Dopo ogni telecronaca delle partite dei Mondiali su Sportitalia era richiesto che scrivessimo e speakerassimo (neologismo più brutto di un debito con uno strozzino, lo so bene, ma purtroppo siamo abituati a dire così) un pezzo di riepilogo della partita, in modo che fosse poi montato con un po’ di immagini e formasse un servizio tra i 90 e i 120 secondi da mandare durante gli studi pre/postpartita di Eleonora Boi o nelle edizioni notturne dei tg. Io, finita la partita che avevo commentato, ci mettevo sempre più o meno un’ora, se non consideriamo i circa 30 minuti spesi per rispondere ai trentordiciassei messaggi che voi scalmanati mi mandavate su Twitter: tre quarti d’ora per decidere come iniziare il pezzo e poi un quarto d’ora per scriverlo. Quando Raffaele, deus ex machina della Giornata Tipo, mi ha contattato per chiedermi di scrivere una sorta di “diario” del Mondiale visto da dietro il microfono, ho pensato subito due cose: “cazzo, certo che sì!” e “cazzo, come lo inizio?”. Fin da quando scrivo (e lo faccio -male- da tanto tempo) ho sempre avuto grosse difficoltà a decidere come iniziare un pezzo o un articolo. Diciamo che non ho un blocco dello scrittore, ho direttamente un arresto-coatto-con-pistola-puntata-alla-tempia-dello-scrittore. Invece questa volta, con questo stratagemma dell’inizio raccontando i miei problemi nel trovare un inizio, ho evitato il problema e ho già scritto praticamente un buon 20% dell’articolo. La mia autostima si sta chiudendo in bagno a praticare dell’onanismo.

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Abbiamo parlato di Sportitalia. Tutto per me è cominciato un pomeriggio di agosto quando mi è arrivato un messaggio da Matteo Gandini, che mi chiedeva se potesse chiamarmi per propormi una cosa di lavoro. Io e Teo collaboriamo da qualche anno per la stessa piattaforma come telecronisti di calcio per la Serie A, però parlando tante volte assieme ha potuto scoprire la passione condivisa da entrambi per gli Sport USA (l’anno scorso eravamo, sia pure non assieme, entrambi alla gara europea di NFL tra 49ers e Jaguars a Londra) ma soprattutto che il calcio mi piace e lo racconto per guadagnarmi una pagnotta con la porchetta da mettere in bocca a fine mese, ma che io in realtà arrivo dal basket e nasco e muoio come cestofilo incallito e talebano della palla a spicchi. Quel pomeriggio gli ho risposto che lo avrei richiamato io un’oretta più tardi, dal momento che stavo finendo il mio turno giornaliero nell’agenzia di statistiche e dati sportivi per la quale normalmente lavoro a tempo pieno. Nel corso di quell’oretta è esplosa la bomba: un tweet del profilo di Sportitalia annuncia l’acquisizione dei diritti completi ed esclusivi dei Mondiali di basket. In matematica ho sempre avuto voti degni di Raffaella Fico, ma fino al 2+2 riesco ad arrivarci pure io: in quel preciso momento mi sono sentito come una ragazzina decerebrata nel pieno della sua esplosione ormonale di fronte ad uno a caso dei One Direction (anche perché voi riuscite a distinguerli?). Una volta ripreso un ritmo cardiorespiratorio un attimo più regolare, ho chiamato Matteo che mi ha confermato quello che già avevo intuito. Davvero Sportitalia avrebbe trasmesso tutti i Mondiali e davvero volevano me per raccontarli. Quando ho appeso il telefono credo di aver reagito come il miglior Jerry Calà dei vecchi tempi, con un “Libidine! Doppia libidine! Libidine coi fiocchi!” che deve avere spaventato non poco i passanti di una tranquilla via di Lambrate.

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Adesso però ve ne racconto una divertente: un paio di settimane dopo arriva il giorno in cui sarei dovuto andare in sede a Sportitalia a presentarmi al grande capo Michele Criscitiello e a far vedere a tutti la faccia del disgraziato che avevano deciso -contenti loro…- di spedire a parlare in diretta sul loro canale. Tutto bene se non che a metà mattinata, poche ore prima di andare negli studi di SI, faccio per sedermi in redazione dopo essermi alzato per andare a bere e sento uno “straaaap” sospetto. Se fossi stato Pato o Derrick Rose avrei pensato al muscolo sartorio della gamba destra o a qualche legamento a caso dal nome difficilmente memorizzabile, invece nel mio caso già sapevo cosa mi era accaduto: nell’atto di sedermi, mi ero squarciato i pantaloni proprio all’altezza del culo. La fortuna sarà anche cieca, ma la sfiga ci vede come un’aquila ed è pure discretamente battona. Delirio momentaneo, che verrà risolto grazie all’aiuto di mio fratello e del mio collega Mattia (che non smetterò mai di ringraziare) che, prima di venire in redazione alle 16 per iniziare il suo turno, allunga la strada di 20 minuti, va a casa mia a ritirare da mio fratello un paio di bermuda intatti e possibilmente resistenti, e me li porta al lavoro pochi minuti prima della mia uscita verso Sportitalia. Colloquio andato bene, ruolo di telecronista confermato e spavento successivamente annegato poi in serata in una dannosissima Viennetta alla Creme Brulèe con la mia amica Iaia (giocatrice tra l’altro della nazionale femminile), un’abbuffata di gelato che metterà sicuramente in ulteriore pericolo altre paia di ignari pantaloni. Sputtanatomi per bene con questo aneddoto, posso raccontarvi dei primi veri approcci con i Mondiali.

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Pochi giorni prima dell’inizio della competizione Matteo Gandini (che per questa Coppa era telecronista, conduttore in studio, coordinatore, responsabile degli ospiti da invitare, ecc… Penso abbia lavorato in media 19 ore al giorno nelle ultime tre settimane!) ci ha mandato il piano telecronache delle prime tre giornate. In quei momenti personalmente non sapevo cosa sperare: da una parte ovviamente a tutti faceva piacere raccontare le big dei Mondiali, dall’altra mi attiravano le squadre simpatia di seconda se non terza fascia: magari sarebbe stato più difficile riconoscere tutti i giocatori (lo ammetto: qualche senegalese, buona parte dei coreani, iraniani, egiziani, ecc. non li conoscevo neppure io) ma si sarebbe potuto scavare alla ricerca di qualche storia interessante che rendesse queste squadre di culto una sorta di eroi dei telespettatori a casa. Le partite dei primi tre giorni accontentavano entrambi questi parametri: al sabato mi era stata assegnata Lituania-Messico, alla domenica Grecia-Filippine e al lunedì Croazia-Senegal. Tre squadre di alto livello e tre potenziali mascotte dall’alto tasso di idolaggine (se ho scritto “speakeriamo”, credo che “idolaggine” a questo punto. sia facilmente sdoganabile). Le prime due partite tra l’altro sarebbero state alle 20, quindi avrei pure fatto il mio esordio al racconto di un Mondiale di basket andando in onda in prima serata. Not bad. Tante volte mi è stato chiesto se io abbia avvertito della pressione, delle tensione, se me la sia fatta sotto, o cose così. Sarò sincerissimo: negli ultimi due giorni prima del Mondiale continuavo a guardare l’orologio come per spingerlo ad andare più veloce, tanta era l’impazienza di iniziare questa avventura, però non sono mai stato teso per neanche un secondo, neanche quando sono entrato in cabina di commento per la prima partita.

Quando ormai si è abituati a fare questo lavoro, poco conta che tu stia raccontando una partita di DNB per poche centinaia di persone su una web tv (come mi è capitato di fare in passato) oppure un Mondiale per decine di migliaia di appassionati pronti a non farti passare neanche una virgola sbagliata. Una volta che sei davanti al microfono le sensazioni sono sempre le stesse, anche perché fai una cosa che ti viene naturale e che hai fatto altre volte, oltre al fatto che non hai un riscontro immediato di tutte le persone che ti stanno ascoltando. Se avessero messo tutti gli spettatori di Sportitalia in uno stadio e avessi dovuto parlare di fronte a loro, credo che non avrei potuto spiccicare una parola. Ma nella solitudine della cabina questi pensieri rimangono chiusi fuori oltre i pannelli fonoassorbenti. Ecco, se devo dire una volta in cui sono stato un filo più nervoso delle altre, questa è stata quando ho commentato l’ottavo di finale tra Slovenia e Repubblica Dominicana con Franco Casalini: lui ha fatto la seconda voce per anni assieme ai colleghi di Sky, probabilmente i migliori e i più professionali in questo mestiere, e io mi sentivo come in dovere di non sfigurare di fianco ad uno abituato a lavorare ad un livello così alto. Però è stato bravo a mettermi a mio agio e a seguirmi nella telecronaca, quindi è risultato tutto più facile e tranquillo (non Flavio) del previsto. Alla fine posso quasi dire che l’ostacolo più grande non sia stata la tensione o il nervosismo, quanto la temperatura equatoriale che regnava in cabina di commento, dove sembrava di stare nel deserto dell’Arizona e sudavano perfino le orecchie sotto le cuffie.

 

Un’altra delle credenze più diffuse attorno al ruolo di telecronista è che uno arrivi, si metta in testa le cuffie, commenti la partita per due ore e se ne vada. In realtà il tempo passato davanti a un microfono rappresenta forse un quinto del tempo totale di una telecronaca, dal momento che per prepararla al meglio servono sempre ore e ore trascorse nel prepartita a prepararsi miriadi di fogli con roster, dati anagrafici, statistiche, note, calendari, notizie, storie o ad informarsi sullo zio del panettiere del vicino di casa del play di riserva della squadra. Quando entravo in cabina di commento mi pareva di essere un postino, da quanti fogli avevo in mano. Credo di aver disboscato un numero di alberi pari a metà dell’area boschiva delle Dolomiti Bellunesi, con tutte le robe che mi sono preparato in queste settimane per fare delle telecronache all’altezza.I momenti più belli e gratificanti di questi lunghissimi momenti di preparazione (che spesso mi hanno anche fatto perdere ampi spezzoni delle altre partite: con un occhio guardavo il pc e con l’altro la tv, ma dopo pochi minuti per evitare di finire come Marotta desistevo e mi concentravo sui miei compiti) sono stati principalmente due: quando ho scoperto la meravigliosa, inimitabile, straordinaria Lega Filippina -con le squadre che rappresentano non una città ma un’industria, con nomi come Burger King Whoppers (qui, nel cuore della notte, volevo alzarmi in piedi e urlarmi “Siete i miei nuovi profeti! Riducetemi in schiavitù e fate di me quello che volete!”, salvo poi tranquillizzarmi per non essere diseredato dai miei genitori e per la delusione della scoperta che tale squadra attualmente non esiste più, essendo stata ceduta ad un’altra azienda), con le partite giocate tutte in campo neutro, con tre campionati diversi in una stagione, con limiti di altezza per gli Imports (i giocatori stranieri) a seconda di quale dei tre campionati si stia giocando, e così via- e ovviamente anche la commovente storia di coach Orlando “The Hurricane” Antigua, allenatore della Repubblica Dominicana, uno che ha vissuto per anni con un proiettile nel cranio, che è stato un homeless mentre faceva crescere i due fratellini minori e che è diventato il primo ispanico della storia degli Harlem Globetrotters, prima di diventare in tempi recenti uno dei migliori reclutatori di tutta la NCAA. La partita delle Filippine contro la Grecia e l’upset del Senegal sulla Croazia la mattina seguente sono state senza dubbio le due partite che più mi sono divertito a raccontare (assieme alla super prova del Messico contro l’Angola, con il Virito Hernandez sugli scudi come il capo del villaggio di Asterix, e al basket meraviglioso dei primi 25 minuti di Serbia-Grecia), anche perché le ho raccontate assieme ad un uomo di basket straordinario come Mattia Ferrari. Io conosco Mattia da 10 anni, perché è stato mio allenatore a Saronno, inizialmente nelle giovanili e poi nelle mie prime acerbissime esperienze con la prima squadra di Serie B2. Anzi, vi svelo un piccolo retroscena: nella squadra della stagione 2006/07 in panchina c’era Mattia Ferrari e in rosa c’eravamo io e (ovviamente con un ruolo infinitamente più importante) Andrea “Elle” Solaini. Se qualcuno poco più di 7 anni fa mi avesse detto che ci saremmo ritrovati tutti e tre assieme a raccontare un Mondiale di basket in tv, gli avrei risposto che potevo anche comprendere come la grappa potesse essere piacevole, soprattutto dopo un pasto particolarmente impegnativo, ma che l’abuso della stessa non è necessariamente una cosa positiva per la propria lucidità mentale.

Dicevo di Mattia: ha una testa per la pallacanestro fenomenale, è un allenatore severo ed esigentissimo (a volte pure troppo), ma è una delle persone più competenti e preparate che abbia mai conosciuto in tutti questi anni nel mondo del basket. Assieme a queste doti, porta a spasso una simpatia ed una capacità fulminea di battuta che possono anche portarti a non riuscire a finire la tua pizza nei famosi “venerdì della spiega” al ristorante dello Sceriffo per colpa del lancinante mal di pancia dovuto al troppo ridere. Vi regalo un aneddoto: durante quel famoso anno a Saronno aveva l’abitudine, all’allenamento del lunedì, di far trovare appesi alla porta interna dello spogliatoio dei cartelloni che iniziavano a presentare la squadra del sabato successivo, che poi avremmo studiato meglio nel corso della settimana. Io non ho mai visto una persona così brava come Mattia Ferrari nello “scoutizzare” i giocatori avversari, cogliendo ogni piccola minuzia e preparando una contromossa adeguata. Di ogni giocatore scriveva tutto, compresa ogni minima tendenza in una particolare situazione di gioco. Capita che un lunedì, alla fine della nota di un giocatore -sotto le cose da fare contro di lui quando giocava il pick ‘n’roll, in penetrazione, in post basso, a rimbalzo, in spogliatoio, ecc.- scrive la seguente frase: “ha avuto una liaison con Iva Zanicchi”. Noi finiamo di studiare tutti gli avversari, andiamo in campo e troviamo Mattia. Ci chiede se abbiamo capito tutto e noi gli diciamo: “sì sì, più o meno è tutto chiaro, alla fine contro Tizio facciamo aiuto e recupero, contro Caio passiamo dietro, in post anticipiamo sempre di tre quarti Sempronio, ma…è vero che Pincopallo si chiavava la Zanicchi??”. Al che Mattia, con fare imperturbabile e distaccato, ci risponde: “No. Volevo solo essere sicuro che lo leggeste per davvero”. Meraviglioso. Conoscendolo così bene e da così tanto tempo, calarsi al meglio nella partita quando avevo lui al mio fianco è stato fin troppo facile. Da una parte dovevo raccontare quanto accadeva in campo, dall’altra dovevo servirgli degli assist per le sue analisi tecnico-tattiche (questa leggetela imitando nella vostra testa la voce di Fabio Capello) e fargli praticamente da spalla per le sue battute e improvvisazioni da cabaret. Ne sono nate due partite fantastiche per ritmo e divertimento. Raramente mi ero divertito così tanto nel raccontare una partita e, a quanto pare, anche la gente a casa si era divertita viste le centinaia di messaggi che ci sono arrivati e addirittura il post che quel giorno ci ha dedicato appositamente Raffaele sulla pagina facebook de La Giornata Tipo. Quando, finita la telecronaca, ho letto quel post con migliaia di like e dozzine su dozzine di condivisioni, non ci potevo credere. Non dico che mi sono sentito famoso ma, se davvero ogni uomo ha diritto ad un quarto d’ora di celebrità, come diceva Andy Warhol, ho pensato che probabilmente il mio era quello di quel pomeriggio post Croazia-Senegal.

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I motivi per bullarmi con gli amici durante i Mondiali sono quindi diventati principalmente tre: quello di essere pagato per chiacchierare di basket in diretta su una tv nazionale, quello per l’appunto di avere un post dedicato a me su una pagina di culto come quella de La Giornata Tipo e infine (e qui l’invidia del 98% dei maschietti si impenna) quello di aver conosciuto e lavorato di fianco ad Eleonora Boi. Metà delle volte in queste settimane, quando ho incontrato amici o colleghi, la prima domanda è stata “ma com’è dal vivo la Boi?”. La risposta è ovviamente quella che potete immaginare anche voi, ovvero “un gran bel pezzo di figliola”. Ma il mio primo giorno a Sportitalia (come poi in maniera scherzosa ho rivelato anche a lei alla fine di questi Mondiali) il mio timore era quello di dover lavorare di fianco alla classica bella ragazza “che se la mena”, come si dice a Milano. Purtroppo capita spesso in Italia, dove sembra quasi che una ragazza debba pagare una tassa a quattro zeri per poter essere contemporaneamente bella e simpatica e quindi dica “ok vaffanculo, sono già figa, non posso essere anche divertente. Se volete ridere prendetevi uno di quei cessi a pedali che sembrano uscite da Zelig Circus ma che hanno il disclaimer VM18 pure sulla foto della carta d’identità”. Con Eleonora invece la sorpresa è stata l’accorgermi dell’opposto. In questi giorni ho avuto la fortuna di conoscere una ragazza simpatica, alla mano e divertente, tanto che probabilmente ricorderò più le risate che ci siamo fatti canticchiando in maniera stonata in redazione o aspettando una pizza che non arrivava mai piuttosto che la sua bellezza, che pure dal vivo è perfino più lampante che tramite o schermo di una tv. Con Eleonora è stato bellissimo lavorare (anche se mi sfotteva simpaticamente dandomi dello “scappato di casa”, visto il mio perenne look t-shirt+pantaloncini da basket unito al mio sex appeal degno di un monatto dei Promessi Sposi), ma in generale è stato bello condividere questa avventura con tutti gli altri telecronisti, con i vari commentatori tecnici e ospiti in studio che si sono alternati e anche con i ragazzi del resto della redazione di Sportitalia conosciuti in queste settimane, con il clou di una sera passata a ricordare i vari sketch delle vecchie edizioni di Mai Dire Gol, con tanto di momento karaoke sulle note di “Dimmi cosa pensi di me” di Olmo e Vanette (Fabio De Luigi e Paola Cortellesi). Momenti che mi piacerebbe aver registrato per poterli rivedere e per potervi mostrare quanto può essere cazzona anche la gente che va in tv e che sembra così seria al momento del proprio lavoro.

Il mio Mondiale è finito con gli ottavi di finale, dopo la sfida tra Serbia e Grecia della seconda domenica di gioco. In sostanza il mio viaggio a Sportitalia è durato più o meno 10 giorni, mentre l’ultima settimana di partite (dai quarti in poi) è stata ovviamente gestita dai due telecronisti più esperti, ovvero la voce principale Matteo Gandini e un altro grandissimo professionista come “Elle” Solaini, e quindi l’ho sostanzialmente vissuta da spettatore, proprio come voi. Però porterò comunque sempre con me il ricordo di questa esperienza meravigliosa, con giorni interi passati a respirare, masticare, vivere e parlare praticamente solo di basket, raccontando una manifestazione così importante agli appassionati di tutto il paese e ricevendo in cambio una cascata di ringraziamenti, attestati di stima e complimenti, che comunque non fanno mai male e anzi fanno piacere quando uno si sforza per fare nel miglior modo possibile il proprio lavoro.

 

Sono stati giorni anche pesanti, dividendomi tra la redazione di Sportitalia e il mio abituale lavoro, per poi tornare a casa a tarda sera e preparare di notte la telecronaca del giorno dopo. Però sono stati giorni bellissimi ed indimenticabili, e baratterei ancora tutta la fatica e tutto il sonno sacrificato di questo mondo per poter tornare indietro e rivivere nuovamente queste due settimane, salvo poi arrivare alla fine e voler ricominciare ancora da capo. Alla fine di tutto è stata una delle esperienze lavorative più belle ed eccitanti di tutta la mia vita, e nel caso in cui siate riusciti ad apprezzarla e a divertirvi anche solo un decimo di quanto me la sono goduta io, beh, allora potrei anche considerare come riuscito alla grande il mio -anzi, il nostro- bellissimo compito.

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About Author

Mario Castelli

Classe (poca) 1988, saronnese, ex giocatore. Ma molto più ex che giocatore. Non so scrivere presentazioni, anzi non so scrivere e stop. Mi domando da tempo perchè i video dei Kings del 2002 e degli Spurs del 2014 non si trovino su Youporn, ma non riesco a darmi risposte. Vivo per guardare partite, guardo partite per poter mangiare e mangio per vivere. Ma anche vivo per mangiare, mangio mentre guardo partite e guardo partite per guadagnarmi da vivere. Maledetti circoli viziosi.

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