articolo di Marco Munno, Marco Pagliariccio e Mario Castelli
grafici Fabio Fantoni
illustrazione in copertina di Paolo Mainini

 

 

 

I numeri di una stagione storica

di Mario Castelli

Quella che si appresta a terminare a Colonia è stata una delle edizioni più equilibrate e combattute dell’Eurolega moderna (dal 2000 in poi), sicuramente la più equilibrata e combattuta da quando la competizione ha cambiato format passando a girone unico all’italiana nel 2016/17. E questo non solo perché, come avrete letto da qualche parte in quei giorni, per la prima volta di sempre tre serie su quattro dei quarti di finale sono arrivate a Gara 5 (e nulla mi toglie dalla testa che con un Fenerbahce sano, e non falcidiato dal coronavirus, anche la serie del CSKA sarebbe potuta diventare molto lunga), ma anche perché questo equilibrio si è manifestato per tutta la stagione, fin dal primo giorno di regular season.

Dire che questo è stato l’anno con la percentuale più bassa di vittorie interne e più alta di successi in trasferta sarebbe pleonastico, dal momento che con le porte chiuse nei vari palazzetti e senza il pubblico era palese che il fattore campo sarebbe stato molto meno rilevante rispetto al passato. Ma tutta una serie di altri numeri, sicuramente più rilevanti e interessanti, ci spiegano bene perché questa stagione è stata così piacevole da guardare.

La Zalgirio Arena di Kaunas tristemente vuota

Partiamo dall’alto, ovvero dalla prima classificata: il Barcellona ha chiuso davanti a tutti al termine delle 34 giornate di regular season con un bilancio di 24-10. Il campione statistico è ancora abbastanza scarno, dato che questo nuovo format esiste da pochi anni, ma prima di quest’anno la vincitrice della stagione regolare non aveva mai perso più di 7 partite e non era mai scesa sotto il 76.7% di successi del Real Madrid versione 2016/17. Quest’anno come detto i blaugrana hanno perso 10 volte e hanno raccolto “solo” il 70.6% di vittorie. Non finisce qui, perché sempre prima di questa stagione la prima classificata non aveva mai segnato meno degli 83.5 punti del Fenerbahce 2018/19 e si era fermata sotto i 75 punti segnati in massimo cinque partite: il Barcellona quest’anno non è riuscita ad avere lo stesso dominio offensivo, segnando solo 79.6 punti e restando sotto i 75 in ben 11 occasioni. Barcellona che poi è diventato la prima testa di serie #1 ad essere trascinata a gara5 dal CSKA del 2013/14, grazie agli eroismi dello Zenit, qualificatosi da ottavo ma andato vicino a compiere il colpaccio.

Allora ci spostiamo a parlare proprio dei russi, perché limitarsi a guardare i numeri solo della prima classificata sarebbe fuorviante e avrebbe poco valore dal punto di vista statistico. Lo Zenit è arrivato ottavo con un bilancio finale di 20-14, grazie alle ultime tre vittorie consecutive contro Asvel Villeurbanne, Maccabi Tel Aviv e Panathinaikos, estromettendo così il Valencia, nono classificato con 19-15. Questo significa che i russi hanno chiuso con il 58.8% di vittorie, mentre i “Taronja” sono rimasti fuori nonostante il 55.9% di successi. Anche in questo caso, va sottolineato come l’ultima squadra a qualificarsi per i playoff e la prima ad esserne rimasta esclusa non avessero mai minimamente avvicinato una percentuale di vittorie così elevata. Pure il divario tra la vincitrice della regular season e la prima esclusa dei playoff, che è stato di sole cinque vittorie tra Barcellona e Valencia, non era mai stato così esiguo.

In totale sono state ben 11 le squadre che hanno terminato il loro percorso con almeno il 50% di vittorie, aggiungendo Valencia, Baskonia e Zalgiris Kaunas alle otto che hanno poi disputato i quarti di finale. Più dei tre quinti delle formazioni che hanno preso parte a questa Eurolega hanno perciò vinto almeno tante partite quante ne hanno perse, una fetta più ampia di quanto fosse mai stato registrato in precedenza.

Ovviamente questi numeri sono influenzati dalla tragica stagione del Khimki, afflitto da diversi problemi, soprattutto economici ma non solo, che ha perso 34 partite su 38 e ha così contribuito ad innalzare il tasso di vittorie di tutte le altre squadre. Ma al di là di questo “bug nel sistema”, le altre 17 formazioni hanno dimostrato, almeno a tratti, di poter essere competitive contro chiunque: complessivamente le otto squadre qualificatesi per i playoff hanno perso 44 partite contro le squadre rimaste invece escluse dalla postseason, e anche questo è un nuovo record da quando esiste il nuovo format.

Anche nei punti segnati è stato possibile notare questo trend. Solamente due squadre hanno chiuso la stagione regolare con una forbice media tra punti segnati e punti subiti superiore ai cinque punti: il Barcellona (con +7.0, frutto di 79.6 punti segnati e 72.6 subiti) e l’Anadolu Efes (con +6.9, grazie a 83.5 punti fatti e 76.6 incassati). Allo stesso modo solamente due squadre hanno avuto una forbice media superiore ai cinque punti in negativo: la Stella Rossa penultima (-5.4) e il già citato e derelitto Khimki (-12.8), unico vero corpo estraneo in una competizione così equilibrata. Anche se pure i gialloblu sono stati a modo loro protagonisti: delle sole quattro vittorie raggranellate in 34 partite, due sono arrivate contro Zenit San Pietroburgo e Real Madrid, andando di fatto a influire pesantemente e rivoluzionare quella che poi sarebbe stata la griglia playoff… In totale sono quindi 14 le squadre che sono rimaste nell’intervallo +5/-5 di scarto, mentre nell’anno passato (al momento della sospensione per via del virus) erano state 11 e l’anno prima ancora 9.

L’imprevedibilità si è vista non solo durante il corso dell’anno, sul lungo periodo, ma anche nel corso delle partite stesse: è stata una stagione anche di grande rimonte e di vittorie improbabili. Il Bayern Monaco ad esempio è diventato leggendario, con le sue 11 vittorie su 23 totali arrivate recuperando svantaggi in doppia cifra, specchio di una squadra che non mollava mai. Questa tendenza non si è attenuata ai playoff, dove la serie tra Efes e Real Madrid e quella che ha visto proprio il Bayern Monaco affrontare Milano hanno regalato ulteriore pathos. Sono state ben quattro nel giro di 10 giorni le partite con una vittoria rimontando da almeno -13 punti di scarto, mentre fino a quel momento se ne erano contate 10 su 181 partite di quarti di finale in un arco di 11 anni dal 2009.

Questi sono solo alcuni numeri buttati lì a caso – ma volendo si potrebbe anche andare avanti – per dimostrare con un po’ più di sostanza quello che in fondo sapevamo già: nonostante l’enorme neo della assenza dei tifosi dei palazzetti, questa è stata una delle stagioni (se non addirittura LA stagione) più belle, appassionanti, equilibrate e imprevedibili di questo ventennio di Eurolega moderna. Le Final Four di Colonia, con le partite più attese dell’anno concentrate in tre adrenalinici giorni, confermeranno una volta di più questa tendenza? Non ci resta che scoprirlo.

 

 

IL PROGRAMMA DELLE FINAL FOUR

28/5 ore 18:00 la prima semifinale Efes-Cska (diretta su Eurosport 2 e Eurosport Player)

28/5 ore 21:00 la seconda semifinale Barcellona-Milano (diretta su Eurosport Player)

30/5 ore 17:30 finale 3/4 posto (diretta su Eurosport 2 e Eurosport Player)

30/5 ore 20:30 finale 1/2 posto (diretta su Eurosport 2 e Eurosport Player)

 

 

BARCELLONA

 

 
di Marco Pagliariccio

Poca pretattica, per questo Barcellona essere alle Final Four è il minimo sindacale. Pensata e assemblata nell’estate 2019 per essere a Colonia già un anno fa, i blaugrana hanno dovuto passare dal terremoto estivo del passaggio da Pesic a Jasikevicius in panchina per completare il loro percorso di ritorno tra le big d’Europa. Altrettanto ovvio è che l’obiettivo, quando conduci la classifica di Eurolega dalla prima all’ultima giornata, non possa che essere il titolo.

Nonostante l’impressionante quantità di talento a disposizione, il mago lituano ha plasmato la squadra sullo stampo del “suo” splendido Zalgiris delle stagioni passate: difesa aggressiva, gioco corale, poco spazio ai fronzoli. Sì, lo Zenit ha dato più di qualche grattacapo portando i catalani a gara 5, ma la sensazione era che pur in una serie fattasi sorprendentemente complicata il Barca avrebbe comunque trovato un modo di farla sua.

foto euroleague.net

Il Barca è una squadra cui tendenzialmente piace poco correre e che, grazie a un maestro nel controllo dei ritmi come Calathes, spesso e volentieri riesce a portare la partita dove vuole. Quando poi c’è da azzannare la preda ecco che entra in azione quell’elegante e mortifero cigno che risponde al nome di Nikola Mirotic. Senza dimenticarsi di Higgins, Abrines, Davies, Kuric, Hanga, un Bolmaro sempre più convincente (14,4 punti col 53% da 3 e 17,4 di valutazione nelle ultime cinque giornate di ACB), chi più ne ha più ne metta.

Capitolo Gasol: l’impressione è che Jasi non si fidi molto di lui soprattutto per la sua tenuta fisica. Ma umiltà e classe non si dimenticano con gli anni. E allora contro il Pau di gara 5 contro lo Zenit, capace di rifilare 4 stoppate a giovani che potrebbero quasi essere suoi figli, o contro quello finito quattro volte in doppia cifra nell’ultimo mese di ACB tendenzialmente è meglio non scommettere in una partita senza ritorno…

UP – Il Barcellona è il prototipo della solidità: difesa impenetrabile, a volte con scelte tattiche particolari, attacco calibrato per mettere in ritmo i suoi solisti, che siano lo spot-up di Mirotic, l’uscita dai blocchi di Kuric o i pick and roll di Davies. Quando dei meravigliosi solisti si integrano in un sistema che funziona come un orologio.

DOWN – …ma a volte l’orologio può anche incepparsi e lo Zenit lo ha dimostrato bene. Il Barca è forte, fortissimo, ma non è raro che tenda a “specchiarsi” nella sua perfezione, finendo per lasciare aperte le porte quando la partita si fa dura, sporca e cattiva. L’altro grande punto interrogativo può essere Calathes: troppo importante nell’economia del gioco blaugrana, troppo spesso in affanno nelle partite tattiche e con posta in gioco altissima.

LA STELLA – Nikola Mirotic, senza se e senza ma. Se il suo ritorno in Europa è stato un caso milionario due estati fa sta dimostrando appieno il perché. Le sue ultime due campagne europee sono state abbacinanti soprattutto per la continuità di rendimento ad alto livello e un arsenale offensivo praticamente illimitato. Raramente (mai?) gli abbiamo visto steccare due partite in fila. Almeno fino alla serie contro lo Zenit, nella quale non è mai davvero entrato (8/28 da 2 in 5 partite, appena 8,6 punti di media a fronte dei 16,9 della regular season) e che probabilmente gli è costata la palma di MVP della stagione a scapito di Micic. Le sue due ultime Final Four, nel 2013 e nel 2014 entrambe in maglia Real, finirono amaramente a un passo dal titolo: toccati pure, Niko…

E se anche Pau si sporca le mani, resistere ai catalani è quasi impossibile…

 

 

MILANO

 

 
di Marco Munno

Quando ad inizio stagione si commentavano le scelte sulla costruzione della squadra di Ettore Messina, l’idea era che somigliasse di più all’impronta tipica del proprio coach rispetto a quella dell’annata precedente, e che nel caso migliore sarebbe potuta essere in grado di prendersi un posto alle Final Four se qualcuna delle quattro grandi deputate avesse steccato. Quest’ultima condizione, con il Real a scontrarsi nei quarti di finale con l’Efes, si è avverata (mentre Barcellona e CSKA si sono prese lo spot immaginato per loro dai pronostici di inizio stagione). Il gruppo avrebbe dovuto dimostrarsi pronto, e così è stato: all’esperienza indiscutibile di Kyle Hines, di Gigi Datome, del Chacho Rodriguez a questi livelli si è sommata la sostanziale vittoria delle varie scommesse di questa stagione. Shavon Shields ha continuato il suo percorso di miglioramento, diventando oramai uno dei migliori nel suo ruolo nell’intero Vecchio Continente; Zach LeDay ha sviluppato una dimensione, quella del tiro da fuori, che non aveva mai avuto in carriera per quantità mista alle percentuali (0.9 triple, in pratica 1, a partita tirando col 46.4%); Kevin Punter ha proseguito la sua crescita, funzionando ottimamente quale creatore dal palleggio nonostante la supposta difficile convivenza con il sistema messiniano. Un sistema che invece ha amalgamato alla perfezione le varie componenti di un gruppo magari non destinato a durare per molti anni, ma che si è dimostrato competitivo ai massimi livelli sin da subito. Con la possibilità, arrivato a questo punto, anche di arrivare fino in fondo…

foto olimpiamilano.com

UP – In barba alle idee più volte espresse dal suo capo allenatore Popovich agli Spurs, l’arma migliore della squadra di coach Messina è il tiro dalla lunga distanza: si presenta alle Final Four con il 41%, migliore per percentuale dell’intera competizione. Altro concetto caro alla pallacanestro di qualche anno fa sconfessato è quello dell’utilizzo continuativo del lungo in post basso: la squadra ha rinunciato a questa dimensione, privilegiando l’intelligenza cestistica del titolare Hines facendolo giostrare da playmaker aggiunto e sfruttando la sua capacità di rollare. Alla faccia dell’inefficienza del basket “moderno” in Europa.

DOWN – Tanta esperienza vuol dire anche tanto chilometraggio alle spalle, e in una stagione lunga e logorante potrebbe essere un fattore che potrebbe farsi sentire. Inoltre, al rendimento sopra le attese di alcuni, coincide quello discontinuo di Delaney, il go-to-guy deputato: se i primi dovessero pagare la propria prima volta al livello più alto e il secondo non dovesse trovare continuità, potrebbe mancare proprio l’ultima spinta per capitalizzare gli sforzi fatti.

LA STELLA – Ad inizio stagione c’era un velo di scetticismo, nonostante il pedigree, sul fatto che il centro con cui tentare l’assalto quantomeno ai playoff fosse quel “nanetto” di 1.98 di Kyle Hines. Ma c’è un motivo per cui è l’americano più vincente della storia dell’Eurolega (con 4 trofei); e, con il record solitario di Final Four disputate da prendersi (togliendosi dalla situazione di parità con JR Holden), dopo l’ottima stagione è stato lui a piazzare le giocate decisive nella gara 5 che è valsa l’accesso fra le magnifiche quattro a Milano. Per lui, il nono consecutivo: un dominatore.

Indovinate chi ha piazzato le giocate della vittoria nella decisiva gara 5 dei quarti?

 

 

CSKA

 

 
di Marco Pagliariccio

Sono corti, Milutinov rotto, dentro Eric che non è buono, senza James sono morti, cosa ci fanno con Lundberg che è esordiente a questi livelli, ora escono col Fener, vanno a casa col Nizhny…

Itoudis (fresco di rinnovo biennale) dovrebbe essersene sentite dietro di ogni in questa stagione. Il suo Cska è sembrato più volte sull’orlo di una crisi, tecnica e/o di nervi. Ma puntualmente ha trovato il modo di sbarcare alle Final Four di Eurolega e in finale di VTB. Che non vuol dire garanzia di alzare un trofeo, ma esserci testimonia quanto granitica e vincente sia la realtà del Cska. La sbandata a cavallo tra gennaio e febbraio (con cinque sconfitte su sette partite in Eurolega e i rovesci contro Zielona Gora e Kalev/Cramo in VTB) sembra un lontano ricordo, perché i russi, riconfigurati gli equilibri dopo le uscite di Milutinov e James e gli ingressi di Eric e Lundberg, hanno ripreso a marciare spediti. A Colonia l’Armata Rossa arriva forte di una striscia aperta di otto vittorie consecutive in Europa, compreso lo sweep al Fenerbahçe nei quarti (ok, la fortuna ha dato una mano colpendo duro i turchi sul fronte covid), e della serie di semifinale vinta a scapito dello Zenit in patria, dopo che nei quarti il Nizhny Novgorod l’aveva messa spalle al muro battendola in gara 2 e dando filo da torcere fino in fondo nella decisiva gara 3.

foto euroleague.net

La parte positiva dello scetticismo che continua ad aleggiare intorno ai campioni in carica è che, una volta tanto, non avranno la pressione del non poter sbagliare, che tante volte ha tirato loro brutti scherzi. E chissà che l’Efes, dopo aver visto i fantasmi contro il Real, non sbatta contro quelli della finale di due anni fa…

UP – Chiaramente, la dipartita di James ha costretto Itoudis a dover trovare soluzioni per distribuire i quasi 20 punti e 6 assist a gara del folletto volato ai Nets dopo la rottura proprio col coach greco. Il paradosso è che la squadra, oltre a stringere qualche vitina in difesa (dai 79 punti di media subiti nelle prime 31 giornate, il Cska è passato ai 71 delle sei partite disputate in Eurolega senza James), ha trovato una vera dimensione corale. Coloro che ne hanno giovato di più sono stati Voigtmann, Clyburn (MVP del mese di aprile in Eurolega) ma soprattutto Hackett. Gente che sa come si vince questo tipo di partite…

DOWN – Spesso nelle partite che contano sono i grandi solisti a fare la differenza. E questo Cska che pure si è compattato come squadra nelle difficoltà potrebbe avere questo problema. A chi affidarsi se il sistema non funziona?

LA STELLA – L’inserimento nel secondo quintetto della stagione di Eurolega direbbe Will Clyburn, ma per come arriva a Colonia questa è la squadra di Daniel Hackett. L’(ex) azzurro è sempre stato un fantastico gregario, ma nell’ultima versione del Cska è diventato decisamente il generale in campo dei rossoblu: stratosferico nelle prime due gare della serie col Fener, determinante nella “bella” col Nizhny e match winner di gara 4 contro lo Zenit in campionato, ora che anche il tiro da fuori è diventato automatico (46,2% da 3 in Eurolega, poco sopra il 50% in VTB) l’uomo di Pesaro è ormai un fattore anche come finalizzatore oltre che come difensore e costruttore di gioco. Per cui non sorprendetevi se il tiro della vittoria dovesse prenderselo lui…

Per inaugurare i quarti di finale, ventello in gara 1 contro il Fenerbahçe per Daniel

 

 

EFES

 

 
di Marco Munno

Durante il ciclo degli ultimi tre anni, nel primo è stata una piccola sorpresa, nel secondo una conferma, in questo terzo è una certezza: nel gotha attuale della pallacanestro europea l’Efes è presente a pieno merito. Di conseguenza, non poteva mancare all’appuntamento delle Final Four, in una sorta di revenge season di una revenge season: nella stagione scorsa la compagine turca voleva vendicare la sconfitta nella finale dell’anno prima; in questa ha voluto vendicare la fine prematura di un’annata in cui si considerava favorita e quindi la più penalizzata  dalla sospensione causata dalla pandemia (come coach Ataman ha spesso tenuto a ribadire). Una convinzione corroborata dal livello del basket espresso, per larghi tratti il migliore del Vecchio Continente: partendo dalla miglior coppia di guardie d’Europa, quella composta dall’appena nominato MVP della stagione d’Eurolega Vasilije Micić e Shane Larkin, ma non fermandosi lì.

foto euroleague.net

Al loro fianco, per completare il terzetto di giocatori più importante della squadra, infatti agisce un Kruno Simon che rimane una certezza nei momenti che contano, mentre Beaubois e Anderson sono ben più di semplici specialisti, in grado di dare tangibile contributo perfettamente inseriti nel sistema di gioco. Nel reparto lunghi rimane la grande varietà di soluzioni, con una gerarchia meno predefinita ma ben 5 giocatori che possono stare a lungo in campo: addirittura con la miglior stagione giocata in carriera da Sertaç Şanlı, diventato valida alternativa a Dunston e Pleiss quale centro della squadra. Insomma, quella turca è una vera e propria armata cestistica a cui non sembrano mancare né quantità né qualità per vincere la guerra per la conquista del trofeo.

UP – Ben 13 giocatori diversi sono partiti almeno una volta titolari, in 10 hanno un minutaggio superiore ai 10 minuti a gara e sono tutti andati a segno con una tripla almeno una volta (già, anche Dunston): al di là delle principali individualità, in tantissimi riescono a rendersi opzioni importanti a disposizione di coach Ataman, tutti inseriti in un sistema il cui flusso offensivo a volte diventa semplicemente irrefrenabile.

DOWN – Questa potrebbe essere l’ultima stagione in Europa di Micić prima di tentare il salto in NBA, le primavere sulle spalle di Simon e Dunston aumentano, lo stato di grazia di Larkin non è eterno (e già si sono avuti sporadici segnali a proposito): in pratica, per questo gruppo, dopo l’escalation di queste stagioni, si tratta di un “ora o mai più”. E questa pressione potrebbe giocare brutti scherzi: come ad inizio stagione, quando la squadra non ingranava, o come stava per accadere proprio all’ultimo appuntamento prima delle Final Four, quei quarti vinti con estrema fatica contro il Real.

LA STELLA – Nonostante non abbia mostrato il livello di gioco irreale sfoggiato dalla seconda metà del 2019 fino allo stop causato dalla pandemia, e nonostante la presenza in squadra del fresco MVP dell’Eurolega Micić, il giocatore che maggiormente è decisivo per le sorti dell’Efes resta Shane Larkin. Saranno ancora le sue accelerazioni a decidere quanto lontano andranno i turchi: se Shane sarà in grado di farle durare a lungo, per gli avversari la sua squadra risulterà imprendibile.

Il tiro decisivo per la vittoria nei quarti di finale contro il Real Madrid l’ingresso nelle Final Four: cortesia di Kruno Simon

 

 

Previous

Bad Boy Bill

Next

The (Efes) Last Dance

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Check Also