articolo di Marco A. Munno

 

 

Estate 2017. I Warriors hanno da poco conquistato l’anello NBA, giunti in finale per la terza stagione consecutiva. La Western Conference, che già li vedeva al top nel triennio, ha visto aumentare il distacco delle altre franchigie dalla banda di Kerr, con un 12-0 quale percorso netto per diventare nuovamente campioni ad Ovest.

Per tutte le altre squadre che aspirano a scalare le gerarchie, l’esigenza è quella di rinforzarsi. Ne risulta un mercato scoppiettante (escludendo gli Spurs dalla consueta filosofia di sviluppo del materiale umano già a roster) che porta ad ognuna delle pretendenti alla corona un’iniezione di gran qualità: i Rockets acquisiscono Chris Paul, i Thunder si accaparrano Paul George e Carmelo Anthony, i Timberwolves aggiungono Jimmy Butler, i Nuggets mettono nel roster Paul Millsap, i Clippers suppliscono alla partenza di CP3 con la combinazione di Lou Williams – Gallinari – Beverley – Teodosic, i Jazz firmano Rubio ma soprattutto compiono un capolavoro al draft con la scelta di Mitchell.

I Pelicans, invece, puntellano poco il loro roster; il mercato non regala grandi colpi, dopo lo scossone dato durante la seconda metà della scorsa stagione con la trade che aveva portato DeMarcus Cousins a New Orleans, per cercare di frenare qualche malcontento proveniente dal miglior lungo della lega, quell’Anthony Davis invischiato in una situazione dai tratti quasi paradossali: dalla sua selezione come numero 1 assoluto del draft 2012 rispetta a pieno le grandi attese sul suo conto, diventando un All Star sin dalla sua seconda stagione (diventandone anche il miglior realizzatore di sempre in gara singola, con 52 punti); ma, tranne nel 2015 (dove registrò 31.5 punti e 11 rimbalzi di media, raggiungendo Olajuwon, Malone e O’Neal come unici negli ultimi 20 anni a tenere medie di 30+10 ai playoffs), dove l’eliminazione avvenne comunque al primo turno, inserito in contesti poco competitivi (sommati alla propensione agli infortuni) si ritrova a vedere puntualmente la post-season dal divano. La previsione di coach Gentry, assunto per cercare di aprire un ciclo intorno a The Brow lasciando il suo posto da assistente dei Warriors campioni nel 2015, proprio durante i festeggiamenti al termine di quella finale, sinora è risultata lontanissima dalla realtà.

“Anthony, we’re coming right back here”

 

Se nella scorsa stagione trovare un’amalgama con un’aggiunta del peso di Cousins era improbabile in un breve lasso di tempo, in quest’annata una preseason di lavoro con il personale totalmente a disposizione stava svelando il potenziale della coppia. La riedizione delle “Twin Towers”, quei Duncan & Robinson a cui il duo è stato da subito accostato, in quanto somma di lunghi già individualmente nell’elite dell’intero panorama cestistico, prevedeva difatti l’upgrade della definizione di un tale duo applicata alla pallacanestro contemporanea. Entrambi, infatti, ad un dominio in post basso grazie a leve lunghe e forza fisica, aggiungono una dimensione perimetrale che li porta ad essere gemme a tutto tondo (DeMarcus proveniva da due stagioni col 34.7% complessivo, Anthony da una col 31.2% da tre punti) in attacchi che spesso costringevano le difese a raddoppi o attenzioni particolari per un loro contenimento individuale.

Nel dettaglio, l’idea di Gentry era quella di evitare la compresenza dei due nei post bassi, ma di isolare in quella porzione di campo quello su cui la difesa accoppiava il marcatore di minor stazza. Il big man avversario, impegnato in marcatura sull’altro lungo, non poteva aiutare per non subire un canestro da fuori o esporre la squadra ad un mismatch (in caso di rotazioni successive dei difensori):

Impegnato fuori dalla linea da tre punti da Cousins, Kanter non può proteggere l’area da un post up dove Davis non trova opposizione

Gli aiuti provenienti invece dai difensori degli altri tre componenti in campo erano comunque puniti dall’alto grado di collaborazione della squadra, la quale generato un vantaggio non esitava a far circolare il pallone per cercare alla fine un tiro senza contestazione; a tal proposito, è possibile notare ben tre giocatori di New Orleans fra i migliori 22 stagionali per percentuali da due punti (lo scontato Anthony Davis, il plausibile Jrue Holiday ma anche l’improbabile E’Twaun Moore sopra la quota del 55%):

L’ottimo spacing rende complicato il lavoro della difesa

Inoltre, i continui tagli degli esterni non fornivano punti di riferimento ai difensori ruotati in aiuto sulle due star, consentendo facili canestri prima dei recuperi; i Pelicans risultano, a proposito, ottavi nella lega per tempo di gioco speso in tagli a canestro (7.5% del totale) e quarta per punti realizzati da taglio (1.32 a possesso di questo tipo):

Accenno di raddoppio di LeVert (22), originariamente in marcatura su Nelson; sul taglio del numero 14, Acy (13) ruota; Cunningham, marcato da Acy, effettua un flash nel mezzo della campana dove Crabbe (33) va in prerotazione, lasciando libero Clarke puntualmente servito per un tiro pulito

Veniva quindi ribaltato spesso il concetto di blocco del big man per un esterno, con i piccoli invece a bloccare per i lunghi, così da creare separazione per tiri pesanti in semitransizione:

Nelson in questa situazione si dirige verso Maker, difensore di Cousins, naturalmente portato ad occupare l’area vista la marcatura contro un centro avversario, solitamente portati a giocare vicino canestro

Anzi, cavalcando lo sfruttamento di situazioni alternative a quelle “classiche”, era spesso utilizzato anche un gioco a due letale per le difese fra i due big man:

Il tiro è da rispettare, con un cambio arriva il post up contro il difensore meno fisicato, il taglio è effettuato da un giocatore di stazza clamorosa… un bel grattacapo da difendere

In questo contesto, a giovarne maggiormente era DeMarcus Cousins. Nel mezzo del suo contract year, con la pressione derivante dall’essere in scadenza a fine stagione e quindi quella di dimostrare di valere un contratto dal salario più alto possibile, il suo livello di gioco offensivo è stato di primissimo livello. Fungendo spesso da point center, con Davis ad assumere maggiormente la posizione in post basso, dal perimetro ha potuto esaltare, oltre ai movimenti offensivi e al range di tiro, anche la sua predisposizione all’assist, collezionando cifre in attacco, con 25.2 punti, 12.6 rimbalzi e 5.4 assists (aggiungendo anche 1.6 stoppate e altrettante palle rubate) tali da renderlo fra i primi candidati al premio di MVP e a portarlo alla selezione da titolare all’All Star Game.

Fra tutte le prestazioni annuali probabilmente la migliore è quella dalla tripla doppia messa a segno contro i Bulls, la seconda delle sue tre stagionali: 44 punti, 23 rimbalzi e 10 assist

Proprio prima della partita delle stelle, però, si verifica un traumatico episodio. Nell’andare a rimbalzo nei secondi finali della vittoria ottenuta contro gli Houston Rockets, Cousins si fa male gravemente. La diagnosi è impietosa: rottura del tendine d’Achille sinistro e stagione finita. E, con esso, si immaginano distrutte anche le possibilità di postseason dell’intera banda di Gentry.

Di avviso opposto è però l’uomo più rappresentativo della franchigia; Davis decide di mettersi la squadra sulle larghe spalle, dichiarando di impostare il suo mindset in “Westbrook mode”. Innanzitutto dimostra supporto allo sfortunato compagno, manifestando pubblicamente come sia un sostenitore del suo rinnovo da parte dei Pelicans e come al suo fianco si sarebbe sentito in grado di competere addirittura per la finale NBA, oltre a giocare l’All Star Game indossando la divisa che sarebbe dovuta toccare a DeMarcus:

Quindi, dal punto di vista delle prestazioni individuali cambia decisamente passo. Le cifre registrate nelle prime 16 gare in assenza di Cousins sono semplicemente stratosferiche: in media, 33.1 punti, 13.3 rimbalzi, 2.4 palle rubate, 2.1 assists e 2.5 stoppate (fondamentale, quest’ultimo, in cui è primo nella lega con 2.4 a gara). Facendo seguire anche, nel giorno del suo venticinquesimo compleanno, la prima tripla doppia della carriera con 25 punti, 11 rimbalzi e 10 stoppate.

Fra i colpiti dai tentacoli di Davis nelle 10 stoppate, anche uno che di lunghe leve se ne intende come Gobert

 

Un’esplosione tale da ribadire, ancor di più, come si tratti del miglior big man della lega e di come sia pronto a raccogliere il testimone quale riferimento per la corsa al trono ideale di numero uno della NBA, quel titolo di MVP alla cui corsa, sebbene segnata dal probabile successo di James Harden, si è iscritto come plausibile secondo nel ranking (ricevendo a supporto della candidatura, ad esempio, la benedizione di Draymond Green).

Forse la sua migliore post All Star Game: in una gara cruciale per il piazzamento ad Ovest, sotto di 4 a 2 minuti dalla fine, Davis nonostante l’infortunio alla caviglia suggella rimonta e vittoria con quattro canestri consecutivi nei suoi 41 punti + 13 rimbalzi

 

Altro giocatore ad essere salito di rendimento, con più palloni a disposizione, è Jrue Holiday. Il playmaker californiano, nelle ultime stagioni tartassato dagli infortuni, non ha saltato sinora un solo match (in pace per superare le 70 partite stagionali, come non gli accadeva dal 2012/2013); se in stagione viaggia a 19.2 punti, 4.4 rimbalzi (career high) e 5.8 assists con sole 2.5 palle perse, durante la recente striscia di vittorie consecutive è arrivato a 25.1 punti e 8.6 assists a serata con il 52% da due punti e il 43.3% da tre, registrando un net rating di +11.4 punti in coppia con Davis (il quale senza Jrue colleziona un misero -5.7).

La sua abilità in penetrazione, con cui arriva spesso al ferro (dove conclude il 30,1% percento dei suoi tiri) realizzando nei suoi pressi con un’altissima percentuale del 69%, (massimo in carriera, migliorando di molto il suo precedente 60% del 2010/2011) consente ai Pelicans un’alternativa a Davis in attacco e una combinazione nei giochi a due di difficile difesa; la stessa fisicità, nella metà campo difensiva, gli consente di essere un fattore nel marcare le guardie realizzatrici avversarie durante la sua seconda stagione in carriera per minutaggio (con 36.6 minuti a gara).

Nella stessa gara coi Clippers, a lui nell’ultima azione è affidato lo scorer designato Lou Williams, ottimamente contenuto e defraudato del pallone decisivo

In un assetto pensato con due lunghi di ruolo, comunque, il front office ha cercato di muoversi prima della trade deadline per aggiungere un altro elemento in grado di occupare lo spot di big man di fianco

a Davis. Il tentativo per Monroe, che aveva transato il contratto coi Suns, non è andato a buon fine, con Greg a rifiutare l’offerta di ampio minutaggio per accettare quella di una maggiore competitività, senza garanzie di utilizzo, da parte dei Boston Celtics. Il piano B è consistito nel far tornare nella Lega, dopo quattro stagioni di assenza, Emeka Okafor, ex Rookie of the Year 2005 e centro titolare nell’ultima gara di playoff vinta dalla franchigia (gara 4 nel primo turno contro i Lakers del 2011); ma soprattutto nell’ottenere via trade quel Nikola Mirotic in uscita dai Bulls sin dallo screzio, con cazzotto ricevuto annesso, con l’ormai ex compagno di squadra Bobby Portis.

Con Nikola in quintetto nei momenti topici delle partite, si è potuto estremizzare l’aspetto offensivo di apertura del campo da parte del quintetto dei Pelicans. I sets offensivi costruiti per la coppia Cousins- Davis possono infatti essere replicati, accettando una minore predisposizione ad attaccare dal post di Nikola ma una maggiore agilità quando agisce frontalmente rispetto al canestro (con 6 tentativi da due punti in meno, ma 1 tentativo da tre punti in più rispetto all’americano).

6 triple messe a segno contro Dallas, con 11 tentativi da 3 punti su 15 tiri in totale dal campo

 

L’intercambiabilità con Davis è diminuita, ma senza inficiare sullo spacing di squadra; ora è Anthony ad essere preso in consegna dal centro avversario, in prima battuta, con il consueto problema di accoppiamento sui pick’n’pop per quanto riguarda il malcapitato lungo costretto ad inseguire il bloccante:

Sul blocco la difesa giocata da Detroit, la cosiddeta “Ice”, lascia spazio nel midrange a Holiday che non forza il jumper ma va a servire un Davis su cui Drummond non recupera nè Griffin, preoccupato dal tiro da fuori di Mirotic, aiuta

 

Chiaramente, per The Brow sono aumentati i possessi in post basso, specialità della casa per un giocatore dalle sue leve:

Lo spagnolo di per sè sta offrendo forse il miglior basket giocato nella lega, inserito nel sistema Pelicans. Innanzitutto, per quanto si tratti di un piccolo campione, sta registrando le migliori cifre della carriera relativamente a rimbalzi (7.9 a gara rispetto ad una media di 5.4), palloni rubati (1.1 a gara rispetto ad una media di 0.7) e stoppate (1.1 a gara rispetto ad una media di 0.7). Inoltre, a testimonianza di una maggiore consistenza, proprio in quella giocata contro i Kings con indisponibilità di Davis per oltre metà gara causa una ricaduta sull’infortunio alla caviglia, è risultato essere il miglior marcatore dei suoi con una doppia doppia da 26 punti e 10 rimbalzi, in cui ha messo in mostra un completo campionario offensivo:

Con lo spagnolo accoppiato a Davis, i Pelicans addirittura registrano migliori statistiche di quelle della coppia con Cousins: 110.9 di offensive rating e 104.4 di defensive rating (+6.5) rispetto ai 108.4 di offensive rating e 104.2 di defensive rating (+4.2). Riescono anche a piazzare un filotto di vittorie impressionanti: 10 di seguito (comprensivo di scontri diretti per la corsa playoffs della costa Ovest con Spurs e Clippers), pareggiando il record di franchigia. Le prima delle due precedenti strisce di questo tipo infatti fu messa a segno nel 1998, dove i giocatori di riferimento per gli allora Charlotte Hornets erano Glen Rice e Vlade Divac; la curiosità è rappresentata dal fatto che quella streak, in una sorta di deja vu, andò dal 21 febbraio al 10 marzo, con l’attuale iniziata nello stesso mese di febbraio, il 10, con chiusura il 9 marzo (con la sconfitta coi Wizards, arrivata complice l’assenza di Davis per i problemi alla caviglia). La seconda invece fu messa a segno nella versione 2010/2011, dove oltre al già nominato Okafor di scena erano Chris Paul e David West, dal 9 al 26 di gennaio.

L’auspicio è quello di emulare il risultato delle due precedenti compagini nominate in regular season (entrambe le volte nelle prime 8), dove superando le aspettative iniziali la banda di New Orleans addirittura risulta in lotta per l’acquisizione del vantaggio casa nella prima serie dei playoffs; insomma, vista l’agguerrita lotta per le posizioni nel bracket nella Western Conference, finalmente Anthony Davis ha la possibilità di cancellare la truce statistica per i Pelicans di non aver mai disputato una stagione migliore dei San Antonio Spurs, per andare finalmente a brillare anche sul palcoscenico della postseason.

 

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