, la società esonera Marcelletti e si affida a Ramagli per poi intervenire drasticamente sul mercato per evitare lo spettro della retrocessione. Nicolò incassa, e tanto, ma non si abbatte e replica alla cattiva sorte con le uniche armi che conosce: impegno, talento e tanta forza interiore.

 

Marzo 2010

La formazione reggiana è impegnata nelle Final Four di Coppa Italia di A2 che si disputano a Sassari. L’avversario della semifinale del Sabato è quel Veroli di un certo Kyle Hines, che infligge ai giovani biancorossi una pesante sconfitta. Il programma del weekend prevede però la gara delle schiacciate durante l’intervallo della finale domenicale. Ognuna delle 4 squadre partecipanti deve presentare un atleta. I giocatori reggiani brontolano, vorrebbero rientrare tutti dopo quella scoppola, ma qualcuno deve fermarsi per onorare l’impegno con la Lega. Nel roster non c’è nessuno che porti nel proprio bagaglio tecnico grandi doti di schiacciatore. E soprattutto nel roster non c’è nessuno che si offra volontario. Fermarsi per l’esibizione significa rientrare al lunedì pomeriggio. Si tira a sorte, capitan Boscagin estrae dall’urna improvvisata un foglietto che srotola lentamente.

“Ahi ahi, qui c’è scritto Melli”

“Ehm… ragazzi, io lunedì mattina avrei il compito di greco…”

Nessuno dei compagni si impietosisce, i patti erano chiari. E poi, quel compagno così forte ma così giovane spesso ottiene il benestare dalla società per rientrare dalle trasferte in auto con i genitori, per poter adempiere ai suoi impegni scolastici al Liceo Classico, mentre il resto del gruppo deve sorbirsi gli interminabili viaggi in pullman. Queste differenze di trattamento, seppure guidate dal buon senso, inevitabilmente provocano qualche piccolo risentimento nei compagni. 

“Ok, nessun problema, mi fermo io…”

Nicolò non vincerà la gara delle schiacciate, salterà il compito in classe di greco e rientrerà a Reggio, tutto solo, il lunedì pomeriggio.
Giusto in tempo per allenarsi con i compagni per
poi mettersi a studiare in vista di quella prova scritta che recupererà un paio di giorni dopo.

Il voto di quel compito? È scritto sul suo numero di maglia qui sotto…

 

Febbraio 2011

Dopo appena sei mesi dall’annuncio in pompa magna del trasferimento all’Olimpia, la dirigenza milanese firma il prestito di Nicolò, che viene “girato” a Pesaro per dargli l’opportunità di trovare spazio e minuti in una squadra che gioca per obiettivi meno prestigiosi. Milano nel frattempo ha esonerato Bucchi e rispolverato quel grande amore di gioventù chiamato Dan Peterson, che dopo 23 anni torna in panchina e con eccessivo pragmatismo cede il giovane Melli, ritenuto troppo acerbo per le ambizioni dei meneghini.

Il rischio di un contraccolpo psicologico è concreto. Perché dopo il grave infortunio del 2008, la carriera di Nicolò ha ripreso a correre, anche se forse appena meno di quanto avrebbe potuto senza quel maledetto crociato. La squadra più titolata d’Italia non ci aveva pensato due volte a convincere il giovane reggiano a firmare un contratto quadriennale. Il sogno di giocare per vincere scudetti e coppe si era concretizzato a soli 19 anni, ma Milano, si sa, non è la rampa di lancio ideale per i giovani italiani, e anche il talento cristallino di Nicolò paga dazio. E così, una manciata di mesi dopo aver lasciato la cittadina natale per affacciarsi alla grande metropoli con un bel carico di aspettative, rifà le valigie per tornare in provincia. Chissà quali pensieri lo avranno attraversato sulla strada verso Pesaro, quando dal finestrino scruta in lontananza i palazzi della sua Reggio, lasciata forse troppo precocemente qualche mese prima. Nicolò guarda oltre, non si abbatte e combatte quella deviazione non prevista della propria carriera con le uniche armi che conosce: impegno, talento e tanta forza interiore.

“Dai Livio, ma come si fa ad andare in giro con quei capelli?” 
La chioma di Nicolò completamente fuori controllo nei primi anni milanesi.

 

Agosto 2011

Dopo la positiva parentesi marchigiana, Nicolò torna a Milano nella stagione 2011/12. In panchina c’è il CT della Nazionale Spagnola Sergio Scariolo, chiamato a invertire il trend che vede Milano lontana dalle posizioni che contano in Eurolega e, peggio ancora, sempre sconfitta nelle finali scudetto dalla corazzata senese. Nicolò inizia a combattere la propria personalissima battaglia contro la fiducia a intermittenza che società e i vari staff tecnici gli riservano. Al termine della stagione 2014/15, conclusa con la sconfitta interna in Gara 7 nella semifinale contro Sassari, il rapporto tra Milano e Nicolò s’interrompe.

L’indimenticabile scudetto vinto un anno prima contro Siena, ben 18 anni dopo l’ultima volta per le Scarpette Rosse, è già un ricordo lontano. L’Olimpia conferma solo Gentile e Cerella, Nicolò ha bisogno di nuovi stimoli, sportivi e umani, per rilanciarsi dopo la delusione. La premiata ditta Baiesi-Trinchieri lo chiama a gran voce per continuare il progetto vincente iniziato nella piccola e deliziosa Bamberg, già campione di Germania e con sempre maggiori ambizioni in Eurolega. Lo skyline milanese lascia il posto alle guglie medievali che si stagliano tra le dolci colline bavaresi, la Città della Moda e della vita notturna, che peraltro mai lo ha minimamente distratto, viene sostituita dalla placida e sonnolenta cittadina tedesca, che per dimensioni e ritmi gli ricorda tanto la sua amata Reggio. Certo non ci sono né tortelli e né erbazzone, ma quelle salsiccette non sono niente male… E poi, soprattutto, c’è, o meglio, ci sarà, Katharina.

“Oh Zion, anche a te Nicolò ha parlato di quelle salsiccette? Io non riesco a pensare ad altro…”

Anche nel basket, le usanze tedesche sono tremendamente diverse da quelle italiane. Ad esempio, dal momento in cui viene alzata la palla a due, tutto il pubblico di casa si alza e applaude a intermittenza, senza sosta, finché la propria squadra non segna il primo canestro. E il terzo tempo a fine gara, da noi solo ed esclusivamente rugbistico, è un’abitudine apprezzata, in cui vengono invitati anche i tifosi, che possono scambiare tranquillamente due chiacchiere con i propri beniamini, prima di richiedere il selfie d’ordinanza. Sarà proprio durante uno di questi terzi tempi che i pensieri di Nicolò non riusciranno più a liberarsi di quel sorriso dolce che lo ha appena ringraziato per l’autografo. Nel frattempo cerca di apprendere i primi rudimenti della lingua tedesca grazie a Marco, un insegnante di lingue veneziano con cui stringe ben presto amicizia. È un bravo insegnante, non c’è che dire, ma soprattutto conosce quella ragazza che continua a ronzargli in testa. E si rivela davvero un grande amico quando lo invita a uno spettacolo teatrale.

Nicolò sente aria di “combinozzo”. Poco importa, l’importante è che ci sia Katharina. Quella sera i due finalmente si ritrovano e da quel momento, passando per Istanbul, New Orleans, Dallas, fino al ritorno a Milano, non si lasceranno più.

 

Luglio 2019

“Eppure io questo l’ho già visto”

“Anche io”

“Ha una faccia che mi dice qualcosa”

“Anche quella chioma bianca ha un non so che di familiare”

“Sarà un bancario, così elegante”

“Sto impazzendo, sono sicuro di conoscerlo”

“Dici? Mmmm, quelle Converse sotto l’abito non credo siano ben accette in banca”

“A proposito di scarpe, ne ha una slacciata”

“Meglio farglielo notare, prima che inciampi”

“Ehm, mi scusi, faccia attenzione, ha una scarpa slacciata”

“Come? Ah si, grazie”

“Oh mio Dio”

“Cosa?”

“No dai, non può essere”

“Ma cosa?”

“Non ci credo, ma cosa ci fa qui a Reggio?”

“Si può sapere cosa stai farfugliando?”

“Guardalo bene, ora che si è piegato per allacciarsi la scarpa sta cambiando colore!

“Cazzo ma è… è….”

“Sta diventando tutto rosso, paonazzo!”

“È proprio lui!”

 

Giugno 2021

Un altro sogno dell’ex bambino prodigio, dopo essere stato il settimo italiano di nascita ad approdare in NBA, dopo essere stato il primo italiano a vincere tre titoli in altrettanti paesi, sta per avverarsi. Per capitanare un gruppo ringiovanito lanciato verso la “mission impossible” di vincere il pre-Olimpico, l’Italbasket sceglie Melli. Tutti pazzi per Nicolò, il nuovo capitano azzurro.

Dopo la prima stagione a Bamberg, la “Melli-mania” è cresciuta anno dopo anno. Amato dai coach per la sua intelligenza sopraffina sul parquet, amato dai presidenti per la sua immagine pulita, amato dai giornalisti per la sua capacità espositiva altamente sopra la media, amato dai compagni per il suo atteggiamento da gregario nonostante sia una stella, amato dai tifosi per la grinta con cui affronta ogni gara. Ma riavvolgendo il nastro della sua carriera, chi meglio di lui sa che le cose non sono andate sempre così.

L’ingresso nelle rotazioni di una squadra di Serie A da adolescente, con la constatazione delle sue ovvie lacune fisiche, ha visto germogliare i primi dubbi. La rottura del crociato a 18 anni, a una settimana di distanza dal primo grande exploit tra i professionisti, ha seminato altro scetticismo tra gli addetti ai lavori. Le difficoltà del primo periodo milanese gli hanno affibbiato l’antipatica etichetta di eterna promessa mai del tutto esplosa. E alzi la mano chi, alla notizia del suo trasferimento in Germania, non ha interpretato quella scelta come una sorta di fuga dai grandi palcoscenici.

Il resto della sua straordinaria storia sportiva è cosa nota, ma ricordiamoci sempre che ogni successo di chi è condannato a vincere fin da bambino vale almeno il triplo.

Quella mossa con le braccia l’abbiamo già vista?  (Photo by Srdjan Stevanovic/Getty Images)

Passano pochi mesi e a Nicolò viene consegnato il Primo Tricolore, la massima onorificenza per un cittadino di Reggio Emilia. Nel frattempo sono successe un bel po’ di cose. La sua Italbasket ha vinto il pre-Olimpico sorprendendo tutti, soprattutto la strafavorita Serbia, sconfitta a Belgrado in una partita che è già entrata nella storia della pallacanestro italiana. Gli azzurri, che hanno dunque strappato il pass per le Olimpiadi di Tokyo, se la sono giocata alla pari con le squadre migliori del pianeta, riavvicinando i tifosi alla Nazionale dopo anni di delusioni. E coach Messina lo ha convinto a rinunciare all’NBA, e ai relativi contratti, per incarnare lo spirito dell’Olimpia e diventarne il simbolo, oltre che la spina dorsale.

Al termine della cerimonia, tenutasi nella stessa sala in cui il il 7 gennaio 1797 vennero decisi i colori della nostra bandiera, racconta:

“A quel ragazzino con il borsone a tracolla di 20 anni fa dico:
ecco, vedi, forse quella volta avresti potuto fare una scelta diversa.
Ma in fondo non sarei qui senza le scelte che ho fatto.
E poi ho una famiglia stupenda e una figlia splendida.
Oggi ho ricevuto anche questo riconoscimento.
Alla fine non è andata poi tanto male, no?”

No Nico, non è andata per niente male!

Nicolò riceve il Primo Tricolore circondato dalla famiglia.

 

Febbraio 2022

Buio, nebbia e silenzio calano lentamente sui tetti di Reggio Emilia, prima che l’ennesimo vagito notturno interrompa bruscamente il sonno di una giovane coppia. Una bimba di pochi mesi dorme, o meglio dormiva, abbracciata a una piccola palla da basket. I due poveri genitori, ancora una volta, aprono gli occhi e barcollano stancamente verso la culla. Ancora una volta, non riescono ad arrabbiarsi. Quando la vedono, i loro occhi si gonfiano d’amore e, tenendosi stretti, si sussurrano al buio: 

“Ma perché questa bimba non dorme mai?”

“È come se avesse un’energia infinita…”

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