grafica di Davide Giudici
renasrticolo di Marco A. Munno

 

 

Anno 2018, sessantasettesima edizione dell’annuale appuntamento di mezza stagione NBA: la parata delle stelle della Lega, l’All Star Game col suo contorno dell’intero All Star Weekend. Con annessa grande novità: per la prima volta nella storia, le due compagini non saranno rappresentative delle due Conference, ma squadre composte da giocatori, fra i selezionati per prendere parte alla partita, scelti dai due capitani eletti dal voto dei fan.

Se però fino a qualche tempo fa il solo nome della competizione avrebbe solleticato le fantasie degli appassionati, di fronte alla unica possibilità annuale di vedere contemporaneamente in azione le star della lega per stabilirne con la prova dello scontro diretto quali fossero i migliori, ad oggi il valore ne è in continuo calo. A causa della paura di infortuni da parte dei giocatori in quella che resta una competizione senza ripercussioni sulla stagione sportiva o della politica abbracciata dalla NBA di diminuire le tensioni interne per un’immagine sempre più politically correct, il senso puramente competitivo del weekend delle stelle è sempre più basso e la novità storica di composizione delle squadre assume il solo significato di tentativo di rivitalizzazione del match.

Al netto degli infortuni, queste le scelte iniziali dei due capitani Lebron James e Stephen Curry

Eppure, quando l’All Star Game venne introdotto, nel 1951, l’intero quadro generale presentava i tratti diametralmente opposti. Rispetto alla corrente “età dell’oro” dell’intera industria della NBA, la lega era in crisi e la partita delle stelle fu introdotta dall’allora direttore pubblicitario Haskell Cohen, alla stregua dell’All Star Game già disputato nella Major League di baseball, quale espediente per ottenere attenzione reputata vitale per il superamento dell’impasse. Superate le diffidenze del commissioner Podoloff, missione raggiunta: il pubblico presente alla prima edizione, vinta dalla costa Est sulla costa Ovest per 111-94 con Ed Macauley idolo di casa a Boston quale MVP, fece registrare 10094 spettatori, quasi il triplo della media di persone che assisteva alle gare di regular season di circa 3500 paganti.

Questo il primo canestro di una lunga serie…

La gara diventò allora un appuntamento fisso, in continua espansione: dopo tre edizioni su sei disputate nella stessa Boston, mentre si completò l’esportazione dell’evento non solo in una location della East Coast ma in giro per gli interi Stati Uniti, Bob Cousy e Bob Pettit si spartirono quasi tutti i primi premi assegnati quali MVP fino all’arrivo di Wilt Chamberlain. Il quale presentò nella gara delle stelle lo stesso travolgente impatto che ebbe nell’intera Lega: diventa un All Star nella sua stagione da rookie, conquistando subito il premio di miglior giocatore nella sua prima edizione giocata, nel 1960, registrando una doppia doppia da 23 punti e 25 rimbalzi.

In breve tempo segnerà il primato assoluto di punti realizzati in singola gara nel 1962, mettendone a segno 42, attentati da Michael Jordan con i 40 del 1988 o da Paul George coi 41 del 2016, ma mai superati fino alla scorsa edizione da parte di Anthony Davis. Resistendo, quindi, al progressivo abbandono delle velleità difensive della gara nel corso degli anni, e soprattutto venendo registrato in assenza del tiro da 3 punti, con un 17/23 al tiro e 24 rimbalzi aggiunti a suggellare una prestazione epica.

La manifestazione crebbe così tanto di importanza da sbarcare nel prime time nazionale, nel 1964, sulla ABC; l’occasione fu cavalcata per ottenere uno dei più grandi successi per quanto riguarda le associazioni di giocatori professionistici nella storia dello sport americano. Difatti i 20 partecipanti alla gara, convinti da Tommy Heinsohn, allora presidente dell’associazione dei giocatori della lega, proclamarono il loro sciopero finchè non venissero aperte le trattative dal commissioner J. Walter Kennedy per la discussione su migliori condizioni lavorative; pressato dal network, alla fine i giocatori riuscirono a far capitolare Kennedy che concesse per gli atleti della lega un calendario di impegni meno stressante e soprattutto la possibilità per l’intera unione dei giocatori di discutere i dettagli contrattuali collettivi con i proprietari.

La gara al termine venne disputata regolarmente, con Oscar Robertson a vincere il suo secondo MVP

8 anni dopo, nel 1972, fu uno dei giovani partecipanti di quel match a segnare un momento iconico, stavolta sul campo: Jerry West dei Lakers si laureò MVP della contesa sul campo casalingo di Los Angeles. Mister Logo mise a segno una prestazione a tutto tondo, con13 punti, 6 rimbalzi, 5 assists, 6 palle rubate e 1 stoppata; soprattutto mise a segno il buzzer beater che all’ultimo tiro consegnò la vittoria per 112-110 al team dell’Ovest.

Negli anni ’80, per quella che era diventata ormai una tappa classica a metà della regular season, arrivarono anche le aggiunte a contorno del match fra le stelle. Nel 1984 venne introdotta la gara delle schiacciate, la Slam Dunk Competition, con la vittoria inaugurale di Larry Nance sui favoriti Dominique Wilkins e Julius Erving.

Curioso come l’edizione di questa stagione vedrà la partecipazione del figlio, che dopo l’annuncio ha mostrato la maglia con l’illustrazione della vittoria del padre

La prima delle gare della speciale competizione a restare impresse nella storia tuttavia fu quella di due anni dopo; nel 1986 fra gli schiacciatori si impose Spud Webb, La cui particolarità era quella di un’altezza di soli 170 centimetri, a dimostrare un’elevazione fuori dal comune e ad abbattere fragorosamente il luogo comune per cui certe altezze possono essere appannaggio solo di determinati fisici.

Dopo la vittoria nel 1985, si trattò di una nuova sconfitta nella specialità per Dominique Wilkins

Nello stesso 1986 venne introdotto il Three Point Contest, a cui lega il nome indissolubilmente Larry Bird. La leggenda dei Celtics infatti fece sue tutte e tre le prime edizioni disputate, esordendo con la famigerata frase “Chi di voi arriverà secondo stasera?” nella prima occasione per poi chiudere col trionfo nell’ultima del 1988 ottenuto senza togliere la giacca da riscaldamento.

Pensare che all’epoca il tiro da 3 non era in voga e quindi allenato tanto quanto ora

Ad assistere a quest’ultimo trionfo, c’era un 24enne Michael Jordan. Il quale, pervaso dal furore competitivo che lo ha sempre contraddistinto, divenne l’attrazione principale dell’intera edizione dell’intero All Star Weekend del 1988. Nella stagione che lo portò a conquistare il primo dei cinque titoli di MVP della Lega nonché l’unico di miglior difensore NBA, la location di Chicago ad ospitare l’evento rappresentava l’occasione perfetta per cementare la sua immagine; nella partita delle stelle raggiunse l’onorificenza di miglior giocatore, realizzando solo 2 punti in meno del record assoluto di 42 di Chamberlain, ma fu il bis nel titolo di Slam Dunk Champion conquistato dopo quello dell’anno precedente che ne cristallizzò la figura, con l’immortale stacco dalla linea del tiro libero per strappare la vittoria nell’epico duello con il “solito” Wilkins.

Se però si pensa al maggior legame fra un singolo giocatore e un’edizione, non si può che rimarcare l’episodio del 1992, con protagonista Magic Johnson. L’asso dei Lakers difatti nel novembre del 1991 annunciò la contrazione del virus del HIV e il conseguente ritiro dai campi da gioco. Tuttavia, fu votato ugualmente dai fan quale starter per l’All Star Game del 1992, al quale partecipò (non senza qualche polemica) in un’occasione one night only. 25 punti e 9 assist: senza allenamento, ad Orlando mostrò a tutti quanto non avesse smarrito per nulla il suo talento, risultando MVP della contesa vinta dalla costa Ovest per 153-113.

Con il risultato già acquisito, come segno di rispetto si dilettò in marcature individuali di Isiah Thomas e Michael Jordan, stelle del team avversario

Non solo i talenti più affermati dell’intera storia della pallacanestro tuttavia hanno scritto pagine importanti della rassegna; proprio negli anni 90, ad esempio, di preciso nel 1997, fu possibile assistere ad una performance record all’interno del match. Si trattò infatti di Glen Rice che conquistò l’MVP della gara realizzando 26 punti in 25 minuti, ma soprattutto 20 punti all’interno di un solo quarto e 24 in metà gara, entrambi primati assoluti.

Secondaria fu la prima tripla doppia registrata in assoluto in un ASG, da Michael Jordan con 14 punti, 11 rimbalzi e 11 assists

Al nuovo millennio invece risale probabilmente la miglior performance di sempre in una gara delle schiacciate. Al mondo mostrò i migliori pezzi del suo repertorio il 23enne dei Toronto Raptors Vince Carter, in quella che fu visto come un ritorno agli antichi fasti dello Slam Dunk Contest, con una serie di inchiodate che legittimarono a pieno titolo i vari appellativi di Air Canada, Vincredible e Vinsanity.

“It’s over!!!”

Curioso come collegati all’intero All Star Weekend ci siano due ragazzi provenienti dalla stessa famiglia, come se lo spirito di questa competizione l’avessero nel DNA. Una delle giocate più spettacolari ricordate in partita fu infatti messa a segno dal cugino di terzo grado di Vince Carter, uno dei più talentuosi a non aver ottenuto trionfi nella storia, dove però il suo posto ha comunque trovato con la giocata realizzata nel 2002, denominata “Remix”:

Proprio nei primi anni 2000, inoltre, si son susseguite una serie di matches di livello. A partire da quello del 2001, dove la differenza di talento distribuito all’interno delle due Conference era evidentemente sbilanciata a favore di quella Ovest; il risultato che maturava in campo, col team West in vantaggio di 21 punti a 9 minuti dalla fine, non faceva che confermare i valori sulla carta. Tuttavia, il fenomeno dei 76ers Allen Iverson, che alla fine della stagione risulterà miglior marcatore della Lega e verrà premiato con l’MVP della regular season, guidò la rimonta del team dell’Est con 15 punti dei 25 in quegli ultimi 9 minuti, con il risultato della partita ribaltato e chiuso dalle due triple di Stephon Marbury per il 111-110 finale di una delle più spettacolari edizioni.

In quello del 2003, un altro “copione” non rispettato; si trattò difatti dell’ultimo All Star Game disputato da His Airness Michael Jordan. Nonostante non fosse stato votato fra gli starter (il posto in quintetto gli fu comunque ceduto da Vince Carter), al primo tempo supplementare, col risultato di parità, quello che sembra l’ultimo tiro per il team della Eastern Conference non può che essere preso da MJ, che puntualmente mette a segno il fadeaway contro Shawn Marion. MJ non fece però i conti con quello che stilisticamente è stato il suo erede: a rovinargli l’ultimo tiro vincente fu Kobe Bryant, che nell’azione successiva guadagnò un fallo su un tiro da 3 punti, mettendo a segno due liberi e portando i suoi al secondo overtime, che poi vide l’affermazione del team Ovest.

Se il Rookie Challenge nel tempo aveva regalato una bella vetrina ai futuri partecipanti alla partita della domenica:

Ironicamente, la giocata più ricordata proviene da un Jason Williams che non completò mai la transizione ad All Star

Lo stesso non si può sostenere relativamente all’aggiunta progressiva di una serie di eventi quali il Celebrity Game, lo Skills Challenge, l’H-O-R-S-E competition, l’All Star Game della G League che aumentarono il numero di competizioni diverse all’interno del weekend, ma diminuendo un livello di gioco sin troppo diluito fra le varie prove, alcune dallo scarso successo.

Justin Bieber che pensasse di far bella figura di fronte a Scottie Pippen resta comunque troppo

Con spirito patriottico, tuttavia, non possiamo non inorgoglirci di fronte alla prima vittoria di marca tricolore, quando nel 2014 fu Marco Belinelli a laurearsi campione nel Three Point Contest.

Questo si può forse considerare come ultimo episodio di rilievo all’interno della storia dell’evento; il lassismo sempre maggiore delle difese e l’assenza di volontà di una vera competizione ha finito per rendere meno notevole il superamento dello storico primato di Chamberlain, con il nuovo record di punti realizzati in singola gara fissato durante la scorsa edizione da Anthony Davis con 52.

Il coefficiente di difficoltà delle conclusioni di The Brow è ai minimi valori

Seguendo questo trend, sembra ovvio non avere particolari aspettative per l’edizione di questo weekend. La speranza è quella che il cambio di format possa portare giovamento e nuova linfa all’evento; d’altro canto, vista la lunga serie di emozioni vissute durante gli anni grazie all’appuntamento, in fondo sappiamo tutti come quello dell’All Star Game sia un po’ il sogno da bambino di tutti gli appassionati, i quali nonostante tutto non disdegneranno uno sguardo in attesa dell’ultima schiacciata mozzafiato o l’ultimo canestro fra stelle del massimo livello possibile.

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