Si narra che quando, sotto la guida di Vittorio Merloni, dallo scorporo di Industrie Merloni nacque la Indesit e fu scelta Fabriano come sede centrale, nella città già famosa per la carta fu vietata ogni attrattiva che potesse distrarre l’attenzione dei dipendenti. L’azienda, infatti, diventò subito leader su scala nazionale tra gli elettrodomestici, ma all’operosità dei suoi lavoratori una singola eccezione fu doveroso concederla: la squadra di pallacanestro.

In effetti già da un paio d’anni (siamo nella stagione ’72-73) dopo un lungo pellegrinaggio a San Benedetto del Tronto, la società finalmente poté iscriversi alla Serie D per la prima volta e giocare sull’asfaltato campo del liceo classico. Sarebbe stato l’inizio di una lunghissima favola, che per la verità era partita già nel ’66 fondata da Bartocci, Frigio e Giuliano Guerrieri col campionato di prima divisione giocato sotto il nome di Salumificio Fabrianese, che ha appassionato e saputo conquistare una città intera.

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Sonaglia, Bolzonetti, Maurizio Lasi sono tra i protagonisti di una lunga cavalcata che, finalmente, sbarca in Serie A il 12 Giugno ’79 battendo Brindisi 64-61 nella finale playoff ed ha, 22 anno dopo,  proprio nell’attuale coach di Jesi il protagonista in panchina dell’ultima promozione.

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Nella stagione 2000-01, infatti, la Banca Marche chiude al quinto posto la stagione regolare e in semifinale elimina in quattro partite l’acerrima rivale Jesi dopo aver perso gara 1. La finale è contro la Record Cucine Napoli, allenata da un altro ex, Roberto Carmenati, che sulla panchina marchigiana starà tre anni in due diverse epoche, ma la serie è senza storia e con un secco 3-0 la vince la Banche Marche, approdando in serie A 22 anni dopo la prima volta. Decide un canestro di Gundars Vetra in Gara 3: 77-78

Con il play lettone ci sono ovviamente Chandler Thompson, che in quella partita ne segnerà 30, e soprattutto l’indimenticato Rodney Monroe, che con questa maglia giocherà ben 110 partite e segnerà 2515 punti prima di approdare a Roseto per la sua ultima stagione italiana, una sorta di preludio a quella che sarà successivamente la storia del club.

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Le stagioni nella massima serie sono appena due, ma nella prima con 28 punti la Fabriano Basket si salva abbastanza agevolmente, pur senza sponsor, e chiude undicesima. Contro le grandi perde quasi sempre, ma alla seconda giornata di ritorno si toglie lo sfizio, in casa, di battere 102-99 la Montepaschi in questo modo, dopo un supplementare. “The voice” è Gianni Quaresima, la prodezza è proprio dell’americano di cui sopra.

La seconda, invece, (2002-2003) è avara di soddisfazioni e nell’intera stagione arrivano appena due vittorie, in casa, contro Avellino e Siena ed una ovvia retrocessione: il tre maggio a Udine Fabriano gioca la sua ultima partita di A1.

Nelle cinque stagioni successive la squadra partecipa ininterrottamente alla A2 e nel 2007-08 si salva ancora una volta sul campo, arrivando terz’ultima, ma ciò non evita la triste fine di un’epoca.

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296 PROTAGONISTI, 296 E 23 CONDOTTIERI

Anno 2008, 10 giugno, ore 17.53, con l’ufficializzazione della cessione del titolo sportivo a Roseto, a Fabriano, dopo quasi 1000 partite in serie A (988 per la precisione), in ventidue stagioni di serie A2 e sette di A1 e complessivamente 42 stagioni di attività sportiva dal 1966, vittima forse anche della crisi economica cha attanaglia Fabriano, scompare nella città della carta, la pallacanestro (quella di serie A), uno dei vanti per trenta anni della cittadina fabrianese, insieme alla carta appunto, ai salumi, agli elettrodomestici.

Si legge infatti sul blog “ceraunavoltailfabrianobasket.blogspot.it”, dal quale abbiamo preso la maggior parte delle foto, e termina la favola di una squadra che nel 1993, per un paio di partite alla fine della stagione, aveva fatto vestire la sua maglia anche a Bob McAdoo, i cui 44 punti totali non bastarono a conquistare la salvezza.

Muore non solo il basket, ma con esso anche una parte della città, tra i suoi ventitré condottieri anche l’indimenticato Massimo Mangano, allenatore per sei anni dei marchigiani.

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Tra molteplici difficoltà qualcuno prova a tenere accesa, in città, la fiammella della speranza attaccata ad un amore che lega al basket praticamente tutta la popolazione. La Spider riesce in pochissime stagioni a spingersi dalla C

– qui il video della finale vinta contro Trebbo di Reno –

passando per la finale di B persa contro Chieti ma giocata dinanzi a 1500 spettatori rispetto alle poche decine che all’inizio avevano accolto timidamente questa nuova realtà, fino alla DNA (poi divenuta A2 Silver ed ora unificata alla A2), si salva anche sul campo nella stagione 2011-12, ma, per le immaginabili difficoltà economiche, è costretta a chiudere i battenti. Si deve ripartire nuovamente dal basso ed il rischio è che si generi dispersione tra le varie squadrette che sono nel frattempo sorte nei campionati regionali. Una di queste è la Blues, fondata da Mario Di Salvo, un giovanissimo ragazzo siciliano (adesso ha quasi 29 anni) trasferitosi a Fabriano per ragioni di lavoro dei genitori, a cui, in realtà, inizialmente il basket non piace neanche più di tanto. “Amavo il calcio e del basket mi interessava poco o nulla, anzi quasi lo detestavo perché ogni mio compagno di classe mi parlava delle imprese di Monroe e Thompson e dei loro canestri allo scadere – racconta Mario – ma quasi per sfinimento decisi di andare a vedere una partita per la prima volta dal vivo. Era un derby di A1 contro la Scavolini, non sapevo nulla delle regole o di cosa regolasse tutte queste dinamiche, ma fui subito conquistato dal calore dell’ambiente e dal fascino di tutto ciò che circondava il basket in generale”.

Ed, in un attimo, da lì a non saltare neanche una trasferta il passo è stato fin troppo breve, ma, all’improvviso e sul più bello, nel 2008 la favola finisce con la cessione del titolo a Roseto. “Non era tanto importante che avessimo perso la Serie A, quanto che davvero non ci fosse più un riferimento per cosa fare e come riempire la domenica di tutti i fabrianesi che venivano al palazzetto – prosegue – o in trasferta, così, visti i costi abbastanza accessibili dell’iscrizione ai campionati, decidemmo di fondare una squadra di amici, peraltro nemmeno così capaci di giocare, con un unico obiettivo: tornare la domenica a respirare aria di Basket”. I Blues, allora, partono come ogni favola minors che si rispetti, dalla Prima Divisione e si spingono fino alla Serie D. Si autofinanziano, ma per la verità è Mario, che nella vita di tutti i giorni fa l’imprenditore, ad accollarsi quasi per intero l’onere della gestione economica dell’attività. “Non avevamo altra pretesa se non quella che il basket a Fabriano non morisse del tutto – continua Mario – ma la nostra crescita è proseguita graduale sia sul campo, con buoni risultati, che anche a livello organizzativo, garantendo a tutti borse, divise e tutto l’occorrente necessario per andare avanti nella stagione”. Ma, si sa, l’ambizione prima o poi cresce e a perdere non ci sta nessuno, così Mario, in maniera intelligente comprende che da soli non si può andare avanti ed accetta l’idea di fondersi con un’altra squadra di paese e ripartire dalla Promozione. Nasce la Janus, colori sociali ovviamente biancoblu, il cui nome deriva chiaramente dal fiume Giano che scorre nelle vicinanze, ed unifica al suo interno le anime delle due società precedenti che l’hanno costituita.

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L’escalation è immediata e, un passo alla volta, un campionato vinto dopo l’altro, la favola arriva fino alla C regionale, riavvicinando quel pubblico cui poco importa che invece che con Jesi e Roseto, per non dire Pesaro, ora i derby si giochino con Matelica e Pedaso. Proprio contro quest’ultima la Janus perde due stagioni fa la finale di C regionale, dopo un percorso netto da trenta vittoria e nessuna sconfitta, in gara 4. Fabriano è sotto 1-2 nella serie e pur perdendo, crede di essere riuscita definitivamente nel suo intento: 1500 persone più 300 da Pedaso, ma, purtroppo, persa la finale, il sogno sembra svanire nuovamente.

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La determinazione di Mario e dei suoi collaboratori è, però, più forte di ogni ostacolo e stavolta la promozione arriva, anche se, in virtù della riforma dei campionati e della “scelta” dei comitati regionali tra C Gold e C Silver, nelle Marche si gioca il secondo di questi. La squadra – l’allenatore è lo stesso Bolzonetti che con Lasi diede origine a questa favola – ha un budget risicata e soffre della crisi che attanaglia quest’epoca, trovare un sponsor principale è complicato e la società è costretta ad introdurre anche un biglietto d’ingresso a pagamento laddove assistere alle partite era sempre stato gratuito in passato. “L’ingresso gratuito aveva sicuramente agevolato l’afflusso del pubblico alle nostre partite – spiega il presidente, che con orgoglio incalza – ma siamo stati attivi anche nel sociale, entrando nelle scuole, donando un proiettore ad un’aula multimediale di una scuola e organizzando una raccolta fondi a scopo benefico in favore di un’associazione oncologica della città”. L’occasione è una partita di vecchie glorie nella quale scende in campo anche l’Over 40, allenata ovviamente da Alberto Bucci, un altro dei 23 condottieri di cui sopra, e della quale fa parte anche un altro indimenticato ex del passato come Mark Crow, padre di Nicholas scuola Scavolini ed ora in A2 a Scafati.

http://www.fimbaitalia.com/natale-la-nazionale-regala-emozioni-ma-la-vittoria-la-tiene-per-se/

“Molta gente ci ha conosciuto in quella occasione ed apprezzando la nostra volontà, non ci ha abbandonato nemmeno con l’ingresso a pagamento”. Dove non possono i soldi, ci devono arrivare le idee e la tenacia, qualità che allo staff fabrianese non mancano di certo, anche perché, pur a distanza di anni, quella maglia esercita un fascino ancora forte soprattutto in chi a Fabriano è nato. Si parla di Usberti, Quercia ed il talentino fatto in casa Bugionovo, che rifiutano offerte decisamente superiori pur di abbracciare la causa della Janus, mentre gli americani capiscono che la società possa essere un ottimo trampolino di lancio per i futuri sviluppi della carriera. Qui, però, entra in scena un altro personaggio chiave: “Simone Lupecchini è un nostro dirigente da più di dieci anni ormai – spiega Di Salvo – e tornando a casa da lavoro passa intere nottate a guardare i video soprattutto dei giocatori in uscita dal college, a cui noi, di solito, facciamo firmare un 1+1 che possa garantirci in caso di buon esito della loro stagione o in minima parte ricompensarci della scoperta, qualora volessero andar via per cercare situazioni migliori”. E lo scouting sembra funzionare egregiamente se dopo Calandrillo, top scorer dell’ultima stagione, quest’anno sono approdati anche Franklyn e Taylor (nella foto), in uscita rispettivamente da Ohio State e Louisiana.

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Dopo 14 giornate di campionato, tra l’altro, la Janus è prima nel girone B della Silver marchigiana avendo perso solo due partite e, anche se la strada è lunga e piena di ostacoli (dopo l’incrocio con l’altro raggruppamento marchigiano solo le migliori saranno ammesse ad un girone promozione da 4 squadre con le migliori di Sardegna, Toscana ed Umbria), nessuno vuol più nascondersi: “non ci aspettavamo di poter essere già pronti per questo livello – commenta onesto ancora Mario Di Salvo – ma, adesso, avendo visto già la maggior parte delle nostre avversarie, possiamo dire di avere le carte in regola per arrivare in fondo almeno alla fase regionale. Del resto crediamo sempre in tutto ciò che facciamo”. E così, anche se sembrava essere più volte sul punto di morire, il  sogno pallacanestro è più vivo che mai, tanto che i derby mantengono lo stesso fascino anche se la tradizione degli avversari è decisamente differente. “Ogni volta che giocavano Thompson e Monroe la città si fermava e si spostava tutta al palazzetto – racconta un’altra anima della Janus, il giovanissimo addetto stampa e speaker Lorenzo Ciappelloni – da Jesi distiamo appena 40 km e mezz’ora di strada, ma lo stesso succedeva anche con Porto San Giorgio e Roseto”. Come detto, però, gli avversari attuali sono diversi e tra questi c’è Matelica, mai una grossa storia cestistica alle spalle, ma investimenti piuttosto importanti in sede di campagna acquisti. “Abbiamo giocato e perso di un punto sulla sirena il derby d’andata da loro, davanti a 250 fabrianesi – prosegue Ciappelloni – ma è stata la miccia che ha riacceso del tutto la passione in città. Qualcuno si era allontanato, quasi per la paura di innamorarsi ed essere tradito nuovamente dal timore che la storia potesse finire, si erano allontanati anche i vecchi leader della tifoseria”. Ma il 6 dicembre si gioca la partita di ritorno e, con fierezza, il presidente Di Salvo torna indietro nel tempo per raccontare l’aspetto che più lo rende orgoglioso di quanto fatto durante la sua presidenza: ”Il bandierone più grande d’Europa, (quello che, come ci ha precisamente riferito Lorenzo, era stato creato nel 2001 dagli Alta Tensione ed Ultras Fabriano ed aveva debuttato contro la Teamsystem), era  disperso in una scarpata e ricomparso solo per la finale contro Pedaso, diviso praticamente in tre pezzi. Ricucirlo del tutto era impossibile, ma ho chiesto a tre anziane sarte della città di lavorarci sopra e così, tra qualche improperio e maledizione, dalle sette di mattina alle dieci di sera l’hanno rimesso a nuovo”. La partita con Matelica, oltre che per scrivere un’altra pagina di storia che nessuno vuol fare terminare, è l’occasione giusta per ritirarlo di nuovo dalla naftalina e, stavolta, non abbandonarlo più: “Rappresenta un po’ la metafora di tutto il basket fabrianese – si riallaccia al discorso fatto in precedenza il presidente – e cioè che qualcosa che prima si era perso, ora è come nuovo, un po’ come la pallacanestro nella nostra città”. Aggiustarlo non è più possibile, serve che solo tenere cuciti insieme tanti pezzi di stoffa, ma anche qui la voglia di tornare a rivivere vecchie sensazioni del passato è troppo forte e allora: ”Ho chiamato Davide Bergamo chiedendo se ce l’avesse lui il bandierone – riprende Lorenzo Ciappelloni – e così, il giorno prima, tante persone hanno riempito la tribuna, munite di ago e filo, per ricomporlo e poterlo mostrare nuovamente in tutta la sua bellezza nella partita con Matelica”.

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La partita la vince la Janus capolista 73-59, ma lo spettacolo è prima di tutto sugli spalti (dove ci sono più di 1000 spettatori) riassunto perfettamente da un video che spiega tutta la divampante passione di una piazza che, a prescindere dalla categoria, non vuol separarsi più dal suo più grande amore:

E' stata una grande giornata per Fabriano. In attesa del resoconto del derby, vi dedichiamo questa clip. Per farvi…

Posted by Janus Basket Fabriano on Lunedì 7 dicembre 2015

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1 comment

  1. Peccato che l' inizio dell' articolo ha grosse inesattezze : Indesit era una grande azienda di elettrodomestici commissariata cioè fallita acquista da Vittorio Merloni nel 1987 che solo dopo trent'anni diventerà il marchio societario sostituendo la denominazione Merloni Elettrodomestici S.p.A. Secondo aspetto è una legenda metropolitana che MERLONI non vollessero divertimenti se vogliamo dirla tutta non solo il basket ma dai tempi di Aristide Merloni il calcio ( senza grandi risultati oltre la serie D )oltre il basket sono stati sponsorizzati . La leggenda metropolitana nasce dal fatto che tutti ritenevano che Merloni costruisse e gestisse i locali di divertimento attività a cui non erano proprio interessati . Mi viene anche da sorridere quando sento questa legenda metropolitana perche' potrei raccontare episodi vissuti in prima persona per certificare che è' proprio una legenda metropolitana. Per il resto complimenti un bellissimo spaccato della storia FABRIANESE del basket.
    Roberto Sorci

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