E’ la prima apparizione di Pau all’All Star Game.

Suo fratello Marc si aggira nell’hotel che ospita le selezioni delle due conferences con al collo un pass per la stampa (per la precisione, in qualita’ di “affiliato di Canal Plus”, l’equivalente spagnolo del nostro Tele Piu’) e stenta ancora a capacitarsene.

E’ minorenne e si e’ trasferito negli Stati Uniti con il resto della sua famiglia al seguito del fratello divenuto giocatore NBA in forza ai Grizzlies, franchigia che sta ultimando il proprio trasloco da Vancouver a Memphis.

Frequenta la Lausanne High School e ha scelto come numero di canotta il 33, in onore del suo idolo Shaquille O’Neal, che come i fan accaniti sanno é quello col quale ha cominciato la sua lunga carriera cestistica.

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Potrete immaginare la sua sorpresa quando, giunto all’arena per la parata delle stelle nella quale suo fratello maggiore avrebbe preso parte come primo spagnolo di sempre, vedendo passare Shaq dinanzi a se’ (seguito in ogni suo passo da un cameraman dedicato) e vedendolo gesticolare all’indirizzo di qualcuno, dopo aver impiegato qualche secondo, realizza che ce l’abbia proprio con lui: “Come, come here”. Il suo campione preferito lo sta esortando a seguirlo per un tour esclusivo negli spogliatoi.
Nel raccontare quell’episodio Marc tradisce ancora oggi un po’ di emozione, e ne riporta ogni particolare in maniera dettagliatissima, a testimonianza di cosa quell’esperienza abbia significato per lui all’epoca: “Ricordo tutto: entro timidamente dietro di lui nello spogliatoio della Eastern Conference e, senza che io me ne accorga del tutto, ci ritroviamo a parlare con Gary Payton. Stava facendo stretching in spogliatoio ma, nonostante cio’, si dimostro’ disponibilissimo. Tempo pochi secondi ed arrivo’ anche Steve Francis affacciandosi appositamente per parlare con me. Non riuscivo a spiccicare una parola. Credetemi, non riuscivo davvero a spiccicare una parola.”

Alla Lausanne Collegiate School (che ritirera’ la canotta numero 33 alla fine della sua stagione da senior le cui cifre recitano 26 punti, 13 rimbalzi e 6 stoppate ad allacciata di scarpe e gli sono valse il titolo di Mr. Basketball della Division 2) viene ricordato come un ragazzone affabile che in due anni non e’ mai riuscito ad abituarsi a quanto bassi fossero gli stipiti delle porte (memorabili le sue craniate di prima mattina ancora con le cuffiette nelle orecchie) ed a quanto piccoli fossero i banchi in classe.

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“Dai dimmi dove hai messo la Nutella” “No non te lo dico pappappero”

Pur essendosene lamentato costantemente (definendola orribile perche’ troppo calorica e non comparabile a quella spagnola), dalla foto qui sotto potete notare come una cosa a cui si fosse abituato sia stata la dieta e l’alimentazione a stelle e strisce, che ha fatto sì che si meritasse il soprannome di “The Big Burrito”.

Ormai diciottenne, Marc conclude la high school negli Stati Uniti, e torna in patria per dedicarsi al baloncesto profesional con la canotta blaugrana nelle file del Barcellona.

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A sinistra Pau ai tempi del Cocoricò

Numero di maglia il fido 33, la motivazione la sapete gia’… Anche se e’ piu’ che legittimo domandarsi se in realta’ fosse semplicemente una constatazione matematico-numerica legata al fatto che Marc fosse grosso piu’ del doppio del secco Pau, tanto da sembrarne il guscio esterno di una matrioska.

Il biennio a stelle e strisce ha come detto influenzato il suo fisico, che soffre dei ritmi e della competitivita’ della Liga ACB, nella quale Marc non riesce a trovare il proprio spazio, calcando il parquet solo a sprazzi.

Riassumendo l’avventura catalana con le sue parole: “Il primo anno ero giovane. Il secondo sono stato sempre infortunato. Il terzo non ebbi semplicemente molte opportunita’”.

Proprio nell’ultima delle tre stagioni in Catalogna (10 minuti e 3 punti di media ad allacciata di scarpe), i suoi progressi sembrano essersi definitivamente arrestati, e la sua carriera appare esser giunta ad un potenziale punto morto.

Come nella migliori storie pero’, quando tutto sembrava ormai compromesso, si presenta un’ultima possibilita’, e Marc ci si avventa con la stessa “fame” (stavolta agonistica) che lo aveva contraddistinto nel periodo americano.

Pepu Hernandez gli apre le porte della Nazionale Spagnola, concedendogli la chance di essere aggregato al gruppone che si sarebbe preparato in vista dei i Mondiali FIBA 2006 in Giappone.

Un mese prima della rassegna iridata, Fran Vasquez e’ vittima di un infortunio che gli avrebbe impedito di prendere parte alla manifestazione, ed il coach Pepu Hernandez si trova a dover aggiungere una ulteriore pedina al roster finale.

Non senza polemiche e controversie (legate a presunti favoritismi dovuti alla parentela con il pilastro della squadra Pau, suo fratello), Marc la spunta sugli altri due giocatori, dimostrando una determinazione mai sfoderata prima d’ora e facendo di tutto per meritarsi il suo posto in quella squadra speciale.
La svolta a quel punto e’ davvero vicina. Marc si rende conto di cosa voglia dire essere riuscito, contro i pronostici del caso, a guadagnarsi il posto in una squadra cosi forte e speciale. E’ proprio l’aver maturato quella consapevolezza, per sua stessa ammissione, che lo porta alla risoluzione di voler affrontare continuamente nuove sfide e di volersi migliorare giorno dopo giorno.

Tornando alla rassegna iridata, la Spagna, trascinata soprattutto dal Gasol col numero 4 sulla canottiera (che sarebbe poi stato nominato MVP della manifestazione), ha agevolmente superato la fase a gironi, e nei match win-or-go-home elimina in ordine Serbia, Lituania ed Argentina in semifinale.

Nei giorni che precedono la finalissima con la Grecia, altra imbattuta del torneo nonche’ responsabile della storica eliminazione degli USA nell’altra semifinale, avvenne il piu’ classico degli eventi destabilizzanti: infortunio a Pau Gasol, che non gli avrebbe permesso di iscriversi a referto nel capitolo conclusivo della manifestazione.

Marc non si fa prendere dal panico, anzi. Si prende le sue responsabilita’ e da’ un apporto alla causa davvero notevole, rispondendo presente e contribuendo ad un traguardo storico.

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Un aneddoto relativo a questa spedizione che in pochi forse conoscono e’ il fatto che, all’aereoporto, in procinto per imbarcarsi per il ritorno in patria, Marc sia stato costretto a lasciare e non portare con se’ le scarpe indossate nella storica finale per far posto nel bagaglio al trofeo di MVP del fratello Pau.

Come dichiarato anche dal coach della seleccion Papu Hernandez, il Mondiale nipponico segna una vera e propria svolta nella carriera del piu’ piccolo dei due Gasol: tornato in Spagna, ceduto dal Barca a Girona, Marc mostra una determinazione ed una mentalita’ mai viste prima e triplico’ il suo impatto a livello statistico.

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Nell’estate del 2007, e’ giunto per Marc il momento di volgere nuovamente la propria attenzione agli Stati Uniti. Come egli stesso ha dichiarato, si trova in Svizzera quando realizza che avrebbe dovuto rendersi eleggibile per il draft e tentare l’avventura a stelle e strisce, il cui treno passa una sola volta nella vita.

Certo, il rischio sarebbe stato quello di trovarsi in una situazione simile a quella gia’ vissuta in passato: poche opportunita’, poco minutaggio, scarse possibilita’ di affermazione… Una e’ pero’ la differenza principale con allora: l’esserci gia’ passato e l’esserne venuto fuori. L’eventuale successo e’ un sogno talmente grande che Marc non avrebbe saputo evitare quanto meno di tentare.
Il consiglio datogli dal fratello Pau, che nella stessa situazione di incertezza e di attesa pre-draft si era gia’ trovato, e’ il seguente: “Sii paziente fino alla notte fatidica, aspetta di vedere in che franchigia finirai e, non appena lo avrai appreso, cerca di capire il prima possibile cosa vogliano e cosa si aspettino da te”.

Nella notte del draft, finalmente il responso: chiamata numero 48, secondo giro e Los Angeles Lakers, che non sembravano avere particolari necessita’ nel ruolo di pivot.
Il primo pensiero affiorato nella mente di Marc e’: “In Europa posso imparare molto ancora ed avere tanto spazio e minutaggio, per ora non mi muovo”. Prima di prendere qualsiasi decisione pero’, tenendo a mente anche quanto suggerito dal fratello, avrebbe sicuramente dovuto sentire in prima persona quali fossero le aspettative ed i piani dei gialloviola. Dopo averlo fatto, decide effettivamente di rimanere a Girona, dove esplode definitivamente venendo eletto MVP della stagione regolare.

Il primo Febbraio del 2008, la trade che segna il destino della famiglia Gasol: i Lakers acquisiscono Pau, in cambio di 3 giocatori, draft picks e dei diritti su Marc.

Aspre critiche a riguardo non tardano ad arrivare: in particolare, la stampa si scaglia contro Jerry West (storico giocatore gialloviola negli anni 60 e 70 ed all’epoca GM dei Memphis Grizzlies), accusato di aver portato a termine una trade che favorisca spudoratamente la sua ex-squadra ovvero i Lakers.

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La risposta del GM dei Grizzlies, che molti di voi sapranno essere il famigerato “logoman” raffigurato nello stemma della National Basketball Association, e’ quella di spiegare come lo scambio sia semplicemente una win-win, e come tutti ci abbiano guadagnato (i Lakers che sarebbero diventati campioni, Pau che sarebbe divenuto un vero e proprio All Star, i Grizzlies che dopo una stagione da dimenticare nel 2008 avrebbero iniziato a programmare per risalire la china, e Marc che avrebbe trovato la sua dimensione ideale).

In fin dei conti, se proprio debba essere accusato di qualcosa, il buon Jerry altro non fece che ipoteticamente aiutare un amico di famiglia. Eh si: cio’ che non tutti sanno e’ il fatto che Jerry si conoscesse con Marc tramite suo figlio John West, che aveva giocato (da freshmen) un anno assieme al piu’ giovane dei Gasol (da senior) ai tempi dell’High School. I due liceali erano talmente amici che Marc si ritrovava frequentemente a casa West, spesso anche restandoci a dormire e facendo colazione con la famiglia la mattina seguente, quando sarebbe tipicamente rimasto incantato dai racconti di “logoman” che spiegava come l’arte di passare la palla ad un compagno fosse l’aspetto piu’ sublime di quel gioco con la palla a spicchi di cui tutti andiamo pazzi.

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Dal trasferimento a Memphis in poi, le cose sono progredite piuttosto velocemente per Marc, e sono ormai storia recente: accolto come un vero e proprio Grizzly (aiutato dalla sua barba, stazza e capigliatura), ha drasticamente contribuito a far si che, una delle realta’ all’epoca meno vincenti e determinate della Lega, si ritagliasse un posto come contender sgradita nella temutissima Western Conference.

Per chiudere la storia ricollegandosi a dove la si era iniziata, nel 2012, dopo aver gia’ partecipato da Rookie nella partita delle matricole assieme a Rudy Fernandez, Marc Gasol si ritrovo’ coinvolto nella parata delle stelle vera e propria, insieme a suo fratello Pau, come secondo spagnolo di sempre.

Rivivere la routine cui aveva avuto la possibilita’ di partecipare indirettamente (e con un pass media al collo) anni addietro stavolta da protagonista, e’ stata un’occasione per fermarsi a pensare alla strada fatta da allora, a testimonianza del fatto che con la giusta dose di determinazione nessun traguardo e’ precluso.

Dopo aver vinto il titolo di miglior difensore dell’anno nel 2013 (primo europeo di sempre) e dopo una stagione NBA sfortunata per via di infortuni che ne hanno limitato la possibilita’ di impiego, Marc e’ ora impegnato nei Mondiali FIBA 2014.
Gli incroci della sua storia sono sempre quelli: il fratello Pau e gli Stati Uniti d’America. Stavolta si gioca in casa, in Spagna.

La possibilita’ che questo grizzly dalle mani vellutate dato per spacciato in Catalogna tanti anni fa ci stupisca ancora non e’ remota: il posto in valigia e’ stato gia’ riservato, e non e’ detto che stavolta serva per far posto a cose altrui…

 

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Valerio D'Angelo

Ingegnere romano malato di palla a spicchi. Lavoro a WhatsApp (ex-Google, ex-Snap, ex-Facebook) e vivo a Dublino, in una nazione senza basket, dal 2011. Per rimediare ho scritto il libro "Basket: I Feel This Game", prefazione del Baso. Ho giocato a calcetto con Pippen e Poz, ho segnato su assist di Manu Ginobili, ho parlato in italiano con Kobe in diretta in una radio americana e mi e' stato chiesto un autografo a Madrid pensando fossi Sergio Rodriguez.

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