Quante game4 sono risultate decisive per la corsa al titolo NBA? Tante, troppe, una su tutte: Giugno 2000, Travis Best (ex Virtus) si ritrova di fronte Shaq nell’ultima azione d’attacco dei suoi Indiana Pacers. Il play aveva fatto un gran match fino a quel momento, ma Phil Jackson sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggiodi attaccarlo. Best non si aspetta il cambio, si prende un palleggio, arresto e tiro cortissimo. Una mozzarella, che sbatte come un meteorite in mezzo all’area dei 3 secondi.

Nell’OverTime che ne segue un bimbo di nome Kobe, allora ventunenne, piazza 8 dei suoi 28 in faccia a tutta Indianapolis: la bomba sulla sirena di Reggie Miller si spegne sul ferro, finisce con uno spettacolare 118-120. I Lakers chiuderanno poi conti e serie in gara6. Se vi siete mai chiesti perché Larry Bird oggi vi sembra uno sbronzo irlandese al porto, ecco. Fra una Bud e l’altra, non si è ancora ripreso.

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Anche l’anno scorso game4 era stata una sfida chiave della serie: dopo un primo tempo chiuso in parità a quota 49, Miami vinse a San Antonio 93-109, trascinata dagli 85 punti del solito trio (33 James, 32 Wade, 20 Bosh). Gli Heat ripresero definitivamente il vantaggio del fattore campo, il resto è storia: la smorfia di Duncan, il colpo di reni dall’angolo di Ray Allen,  l’idea difensiva di Popovich. Popovich che s’incazza con mezzo mondo in sala stampa. Quei falli lì, li fate poi voi europei!” Grande Pop, ti amo, ma mi dispiace. Stavolta hai pisciato fuori dal vaso.

 

Come 12 mesi fa San Antonio è sul 2-1, e tanti addetti ai lavori sono convinti che i texani abbiano speso il ‘gettone’ nella trasferta di martedì notte. Siamo sicuri che sia così? Una cosa è certa: vista l’età, e un cammino più difficile arrivando alle Finals, gli Spurs hanno interesse nel chiudere la serie nel minor tempo possibile. Game3 è stata l’esaltazione del ‘supporting cast’: Parker e Ginobili si sono quasi riposati, il nuovo quintetto base con Diaw da 4 ha aperto il campo come il francese apre ruttando i sacchetti di patatine, e “Banana” Splitter ha dato minuti e fiato a un Duncan lontano dal 100%. E’ chiaro che Leonard, Green e Mills non potranno ripetersi, per cui Belinelli dovrebbe togliersi gli occhiali di Ray Charles per tornare a vedere il campo 15′-20′. In una rotazione a 9-10 giocatori, “Pop” ha concesso l’elemosina persino a Matt Bonner: è fondamentale come tutti debbano sentirsi coinvolti, lo si vede dagli aiuti difensivi degli esterni, da quanto la palla giri in fretta. Gli Spurs hanno l’inerzia a favore e perderla, nella città di Dexter Morgan, sarebbe un crimine orrendo.

Miami si ritrova spalle al muro in una serie dove, complessivamente, ha comandato per  quasi due quarti su 12. Lebron ha smaltito i problemi di crampi, Spoelstra si aspetta però un contributo più continuo da Bosh – bene in Texas, male due sere fa – e da Dwyane Wade, che fisicamente ricorda molto Messner senza ossigeno sul K2. Gli altri? Chalmers e Cole sono due elementi che in casa potrebbero accendersi, Ray Allen sembra il gemello minore di Jesus Shuttlesworth, ma il giocatore più affidabile al momento è proprio il suo ex compagno di merende ai Sonics, Rashard Lewis: 12,7 punti, 50% da 3 e solo 9,8 secondi netti da un campo all’altro. Coach “Spo” ha sfanculato Battier ed Haslem per poterlo tenere in campo, mentre Toney Douglas, onesto mestierante NBA, dal suo arrivo a South Beach ha convinto meno di Oscar Giannino alle politiche. Con il povero Oden dilaniato dal basket, l’unico cambio di Bosh è il sempreverde – è il caso di dirlo – Chris Andersen, che cercherà di dare la sua solita energia fra una porra e l’altra con Michael Beasley. White Hot, white bamba.

 

Lo staff degli Heat dovrebbe cercare di ampliare una rotazione che, al momento, è ridotta all’osso come le vecchie squadre di Pat Riley insegnavano. Il nuovo formato delle Finals (2-2-1-1-1 come nel resto dei play-offs, al posto del classico 2-3-2) certamente li penalizza: per questo, mi aspetto un primo tempo dove Lebron & co. mettano subito le cose in chiaro, in modo da convincere gli Spurs che, in fondo, non è poi male tornare a casa sul 2-2.

Siamo pronti per l’ennesima notte in bianco. Ma va bene così, è giusto così: Miami e San Antonio giocano ad un livello di pallacanestro per cui tutto il mondo dovrebbe fermarsi un attimo, e prendere appunti. Un po’ come facevo io quando, a 14 anni, non sapevo ancora chi fossero Jenna Jameson e Katie Price.

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Carlo Pedrielli

Bologna, cestista delle "minors", tifoso da Beck's, cantastorie per sé e istruttore minibasket. Per questo sport darei tutto, tranne il culo.

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