Sarà che le ferie sono vicine. Sarà che l’ultima volta che l’Italia era in campo Garri schiacciava in testa a Duncan. Sarà anche che da quell’anno gli Usa non hanno più perso una partita a cinque cerchi. Ma l’avvicinamento al torneo olimpico dalle nostre parti è stato finora abbastanza silenzioso. Proviamo a porre rimedio dando uno sguardo alle 12 squadre che si contenderanno l’oro alla Carioca Arena di Rio de Janeiro a partire da sabato sera, quando (ore 19.15) Australia e Francia battezzeranno il torneo. Enjoy!

 

LO SQUADRONE CHE TREMARE IL MONDO FA

(di Eugenio Agostinelli)

Diciassette presenze ai giochi olimpici, 17 medaglie: 14 ori, un argento e due bronzi. In 50 apparizioni totali nei vari tornei per Nazionali, sono 33 gli ori conquistati. Il fallimento di Atene 2004, dove arrivò un bronzo alle spalle pure degli Azzurri, è stato un evento più unico che raro, e da quel momento la federazione americana ha lavorato facendo in modo che non potesse succedere un altro evento di tale gravità. E con i risultati delle ultime edizioni tra Olimpiadi e Mondiali, direi che gli effetti sono stati decisamente buoni. Quattro anni fa, alle Olimpiadi di Londra 2012, il record di punti realizzati in una partita: 156 contro la Nigeria, dove Carmelo Anthony ne mise 37 in 14 minuti con 10/12 da 3. Così, tanto per…

In ogni competizione, Team Usa ha un solo obiettivo: imbarcarsi al ritorno per gli States con l’oro al collo. Anche quest’anno partono da favoriti, sebbene le rinunce siano state tante (troppe?), come ad esempio quelle illustri di LeBron James, Stephen Curry e Chris Paul e quelle meno attese di Russell Westbrook e Kawhi Leonard, per citarne solo alcuni. E no, non c’entra niente la Zika. Ma Mike Krzyzewski di certo non starà piangendosi addosso, perché (ovvietà fra 3… 2… 1…) il panorama cestistico americano offre delle alternative che, seppur non dello stesso livello dei sopracitati, sono pur sempre funzionali al basket di Coach K e superiori di una spanna o due alle altre selezioni nazionali che gli si porranno di fronte.

La point guard titolare sarà Kyrie Irving, fresco di titolo Nba coi suoi Cavaliers e prode scudiero di Coach K, che lo ha avuto per le mani a Duke. Uncle Drew si dividerà i minuti con Kyle Lowry, anch’egli reduce da un’ottima stagione (con lieve flessione nel finale) ai Raptors. Poi il capitolo esterni: qui, più che fare una selezione, a coach K sarebbe bastato prendere un foglio con tutti i nomi disponibili, una penna, bendarsi e cerchiare a casaccio i nomi da portare (si scherza eh). Già la coppia Kevin Durant-Carmelo Anthony fa male a leggersi, figuriamoci a giocarci contro…

Il coach dei Blue Devils non ha voluto e potuto fare a meno di portare con sé un tiratore scelto come Klay Thompson, che garantisce punti a multipli di 3 ed una difesa sull’1vs1 ai limiti dell’invalicabile, e si completa alla grande con due attaccanti puri come Anthony e Durant, nonché suo futuro compagno di squadra.

Jimmy Butler e DeMar DeRozan sono le altre due shooting guards che si giocheranno un posto da titolare con il fromboliere degli Warriors, in un tris di guardie che da sole potrebbero bastare per sbarazzarsi di 6/7 rivali. Si parla tanto delle rinunce dei big, ma analizziamo un attimo la situazione di questi 3 giocatori: Thompson è uno dei componenti della squadra più attrezzata dell’NBA, Butler e DeRozan sono i volti di due franchigie come Chicago (su stessa ammissione di Dwyane Wade) e Toronto. Io non li chiamerei “seconde scelte” così a cuor leggero.

In posizione di ala, oltre a Durant ed Anthony, ci sono Harrison Barnes, versatile come pochi in questa squadra e nell’intera NBA, e due All Star a tutti gli effetti: Draymond Green e Paul George. Prendiamo la macchina del tempo e torniamo un attimo indietro nel tempo, per guardare la storia di PG13: l’ala dei Pacers, soltanto due anni fa, fu vittima di un tremendo infortunio alla gamba destra scontrandosi contro un sostegno del canestro, proprio durante una partitella amichevole della selezione di Team USA contro la squadra delle riserve in preparazione dei Mondiali (la visione del video NON È ADATTA ai deboli di cuore, immagini sensibili). Ora, il prodotto di Fresno State avrà la possibilità di riprendersi quello che il destino gl’aveva beffardamente tolto 2 estati orsono. E Coach K, dato che il tasso di illegalità della squadra era troppo basso, lo ha addirittura provato come playmaker in un quintetto leggermente (potete ridere) alto.

Sotto canestro due dei migliori lunghi che la Nba ha da offrire al momento. DeMarcus Cousins, una guardia nel corpo di un centro, è l’elemento più imprevedibile della selezione, in grado di illuminare i suoi compagni con assist ai limiti del pensiero umano o dominare con movimenti poetici lungo il fondo. Insomma, fa più danni lui (per gli altri) della classica grandine nel vigneto.

DeAndre Jordan è l’esatto contrario, e per questo Coach K li ha voluti entrambi. Due giocatori con caratteristiche diametralmente opposte, ma che possono dare alla squadra tutto ciò di cui ha bisogno: punti, assist ed imprevedibilità il primo; stoppate, rimbalzi e buona difesa il secondo (non di certo precisione dalla lunetta).

Insomma, anche quest’anno Team USA alle Olimpiadi sarà la squadra da battere. Ma non fateli cantare, che poi Melo s’arrabbia.

Melo ain’t having it…😂

Un video pubblicato da DeMar DeRozan (@demar_derozan) in data:

 

FORTRESS EUROPE

(di Marco Pagliariccio)

Ovviamente, per Team Usa i rischi maggiori arriveranno dalle truppe europee. Non a caso Spagna, Lituania, Francia e Serbia occupano rispettivamente 2°, 3°, 5° e 6° posto nel ranking Fiba, con la Croazia zavorrata dai risultati in chiaroscuro al 12° posto. È però sempre il ranking Fiba, che tiene conto dei risultati negli ultimi due cicli olimpici, a rendere eloquente la distanza siderale tra quelle che possiamo considerare le principali pretendenti al podio e la favorita indiscussa: se gli Usa comandano a punteggio pieno (1000 punti), alle sue spalle la Spagna insegue con 715 punti, la Lituania si ferma a 457, Serbia e Francia si attestano rispettivamente a 379 e 353 e la Croazia addirittura a 179.
La regolarità ad alto livello (con l’unico neo della stecca clamorosa ai Mondiali casalinghi del 2014) e l’altissima qualità del roster (7 su 12 giocheranno il prossimo anno in Nba) assegnano alla Spagna il ruolo di sfidante numero uno. Verosimilmente, sarà l’ultima spiaggia per Pau Gasol (ma poi se l’è fatto congelare lo sperma?), Josè Calderon e Juan Carlos Navarro, che proveranno a dare l’assalto ad un oro olimpico che è l’unico titolo che manca alla sconfinata bacheca di una Nazionale andata a medaglia in otto degli ultimi nove Europei, che ha vinto l’oro iridato nel 2006 e che però si è sempre fermata ad un passo dal miracolo alle Olimpiadi.

[Quando Kobe zittisce Rudy abbiamo goduto un po’ tutti, no?]

Gli spagnoli sono sostanzialmente quelli delle ultime due edizioni: 9 su 12 c’erano nel 2012, 7 su 12 sono gli stessi del 2008. Questo significa età media molto elevata (siamo oltre i 29 anni) ma anche due differenze di peso, entrambe sotto canestro: l’assenza di Marc Gasol e l’innesto di Mirotic al posto di Ibaka nello spot di naturalizzato. Il pivot dei Grizzlies non ha recuperato del tutto dall’infortunio al piede patito nel corso della stagione e senza di lui coach Scariolo perde uno dei (se non il) maggiori punti di forza della squadra nel confronto con gli Usa. I due fratelli Gasol insieme sono una forza della natura, magari non in termini di atletismo e cattiveria agonistica, ma come qualità e capacità di coinvolgere la squadra non ci sono molti eguali neanche al di là dell’oceano:

Gasols

Serge Ibaka, invece, ha tolto ogni dubbio a Scariolo giù un mesetto e mezzo fa, annunciando la volontà di prendersi un’estate di riposo dopo la stagione di fuoco in maglia Thunder. Nikola Mirotic ne approfitta per fare bis in casacca giallorossa dopo Eurobasket 2015, ma l’assenza del lungo dei Magic potrebbe pesare in quei termini di atletismo e durezza mentale soprattutto difensivi: la memoria va al gran lavoro ai fianchi che il congolese seppe fare in difesa su Lebron James nella finale di Londra 2012. Non bastò, ma chiedere un lavoro del genere a Mirotic, nonostante i progressi mostrati, sui finti 4 americani come KD o Melo pare un filino troppo.

Seguendo pedissequamente il ranking, troviamo i vicecampioni d’Europa della Lituania. I baltici non saranno spettacolari e non avranno il talento delle altre europee, ma solidità e coralità la rendono sempre un cliente scomodissimo. Anche se alle Olimpiadi i risultati non arrivano già da un po’: l’ultima medaglia è il bronzo di Sidney 2000. Coach Kazlauskas ha ritoccato appena la rosa che ci tolse dalla corsa per le medaglie un anno fa a Lilla, con Motiejunas di nuovo out perché a caccia di un contratto in Nba (è uno degli ultimi restricted free agent rimasti sulla piazza) e quindi gran parte delle attenzioni che ruoteranno intorno a Jonas Valanciunas.

[Occhio ai gomiti stavolta, Jonas]

Rispetto a Eurobasket 2015, però, ci si aspetta un altro impatto dalla next big thing gialloverde, quel Domantas Sabonis che, figlio di cotanto padre e soprattutto con cotanta qualità nelle mani, è già atteso al varco: “è più intelligente di suo padre alla stessa età”, parola di Sarunas Marciulionis. Sarà intrigantissimo vederli contemporaneamente in campo, esperimento provato più volte nelle amichevoli di avvicinamento a Rio. Obiettivamente, però, sugli esterni c’è poca qualità, anche se oltreoceano guarderanno con curiosità al neo Knicks Mindaugas Kuzminskas, esploso definitivamente quest’anno a Malaga. Nelle ultime amichevoli ha fatto grandi cose Mantas Kalnietis, che sarà ancora una volta il regista titolare. Ma il resto della batteria, a parte l’eterno Jonas Maciulis, non è indimenticabile.

Sul piano atletico, quello dove maggiormente gli americani riescono a scavare il solco rispetto alle avversarie, la squadra più attrezzata per dare battaglia è ancora una volta la Francia. Nonostante le assenze dei vari Seraphin, Ajinca e Mahinmi, sotto le plance i tentacoli di Rudy Gobert e Joffrey Lauvergne, oltre alla mobilità di Kim Tillie e alla versatilità di Boris Diaw, formano un pacchetti variegato e di qualità. Il problema è che Tony Parker, che resta sempre e comunque l’ago della bilancia delle speranze francesi (due sconfitte su due nelle amichevoli pre-Olimpiadi senza il suo leader), non viene certo dalla sua miglior stagione. E non è detto che a compensarne la flessione basti un Nando De Colo trasformatosi in Re Mida nell’ultima annata europea. Ma non dimentichiamoci il multidimensionale Nicolas Batum ed una batteria di piccoli che dà garanzie (Diot, Heurtel, Gelabale…) e che ha spinto coach Collet a privarsi senza problemi dell’astro nascente Evan Fournier:

[Non stavolta, Evan]

La Francia ha centrato il pass per le Olimpiadi passando dalle forche caudine di un Preolimpico vinto senza incantare ma eliminando comunque squadre di livello come Turchia e Canada. C’è da ritrovare la “magia” di Eurobasket 2013 ma ci sarà da fare i conti anche con la truppa di quel marpione di Vincent Collet.

Chi invece ha fatto faville nel Preolimpico (aiutata certo da un cammino molto più agevole) è stata la Serbia, l’ultima squadra ad affrontare (e venire maciullata da) Team Usa, nella finale dei Mondiali 2014. Bogdan Bogdanovic e Nikola Jokic hanno sfoderato un Preolimpico da stropicciarsi gli occhi, Milos Teodosic (frenato da un infortunio al dito) si è tolto la scimmia del dover vincere a tutti i costi staccando l’Eurolega con il Cska e intorno ci sono tanti mestieranti che Sale Djordjevic è solitamente perfetto nell’assemblare. Pesa la mancanza della coppia di lunghi Bjelica-Marjanovic e spesso i balcanici tendono a disunirsi nei momenti in cui le cose non girano. E mancano di un vero go-to-guy.

No dai, si scherza:

Chiudiamo la carrellata europea con l’Italia la Croazia. Pronosticare la formazione di Aza Petrovic è un terno al lotto perché la quantità di talento, nonostante l’assenza di Ante Tomic, è di primissimo livello ma i risultati sono stati spesso molto al di sotto della aspettative. Tanto che l’ultima medaglia in una grande competizione per i biancorossi è il bronzo europeo del 1995. Quando in panchina, però, c’era proprio il fratellone di Drazen. Da lì in avanti praticamente solo disastri a fronte di una quantità di giocatori sfornati che ha pochi eguali in Europa. E anche stavolta di materiale in vetrina ce n’è parecchio: dietro alle chiocce Roko Ukic (che nei giorni liberi va ancora a suonare la batteria con la cover band dei Red Hot) e Krunoslav Simon ormai sono sbocciati i Miro Bilan e i Bojan Bogdanovic, ma soprattutto stanno esplodendo Mario Hezonja e Dario Saric.

C’era del talento in quel KK Zagabria
C’era del talento in quel KK Zagabria

Se il primo ancora difetta di continuità nonostante gli incredibili mezzi atletici e tecnici, il secondo a Torino ha fatto vedere tutto il suo infinito armamentario. Per lui, dopo un paio d’anni a farsi le ossa in Eurolega, sarà il test d’ingresso nel gotha del basket mondiale. E attenzione perché alle loro spalle scalpitano già Marko Arapovic (che però difficilmente troverà grandi spazi) e la sensation Dragan Bender, rimasto a casa per prepararsi allo sbarco in Nba dove i Suns lo aspettano a braccia aperte.

 

SEMPRE VOI, ANCORA VOI

(di Eugenio Agostinelli)

Le rompiscatole d’Oltreoceano rispondono ai nomi di Australia (Gruppo A), Brasile ed Argentina (Gruppo B). La selezione australiana è da anni quasi interamente la stessa, con David Andersen, Andrew Bogut e Patty Mills a fare da ossatura ad una squadra che fa dell’ignoranza la sua caratteristica essenziale. Duri, grossi e non proprio raffinati tecnicamente. Io non li farei incazzare. I brasiliani la stanno rischiando grossa.

Pur senza la recente prima scelta al draft 2016 Ben Simmons ed il play dei Jazz Dante Exum, i Boomers sono una squadra da affrontare con il massimo dell’attenzione. Dellavedova è il simbolo della selezione: salito in cattedra alle Olimpiadi di Londra 2012 e rivelatosi sorpresa del torneo, si è affermato in NBA e si presenta a Rio con un anello al dito ed un contratto da 38 milioni di dollari in 4 anni coi Milwaukee Bucks.

Delly e Broekhoff alla gita delle medie. Ah no aspetta…
Delly e Broekhoff alla gita delle medie. Ah no aspetta…

Non ha rifiutato la chiamata nemmeno Joe Ingles, anch’egli proveniente dall’NBA, così come Aron Baynes, che come l’ex Cavs si è messo già un anello al dito, insieme a Mills e agli Spurs nel 2014.

[Voglio vivere in un armadietto dello spogliatoio degli Spurs]

Attorno ai perni della squadra ci sono gregari di livello come Ryan Broekhoff, perno della rivelazione Loko quest’anno, e Brock Motum, vecchia e facilmente dimenticabile conoscenza delle V Nere bolognesi, lo scorso anno allo Zalgiris. Ma oltre a campioni Nba, a giocatori affermati a livello europeo ed a ultime ruote del carro, l’Australia ha una dote che non si trova in parecchi giocatori nel mondo: non hanno paura di niente. I Boomers apriranno il torneo contro la Francia, e siamo certi che non ci saranno troppe carezze, abbracci e sportività.

Amichevole tranquilla quella con la Cina della scorsa settimana.
Amichevole tranquilla quella con la Cina della scorsa settimana.

Tra l’altro, l’Australia schiererà pure un giocatore italiano: Kevin Lisch, guardia transitata pure a Nanterre con puntatina in Eurolega, è australiano ma con cittadinanza italiana grazie a mamma Catherine. Aveva pure espresso la volontà di giocare per la nostra Nazionale qualche tempo fa, ma alla fine ha optato per gli Aussie. Non che stiamo piangendo a dirotto, tutto sommato.

Il Fato ha invece voluto regalarci una bella sorpresa spedendo nello stesso girone Brasile e Argentina per una nuova edizione del Superclasico del baloncesto.

I padroni di casa seguono un po’ il leitmotiv dell’Australia: una solida ossatura di giocatori esperti e dall’ottimo curriculum alle loro spalle come Barbosa, Nene, Giovannoni e Huertas mixata a dei giovani in rampa di lancio, come Raulzinho Neto (attenzione al funambolico play dei Jazz, potrebbe essere la sua occasione), Cristiano Felicio, ultimo arrivato per sopperire al forfait di Varejao, Rafa Luz ed Augusto Lima su tutti, con quest’ultimo appena passato in prestito dal Real Madrid allo Zalgiris per farsi un po’ le ossa. Oltre a loro c’è anche Rafael Hettsheimer, peso massimo campione di Spagna col Real Madrid nel 2013 prima di tornare in patria a fare la voce grossa, ed Alex Garcia, che ha già vinto sette medaglie con la maglia della nazionale carioca ma mai una alle Olimpiadi. La formazione di Rubén Magnano, il “traditore argentino” che allena il Brasile dal 2010, si candida al solito ruolo di outsider e si trova nel limbo tra l’essere mina vagante e delusione più grande di questa edizione del torneo a 5 cerchi col suo gioco lento e basato sulle folate di Barbosa (se non è impegnato a combattere gli alieni) e Nenè, che però non sempre garantiscono stabilità su entrambi i lati del campo. L’assenza di Splitter e Varejao sotto canestro si faranno sentire, ma vedere Giovannoni alle Olimpiadi a 36 anni e con diversi chili di troppo addosso fa scattare un bel po’ di feels.

Difficile da decifrare anche un’Argentina all’ultima recita nelle vesti in cui la conosciamo da qualche annetto. Queste:

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Il ricambio generazionale che si chiede alla Selección da ormai diversi anni non è avvenuto o quantomeno non nella maniera auspicata: i talenti che stavano per sbocciare non sono ancora davvero esplosi e leggende come Ginobili e Scola (portabandiera della delegazione argentina a Rio dopo che Manu lo era stato nel 2008) sono ormai al loro canto del cigno con la canotta azúlblanca. L’oro ad Atene 2004 ed il bronzo a Pechino 2008 sono momenti amarcord che più che compianti vanno ricordati con grande piacere, ma a quest’all’Alma Argentina non si può chiedere miracoli. Un motivo d’interesse però nella squadra allenata da Sergio Hernandez c’è. Anzi, ce ne sono cinque, che corrispondono al quintetto base: Campazzo, Ginobili, Delfino (QUEL Delfino), Nocioni e Scola. L’amichevole del 30 Luglio contro la Croazia, vinta 97-78, ha messo in mostra un gran gioco di squadra per la formazione argentina, che trascinata dai cinque di cui sopra ha massacrato la squadra di Aza Petrovic per tutta la partita. E a proposito di Carlos Delfino: inattivo da tre anni, con problemi fisici di ogni tipo, contro la Serbia ne mette 20 così:

Sì, è vero: sono pochi, vecchi (Ginobili con i suoi 39 anni sarà il secondo giocatore più anziano a mettere piede alle Olimpiadi, battuto dai 40 anni di Sua Altezza Reale Portoricana Picùlin Ortiz) e qualcuno anche grassottello. Insomma, la generacion dorada è decisamente al tramonto. Ma il condizionale è d’obbligo. Perché la Selección a basket ha sempre saputo giocare e i segnali giunti dalle ottime amichevoli di avvicinamento a Rio sono molto confortanti. Di sicuro sarà l’ultima edizione col Narigón da Bahia Blanca, che martedì sera, prima di partire per Rio, ha salutato il suo popolo:

Se per Manu, Luis, Carlos e il Chapu sarà il canto del cigno, sarà l’occasione giusta per Campazzo di affermarsi a grandi livelli e magari può venir fuori qualche sorpresa tra i suoi giovani, su tutti il neo Spurs Pato Garino (a San Antonio c’è già chi lo chiama “Il nuovo Manu”, fate voi…) e il neo Mavs Nicolas Brussino. Sulla carta sono meno interessanti degli scorsi anni, ma una volta di più starei attento a questa banda di anzianotti. Poi vabbè, se dovesse andare male, Campazzo ha già un futuro da star in tv. “A la cama con Facu” è irreale, ve lo giuriamo!

 

HYPE NE ABBIAMO?

(di Marco Pagliariccio)

Nigeria, Cina e Venezuela hanno già raggiunto il loro risultato arrivando a calcare il parquet della Carioca Arena, ma non per questo vanno sottovalutate. Sarà il gusto dell’esotico, sarà perché tifare per gli sfigati fa un po’ parte dello spirito olimpico…

La Nigeria è probabilmente la più completa del trio. Ma è stata anche la più sfortunata, finendo in un girone B dove l’equilibrio regna sovrano e mettersi dietro due formazioni non sarà per nulla semplice. L’allenatore Will Voigt, uno che si è dovuto far ospitare da Gregg Popovich per un mese quando era uno stagista agli Spurs, ha condotto la scorsa estate le tigri biancoverdi al primo titolo africano della loro storia e vuole provare a fare meglio del 10° posto di Londra 2012. Nonostante i discussi no di Al-Farouq Aminu e Festus Ezeli a causa della mancata copertura assicurativa da parte della non proprio ricca Federazione nigeriana, di qualità per centrare l’obiettivo ce n’è con un roster composto per intero da giocatori sparsi tra America ed Europa. Grande curiosità per la stella di Syracuse Michael Gbinije, fresco di firma ai Pistons, ma anche per l’Mvp di Afrobasket 2015 Chamberlain Oguchi, fermo per gran parte della stagione (era in Polonia all’Anwil) per un grave infortunio ma esploso nell’ultima amichevole contro gli Usa con un ventello stampato in faccia a KD e soci. Tante anche le vecchie conoscenze italiane: da Shane Lawal a Ebi Ere passando per Josh Akognon, Stan Okoye e Michael Umeh. Vecchiotti e poco esperti per questo livello, ma guai a sottovalutarli.

[Quattro anni fa Ben Uzoh stampava una tripla-doppia in Nba. Sì, avete letto bene]

Se però dobbiamo eleggere la squadra hype 2016, non c’è partita: Venezuela e stop. I vinotintos hanno centrato la qualificazione sorprendendo tutti l’estate scorsa con l’oro ai Campionati Americani, vinti superando in finale l’Argentina. E hanno concesso pure il bis ai Sudamericani di qualche settimana fa facendo a pezzi il Brasile.

Sobrietà.
Sobrietà.

Insomma, una squadra in stato di grazia e un popolo sovraeccitato dai clamorosi risultati dei ragazzi di coach Garcia, che per di più negli ultimi anni ha fatto a meno pure dell’unico talento di caratura internazionale a disposizione, il neo Nets Greivis Vasquez, che giusto qualche giorno fa ha dato l’ennesimo forfait causa problemi fisici. È tornato anche Gregory Echenique, un armadio a muro con esperienze europee a Ostenda e Ludwigsburg, e ci saranno tanto David Cubillan, ex compagno di Jimmy Butler a Marquette con un passato in Israele, e sopratutto Heisler Guillent, guardia tra le punte di riferimento della formazione sudamericana, reduce da un infortunio al tendine d’Achille e recuperato in extremis per provare a spingere i sudamericani oltre l’immaginabile eliminazione al primo turno.

Sulla strada dei venezuelani ci sarà anche una Cina che, invece, è certamente più esperta a questi livelli, pur non essendosi mai spinta oltre l’8° posto. Il tiro da fuori alla disperata dei piccoli e i centimetri a disposizione vicino a canestro saranno le due armi in mano ai cinesi, che non posso prescindere dall’ex Nba Yi Jianlian. L’ex Bucks è il presente di una squadra in pieno ricambio generazionale (dall’alto dei suoi 29 anni è il più anziano del roster), mentre il futuro si chiama Zhao Jiwei (occhio a sto playmakerino classe ’95) ma soprattutto Wang Zhelin e Zhou Qi, con particolare riguardo a quest’ultimo. Il filiforme lungo selezionato alla 43 nell’ultimo draft Nba è un prospetto che definire interessante è un eufemismo: 20 anni, 218 centimetri, mani morbidissime dalla media e una proprietà nel gioco frontale da ala piccola ne fanno un giocatore con un futuro a stelle e strisce. Ancora molto gracile fisicamente, gli farà bene assaggiare subiti i gomiti di DeMarcus Cousins e Draymond Green. Anche se lui li ha già fatti provare pure a Kevin Durant:

Per tutto quanto c’è da sapere in fatto di roster, risultati e quant’altro consigliamo la completissima pagina dedicata all’interno del sito della Fiba: http://www.fiba.com/olympics/2016

Ora, sappiamo che state per fare la fatidica domanda: “Streaming?”

Per ora, coach Michelini ci informa così:

Cattura

Confidiamo in mamma Rai… A questo punto, davvero: buone Olimpiadi!

christ-the-redeemer-basketball-dylan-guy

 

P.S.: lo strepitoso disegno di copertina è stato realizzato da David Agapito.

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Marco Pagliariccio

Di Sant'Elpidio a Mare (FM), giornalista col tiro dalla media più mortifero del quartiere in cui abita, sogna di chiedere a Spanoulis perché, seguendo il suo esempio, non si fa una ragione della sua calvizie.

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