illustrazione grafica di Paolo Mainini
articolo di Daniele Vecchi

 

 

Di film sul basket (qui una nostra lista) ne abbiamo visti tanti, alcuni meravigliosi e ricchissimi di contenuti emotivi, altri forse meno.

Tra la prima e la seconda categoria qualcuno ricorderà Blue Chips, pellicola di primi anni novanta, in italiano tradotto in “Basta Vincere”, pellicola ambientata in Indiana a livello universitario, un film dall’ottimo cast, con Nick Nolte nei panni del coach, Bob Cousy nei panni del vecchio saggio, e con tre giocatori emergenti nei panni di prospetti futuribili al massimo livello.

Di quei tre giocatori, uno era Shaquille O’Neal, nei panni del primitivo potentissimo centro schiacciatore a cui mancavano fondamentali e disciplina cestistica, l’altro era un tiratore bianco stereotipato originario dell’Indiana (ovviamente), tale Matt Nover, che dopo la sua permanenza in canotta Hoosiers arrivò in Italia a Ferrara, con molte speranze riposte in lui ma senza lasciare particolarmente il segno, onde trasferirsi prima in Svizzera e poi in Portogallo, Spagna e Australia a giocare, mentre il terzo era la chiave del film.

Una talentuosa guardia fisicamente importante, con braccia lunghissime e con attitudine aggressiva e strafottente.

Era Anfernee “Penny” Hardaway, giocatore che quella estate sarebbe stato scelto al Draft NBA 1993.

Shaquille O’Neal, a riguardo di quei giorni di ripresa, disse:

“Non sapevo chi fosse fino all’estate prima, ci ritrovammo sul set del film e il regista ci disse di giocare per davvero. Immediatamente pensai che Penny fosse un immenso passatore, giocammo per tutta la durata del film al massimo, ci divertimmo tantissimo, e quando ebbi l’occasione di parlare con gli executive di Orlando gli dissi che se non avessero scelto lui al prossimo Draft non avrei firmato il nuovo contratto”.

Anfernee Hardaway è cresciuto nella periferia di Memphis, Tennessee, più precisamente nel quartiere di Binghampton, a ridosso di Downtown verso est, un ghetto, un luogo non residenziale e abitato da classica gente non abbiente della working class, una grande comunità afro americana con alcuni pro e con molti contro, e che vedeva l’eterna lotta tra lo sport, la voglia di eccellere su un campo da basket, e la vita di strada, spaccio, gangs e piccola/grande criminalità.

Penny fin da subito ha scelto la strada del gioco e della dedizione sportiva, cominciando a frequentare i campetti di basket all’età di sei anni, grazie agli stimoli di nonna Louise, vera e propria educatrice del Penny Hardaway uomo prima che cestista.

E sul campo da basket Penny eccelleva eccome. Giocava tranquillamente con ragazzi più grandi, dimostrando il suo immenso talento, fin dalla scuola media Lester Middle School.

Ricrdando quegli anni d’infanzia, Hardaway disse:

“All’età di 12 anni ho capito che sarei diventato un giocatore NBA. Ho capito di avere il dono di capire quello che gli altri stavano per fare, e di avere la capacità di portarli esattamente dove volevo io, e ad ogni livello in cui ho giocato, questa cosa mi è sempre venuta naturale”.

Fin dalla pre adolescenza Anfernee ha comincato a fare parlare di sé, e sin dal primo anno alla Treadwell High School ha dimostrato di essere un predestinato. 

Foto solecollector.com

Elliot Perry (giocatore di culto per chi scrive), detto “Socks” per le sue calze lunghissime tirate su al massimo, un più che onesto mestierante NBA e anche lui nativo di Memphis, era a Treadwell un paio di anni avanti ad Hardaway, e la sua testimonianza non lascia spazio a dubbi: 

“Fin dal suo primo anno, quando era poco più di un bambino, ci aiutò a vincere tantissime partite, e capii che in lui c’era qualcosa di veramente speciale”

I suoi numeri alla Treadwell erano impressionanti, 36.6 punti, 10.1 rimbalzi, 6.9 assist, 3.9 palle recuperate e 2.8 stoppate di media a partita per lui, in un totale dominio fisico tecnico, vincendo il titolo di High School Player of the Year, e guadagnandosi gli inviti a praticamente tutte le università del paese.

Penny però optò per rimanere a casa, all’università.

Foto Richard Mackson/Brian Spurlock
Foto Richard Mackson/Brian Spurlock
Foto Richard Mackson/Brian Spurlock

Accettò infatti la borsa di studio alla Memphis University per giocare per i Tigers, dicendo le parole che suoneranno come un ritornello lungo tutta la sua vita cestistica: 

“Memphis guys stay home”. I ragazzi di Memphis rimangono a Memphis, filosofia che ha dimostrato ampiamente durante la sua carriera universitaria sia come giocatore sia come allenatore.

Anche in maglia Tigers Penny dimostrò tutto il suo talento, una guardia estremamente fisica di 201 centimetri, con braccia lunghissime, capace di apprendere e migliorarsi, grande etica del lavoro, eccezionale passatore, buon difensore e dotato di tutte le skills offensive per far girare la testa agli scout NBA.

Arrivato al suo anno da junior, dopo aver trascinato Memphis a un record totale di 66 vittorie e 23 sconfitte, Anfernee decise di rendersi eleggibile per il Draft NBA, e la sua storia va ad aggiungersi a quella di tantissimi altri grandi giocatori a livello universitario:

“Stavo bene a Memphis, era la mia città, la mia gente, ero a casa mia e anche vicino alla mia famiglia, ma avevo bisogno di fare il salto di qualità. Volevo comprare una casa a mia madre e a mia nonna, volevo avere il prima possibile la tranquillità economica per sistemare definitivamente la mia famiglia”.

E così fece.

All’NBA Draft del 1993, i Golden State Warriors lo scelsero alla terza chiamata assoluta, chiamata che venne immediatamente girata agli Orlando Magic in cambio della prima (chissà se le parole di Shaquille O’Neal alla dirigenza Magic hanno avuto un po’ di peso, in questo scambio). 

Quindi la situazione definitiva fu Chris Webber, che se ne andava nella Bay Area al posto di Penny Hardaway, in uno scambio che fece discutere tantissimo.

Hardaway e Webber – Foto di Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images

Al secondo giro di quel Draft non si può non ricordare le vecchie conoscenze italiane come Richard Petruska, Mike Buford, Marcelo Nicola e ovviamente i compianti Alphonso Ford e Conrad Mangiafuoco McRae.

Penny era felicissimo di giocare assieme a Shaq, al primo allenamento del training camp con i Magic, incontrando O’Neal nello spogliatoio, i due si guardarono, e praticamente all’unisono dissero: 

“Ok, siamo pronti a dare spettacolo?”.

I due si erano ripromessi di giocare insieme l’estate precedente sul set di Blue Chips, ed ora era finalmente arrivato il momento di dimostrare quanto valessero come combo, anche nella Big League.

E così fecero, fin da subito.

Foto Slam

Penny ebbe subito la totale ed incondizionata fiducia di coach Brian Hill, che lo utilizzò per quasi 37 minuti di media a partita, con il rookie che terminò la stagione con 16 punti, 5.4 rimbalzi e 6.6 assist di media a partita, trascinando, assieme a Shaq, i Magic ad una stagione da 50 vittorie e 32 sconfitte, guadagnandosi l’accesso ai Playoff con il quarto record della Eastern Conference.

Al primo turno la battaglia fu però dura e letale contro gli Indiana Pacers, che spazzarono via 3-0 i Magic, ponendo fine ai loro sogni di gloria per quella stagione.

Il problema di quella versione dei Magic era la mancanza di una spalla sotto canestro per Shaq, accerchiato, nella serie contro i Pacers, da Rik Smits, Dale Davis e Antonio Davis, che imbrigliarono il giovane ed esplosivo centro, vincendo nettamente la serie.

Nella stagione successiva quella falla venne colmata dall’arrivo di Horace Grant, pedina fondamentale del Three-Peat dei Bulls, e ala forte di primissima qualità.

La seconda stagione di Penny fu la sua breakout season.

In una stagione da 57 vittorie e 25 sconfitte, e lo spot numero Uno della Eastern Conference ai playoffs, Hardaway collezionò 20.9 punti e 7.2 assist a partita, e una sensazione, assieme a tutti i Magic, di dominio totale ed incontrastato del campionato.

Ai playoff i Magic si sbarazzarono al primo turno dei Boston Celtics, mentre al secondo turno arrivò subito l’appuntamento con il destino.

Il ritorno di Michael Jordan, con il suo fax I’M BACK!, aveva scombussolato tutti gli equilibri di quella primavera 1995, i Bulls erano tornati ai Playoffs e avevano eliminato gli Charlotte Hornets, ed ora dovevano affrontare la squadra più esplosiva della Eastern Conference, gli Orlando Magic dell’ex Horace Grant e dell’immarcabile giovane combo Shaquille O’Neal e Anfernee Hardaway.

Purtroppo per i Bulls però MJ non ce la fece fisicamente ad arrivare al massimo della condizione alla serie con i Magic, e Chicago venne nettamente eliminata 4-2, con un Horace Grant ricchissimo di motivazioni, che terminò la serie contro gli ex compagni con una media di 18 punti e 11 rimbalzi.

Al turno successivo Orlando sudò sette camice per avere la meglio degli Indiana Pacers, vendicando così, non senza fatica, l’eliminazione della stagione precedente, conquistando così il titolo della Eastern Conference e andando a giocare contro gli Houston Rockets, da super favoriti, la Finale NBA.

Le parole di Shaq furono eloquenti, a riguardo di quella vigilia della Finale:

“Eravamo noi la squadra migliore, ci sentivamo invincibili, ma abbiamo festeggiato troppo presto. Troppo entusiasmo, troppi party, aspettavamo di affrontare i Rockets, che sembravano nettamente inferiori a noi, e intanto la fiducia in noi stessi si trasformava in prendere sottogamba il nostro avversario, che aveva fatto il nostro stesso percorso e che voleva giocarsi tutto”.

Come tutti sappiamo, poco più di 25 anni fa quello che accadde in quella Gara Uno, fu storia. 

10.5 secondi al termine, Magic avanti 110-107 con possesso di palla, fallo sistematico su Nick Anderson, a cui bastava mettere uno dei due liberi per vincere virtualmente la prima gara di finale. Anderson sbagliò entrambi i primi due liberi ma prese il proprio rimbalzo offensivo dopo il secondo errore, subendo un altro fallo e andando in lunetta con altri due liberi.

Altri due errori, time out. I Rockets pareggiarono con una tripla di Kenny Smith, e andarono a vincere Gara Uno 120-118 al supplementare.

Penny nel raccontare quei secondi, fu mesto: 

“Ci sentivamo i più forti, anche il giorno della finale, il giorno di Gara Uno, anche se vedemmo subito che non sarebbe stata una passeggiata. Quando ci furono i due liberi per Nick a 10 secondi dalla fine, pensai che almeno uno dei due lo avrebbe messo. Poi sbagliò il secondo e prese il rimbalzo, e anche lì mi dissi che ce l’avrebbe fatta a metterne uno. Quando sbagliò il terzo, non ebbi più il coraggio di guardare, poi… sbagliò anche il quarto, Kenny Smith mise la tripla del pareggio, e i Rockets vinsero al supplementare. Se avessimo vinto quella partita, la serie sarebbe stata nostra. Sotto un certo punto di vista, quella sconfitta in Gara Uno fu l’inizio della fine del nostro ciclo appena cominciato”.

Da lì in poi infatti i Rockets travolsero letteralmente i Magic, cappottandoli in quattro partite e sigillando il back to back title.

Nonostante la sconfitta bruciante però Orlando era una squadra giovane, con ancora ottime potenzialità, e soprattutto con due superstar giovani da crescere.

E qui incominciarono i primi problemi gestionali tra Shaq e Penny.

Hardaway cominciò alla grande la stagione 1995/96, miglior realizzatore della NBA per metà stagione, era un volto molto ricercato soprattutto dalle aziende in cerca di giovani superstar dalla faccia pulita.

Ben presto accadde che Penny divenne molto più “famoso” di Shaq, con la grandissima visibilità offerta dai commercial da lui interpretati, tra cui la famosa bobblehead, che ebbe un grandissimo successo.

O’Neal si sentì “defraudato” del ruolo di volto ufficiale dei Magic, e si fece ritrarre in un commercial della Reebok in cui con un gomitata buttava giù dal divano la bubblehead di Hardaway.

Shaq: 

“C’erano due superstar in una piccola città, e io dovevo lasciare un messaggio. Dopo aver visto quello spot, Penny non mi parlò per due settimane”.

Anche questi furono sentori della fine del breve ciclo dei Magic.

Nell’estate del 1996 infatti Shaquille O’Neal firmò un contratto di sette anni per i Los Angeles Lakers, e Penny si ritrovò ad essere la sola superstar nella piccola città.

A questo purtroppo si aggiunse l’infortunio al ginocchio sinistro patito da Penny durante la serie di playoff contro i Chicago Bulls, infortunio che danneggiò irreversibilmente i legamenti, e che da quel momento in poi condizionò tutta la sua carriera successiva.

Foto Espn

Arrivò la soddisfazione dell’Oro Olimpico ad Atlanta, ma nelle successive stagioni Penny ebbe ben poco da festeggiare.

Sempre e comunque non al 100% per via dei problemi al ginocchio, Hardaway si avviò lentamente alla fine del proprio contratto con i Magic, fino al 1999, quando il nuovo coach Doc Rivers non credette in lui, e Penny firmò per il massimo salariale con i Phoenix Suns.

Dopo una buona stagione iniziale, conclusasi con 16.9 punti di media a partita, Hardaway fu costretto a saltare praticamente tutta la stagione 2000/01 ancora per problemi al ginocchio, ritornando nella stagione successiva con un rendimento molto minore.

Penny cominciò a partire anche dalla panchina, e pur giocando di media sempre una trentina di minuti, il suo fatturato si dimezzò, attestandosi sui meri 10 punti di media a partita.

Foto Nba

Ormai Penny, a causa del ginocchio, era l’ombra di sé stesso, sul campo, e dopo un’altra stagione e mezzo a Phoenix venne ceduto ai New York Knicks, dove rimase per un’altra stagione e mezza, prima di concludere, purtroppo piuttosto mestamente, la propria carriera ai Miami Heat nel 2007/2008, dove giocò solo 16 partite con 3.8 punti di media.

“Ho trascorso la mia intera carriera da giocatore cercando di dimostrare a tutti che io appartenevo alla èlite del gioco, ho lavorato durissimo per migliorarmi sempre di più anche quando credevo e sentivo di aver raggiunto il massimo. Ho sempre avuto una grande etica del lavoro, in campo e fuori dal campo, e ho sempre cercato di dimostrare ai miei detrattori che ero in grado di fare ciò che loro non pensavano io riuscissi di fare”.

Questa frase la dice lunga sull’approccio al gioco di Anfernee Hardaway, sulla sua attitudine e sul suo amore per il basket.

La fine della sua carriera da giocatore fu una sorta di nuovo inizio per lui.

Una volta arrivato il ritiro, la vera indole umana di Penny venne fuori prepotentemente, dimostrando un immenso amore per il gioco, per la sua città, e soprattutto dimostrando una modestia smisurata.

E qui entra in scena l’amico d’infanzia Desmond Dez Merriweather, nel 2010 coach della Lester Middle School a Binghampton, la stessa scuola media che entrambi hanno frequentato tuffandosi nella difficile adolescenza dei sobborghi di Memphis.

Merriweather e Hardaway hanno mantenuto la propria amicizia anche da adulti, durante il periodo da superstar NBA di Penny, e Dez, dopo essersi laureato, ha cominciato il suo percorso nel quartiere, come allenatore della sua scuola, la Lester Middle School, avendo come obiettivo primario quello di tenere i ragazzini lontani dalla strada e dalla vita di gang, cercando di usare il basket come momento di vita sana e aggregativa, in una zona da sempre a rischio per le condizioni di vita in cui gli abitanti del quartiere si ritrovano a vivere.

La missione di Merriweather però ha subito un brusco stop, quando nel 2010, a soli 37 anni, gli è stato diagnosticato un cancro al colon. Dopo una prima operazione Dez non sembrò migliorare di molto, e quindi si sottopose ad una seconda, molto dolorosa, operazione.

Appena uscito da questa operazione, a malapena in forze per prendere in mano una penna, Merriweather scrisse su un bigliettino un numero e una parola, totalmente esplicativi sulle sue intenzioni, e lo porse a sua madre.

Su quel bigliettino vi era scritto:

“1 Cent”

Ovvero un Penny. 

Anfernee Hardaway. 

Sua madre capì immediatamente, e si mise in contatto con Penny, che accorse subito da Dez.

Con quella seconda operazione il coach si riprese un pò, ma non abbastanza da riuscire a guidare la squadra, e chiese a Hardaway di stare al suo fianco nell’allenare la Lester Middle School.

E Penny accettò.

Per Dez.

Per il suo amico.

Per il suo quartiere.

Per la sua città.

Per tutti quei ragazzi che volevano rimanere fuori dalla vita di strada e dalle gang.

Per quel dovere di sensibilizzazione di cui lo sport dovrebbe sempre prendersi carico.

Fu così che il multi milionario stella della NBA Penny Hardaway ritornò nel suo quartiere a fianco dell’amico malato, a contribuire a tenere lontani i ragazzi dalla strada.

E a riuscirci pienamente, con la forza del sacrificio, dell’amicizia e dell’amore per il gioco.

Dez e Penny formarono una formidabile squadra capace di portare la Lester Middle School a tre titoli consecutivi della città di Memphis, consacrando quasi casualmente Hardway come un grande allenatore capace di gestire un gruppo, e trovando la propria strada nel suo post carriera di giocatore.

Merriweather intanto non stava bene, la sua malattia si aggravò sempre più, fino ad arrivare all’8 febbraio 2015, quando all’età di 41 anni Dez se ne andò per sempre, lasciando un grandissimo vuoto a Binghampton e alla Lester Middle School.

Penny e tutta la comunità di Memphis furono devastati da questa notizia, ma la memoria di Desmond Merriweather vivrà sempre a Binghampton, alla Lester Middle School, una memoria che per sempre sarà onorata.

Tre titoli vinti dalla Lester Middle School con Penny Hardaway, nel nome di Dez Merriweather. Questo fu l’inizio del tributo di Penny Hardaway a Dez.

Nel 2015 Anfernee venne ingaggiato dalla Memphis East High School, sempre a Binghampton, portando con sé il nocciolo del gruppo di studenti della Lester. 

E sempre nel nome di Dez, Penny portò la East High alla vittoria di altrettanti tre Titoli di stato consecutivi.

Un traguardo colossale, quello raggiunto da Hardaway con East High. Tre Titoli statali consecutivi vinti senza avere un Top Prospect o un giocatore di gran lunga dominante in squadra, è una cosa veramente inusuale. Un esaltante ruolino di marcia per Hardaway nel ruolo di coach, cominciato per caso cercando di stare vicino ed aiutare il suo amico alla Lester.

Ciò che Penny insegnava e professava non era tanto un preparazione tecnico tattica rivoluzionaria o avanzate preparazioni atletiche. L’importante per Penny era il gruppo. L’unità. L’unico obiettivo era vincere, e solo giocando come una squadra ci si poteva riuscire. Unione di intenti, era il verbo professato da Hardaway, a prescindere dalla sua grande preparazione come allenatore. Anfernee Penny Hardaway aveva portato la Memphis East High School, a tre Titoli di Stato consecutivi, e la cosa non poteva passare inosservata, a Memphis.

Infatti, confermando i rumors che si rincorrevano in città per tutta la settimana precedente il 20 marzo 2018, Hardaway venne ingaggiato come coach della University of Memphis, ad allenare i suoi Tigers, la sua alma mater, la sua squadra, i colori che tutti, in città, amano e seguono, da sempre, molto più dei Memphis Grizzlies.

Dopo una altisonante e bellissima carriera NBA,  conclusasi con 10.684 punti segnati, 4 convocazioni all’ All Star Game, 2 volte NBA First Team, ma senza mai aver vinto un Titolo, Anfernee Penny Hardaway ha finalmente chiuso il proprio cerchio, divenendo il personaggio più importante e stimato, a livello di basket, di Memphis, Tennessee, orgogliosamente la sua città.

Una vittoria la sua, non solo sul campo, ma nella vita.

Foto Ben Solomon/American Athletic Conference
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