Da circa un mese e mezzo per motivi di lavoro (sempre che commentare partite di basket si possa definire tale), mi è capitato di dover seguire con maggiore attenzione rispetto a prima la Liga ACB, che attualmente è, con enorme probabilità, il miglior campionato nazionale d’Europa. Oltre a toccare con mano il livello della massima serie spagnola (più in basso invece vi assicuro che non andiamo lontani dalle peripezie delle nostra varie Forlì e Veroli) e a scoprire un modo di giocare abbastanza particolare che porta ad avere un solo giocatore con più di 14 punti di media in un intero campionato da 18 squadre, questa è stata anche l’occasione di scoprire alcune storie particolari.

Da sempre oltre al Gioco in sé mi affascinano anche le storie che stanno dietro agli interpreti che il Gioco lo praticano. In particolare mi sono sempre piaciute le storie di chi è passato “from zero to hero”, facendo la gavetta, calcando campi in cui il parquet era solo un miraggio, mischiandosi per un po’ assieme ai cosiddetti minors prima di spiccare il volo per giungere fin dove il loro talento era giusto che li portasse. In questo caso ho selezionato tre storie di tre giocatori –Jason Robinson di Saragozza, Nico Richotti di Tenerife e Brad Oleson del Barcellona- che probabilmente alcuni di voi non conosceranno. Ma che vi faranno sentire un pochino più vicini a quei giocatori che alla domenica potete vedere in tv.

 

Il Kentucky è uno stato di grande tradizione cestistica a livello collegiale: i Kentucky Wildcats sono da sempre, fin dagli anni di Adolph Rupp, una powerhouse della NCAA, i Louisville Cardinals sono un’altra squadra che da decenni frequenta spesso e volentieri il gotha del College Basketball, poi ogni tanto anche alcune mid-majors o piccole università come Murray State, Western Kentucky (i mitici Hilltoppers, la cui mascotte è sostanzialmente il Gabibbo) o Morehead State balzano agli onori della cronaca. Ma un’università di cui difficilmente sentite parlare è Pikeville College, anche perché non fa neanche parte della NCAA. Questo piccolo ateneo di Pikeville, cittadina di meno di 7mila abitanti nel Kentucky orientale, infatti fa parte della NAIA (National Association of Intercollegiate Athletics), l’organismo che riunisce tutti i piccoli college americani che non sono grandi a sufficienza per poter far parte di una delle tre divisioni della NCAA. Pikeville College ha una buona tradizione sportiva nel…bowling femminile, avendo vinto il titolo nazionale NAIA nel 2004 e nel 2008, ma è decisamente meno conosciuta per il basket.

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Guardando la prima in alto a sinistra, mi è venuta improvvisamente voglia di guardare il bowling femminile

Eppure da qui è uscito un giocatore professionista che da anni calca i parquet d’Europa. Jason Robinson, giocatore del CAI Saragozza, dopo essere nato a Seattle nel 1980 e aver fatto l’high school a Tacoma, ha girato un po’ ovunque: prima due anni al “prestigioso” Seward County Community College nel Kansas, poi un anno a Buffalo University (l’unico a livello NCAA della sua carriera, anche se non propriamente in una big) e infine, dopo un anno di inattività come da regolamento, l’ultima stagione universitaria a Pikeville College. Dopo aver chiuso l’esperienza cestistica collegiale però a Robinson rimane la voglia di giocare a basket e di provare a farlo anche a livello professionistico. Però logicamente un giocatore con una traiettoria del genere difficilmente può sbarcare in squadre di un certo livello, quindi Robinson accetta un’offerta dal Portogallo. Ecco, penso che almeno qualcuno di voi conosca a grandi linee il livello (fatta eccezione per il Benfica, che attualmente presenta nel roster due nostre ex conoscenze come Jobey Thomas e Ron Slay), della Proliga portoghese. Bene, Jason Robinson non è partito da lì. Perché la sua carriera professionistica è iniziata nel Sangalhos, squadra di SERIE A2 portoghese, espressione di una cittadina di 4mila abitanti. Ovviamente non sto a descrivervi la qualità del campionato. Da lì però è iniziata una lenta ma costante crescita che ha portato Robinson a emergere sempre di più: dopo due anni al Sangalhos, arriva lo sbarco in Proliga con il Belenenses, poi nel 2007 la chiamata per mezza stagione del Huesca Cosarsa, in LEB Plata spagnola (l’equivalente della nostra A2 Silver o B1, chiamatela come volete). Lì però dura solo mezza stagione e a metà campionato vola in Corea del Sud con il KCC Egis. Però a qualcuno in Spagna, in quei pochi mesi, evidentemente è piaciuto: nel 2008/09 lo richiama il Gandia, la peggior squadra della LEB Oro, dove retrocede ma si mette in mostra segnando 15.9 punti a partita. L’anno successivo resta nella stessa categoria pur varcando il mare: Robinson va a giocare nell’ambizioso Melilla (squadra della città enclave spagnola in Africa) assieme a Taylor Coppenrath -visto in precedenza anche a Biella dopo essere stato l’idolo incontrastato dello stato del Vermont al college- dove vince la Copa del Principe (ovvero la Copa del Rey riservata alle squadre di LEB Oro), chiude al secondo posto in regular season ma viene eliminato in semifinale playoff dal Burgos.

jasonMelilla

Ma alla fine una squadra di ACB prende coraggio e prova a scommettere su di lui, ed è il Valladolid a fare questa scelta. Una scelta temeraria, perchè in Spagna i posti di extracomunitario a disposizione di ogni squadra sono solo due e puntarne uno su un giocatore con il background che abbiamo appena raccontato è un azzardo non da poco.

valladolid

Ma Valladolid è una delle squadre col budget più basso, deve inventarsi qualcosa e ci prova: nei suoi due anni castigliani Robinson regge bene l’urto con un livello di basket che fin lì non aveva mai visto neppure lontanamente. 10.1 punti al primo anno e 10.6 al secondo non gli bastano però per rimanere in ACB: dopo l’incredibile nono posto della stagione 2010/11, l’anno seguente Valladolid arriva ultima e retrocede (anche se poi verrà successivamente ripescata), nessuna delle altre squadre della Liga ha fiducia in Robinson che deve ripartire di nuovo da zero, ricominciando nel glorioso Gimnasia Indalo, squadra della città argentina Comodoro Rivadavia.

gimnasia

I suoi 13 punti di media in Patagonia gli valgono una nuova chiamata in Spagna, dove il Valencia lo mette sotto contratto come “polizza d’assicurazione” per il finale di stagione, una cosa non inusuale nel basket moderno se pensate anche che l’anno scorso Willie Deane ha vinto uno scudetto in questa maniera, giocando di fatto una sola partita. Il ritorno in Spagna (dove colleziona solo 29 punti totali in 8 presenze in quel finale di stagione) lo rimette sul mercato della ACB, dove lo pesca il Gipuzkoa di San Sebastian. E lì, nella passata stagione, ha l’annata della vita. A 33 anni suonati Jason Robinson mette assieme numeri che non aveva mai avuto neanche in campionati decisamente meno validi: primo per minuti giocati con 33.8 di media, secondo in tutta la ACB per punti con 16.5, tra i primi 15 per tiri da due, tiri da tre e tiri liberi segnati, quinto in valutazione. Cifre quasi inspiegabili che però lo hanno portato la scorsa estate a guadagnare un contratto con il CAI Saragozza, con cui quest’anno, ormai 34enne ha fatto il suo esordio in una competizione continentale giocando l’Eurocup, giocando anche contro la Virtus Roma. Quanta strada è passata da Pikeville e Sangalhos fino alla città eterna…

EuroCup,  Brose Baskets - CAI Zaragoza / Saragossa, Bayern, DEU, 2014,

 

 

Un altro che di gavetta ne ha fatta tanta e che di campi “minori” ne ha calcati parecchi è Nicolas Richotti. Se il nome vi dice qualcosa, probabilmente non vi state sbagliando. In Italia spesso nelle serie minori sono circolati dei giocatori argentini: fino al recente passato (ovvero prima che venisse aperta l’attuale C nazionale agli stranieri, cosa che dovrebbe accadere anche per la B nazionale -ad oggi unico campionato riservato ad atleti di formazione italiana- a partire dal prossimo anno) i giocatori non italiani o comunque che non avessero disputato almeno tre stagioni in un settore giovanile italiano potevano giocare solo dalla A2 in su o dalla C2 in giù. Ecco perché per tanti anni la nostra sesta serie, specialmente al sud Italia, ha visto parecchi giocatori argentini, alcuni di livello peraltro molto più alto rispetto al campionato. Per tanti addirittura la parabola era comune: vinci il campionato da una parte, vieni promosso in C1 dove però non puoi giocare, cambi squadra, rivinci la C2 e così via.

riccio
Neanche Adam Kadmon ha capito il significato di questa foto

Alcuni, non potendo giocare nelle categorie comprese tra la B1 e la C1, hanno anche fatto il salto in avanti e indietro dalla C2 alla A2 e viceversa, il primo che mi sovviene è ad esempio Sergio Drovandi, autore della promozione di Piacenza dalla C2 alla C1 e poi chiamato in seconda serie da Soresina (diventata poi l’attuale Cremona) per tornare successivamente in serie D a Flero. Tra tutti questi argentini transitati nelle nostre leghe minori c’è anche proprio Nicolas “Nico” Richotti. Figlio di Marcelo, ex giocatore della nazionale argentina, e nato a Bahia Blanca -ovvero la stessa città di Manu Ginobili e Bruno Cerella-, dopo le giovanili nel Nautico Rada Tilly e l’esordio in serie A in patria con l’Hindù de Resistencia, Richotti è sbarcato solo 19enne nel nostro paese per giocare a Campobasso. In C regionale abruzzese (il Molise non aveva una categoria tutta per sé) il giovane Nico ha mostrato subito il suo talento, infilando ventelli e trentelli a ripetizione, raggiungendo per due volte anche un massimo di 43 punti nelle partite contro Martinsicuro e Penne.

Nel 2006 si trasferisce ad Agropoli, dove diventa subito l’idolo del pubblico locale, grazie anche alle sue triple incredibili, ai suoi passaggi visionari e alle sue schiacciate decisamente poco comuni per un giocatore di soli 185 cm. Non ci credete? Allora guardate questo video.

In Campania ha un’altra grande stagione, raggiunge i playoff ma non riesce a centrare la promozione, con Agropoli che viene eliminata da Pontano nonostante i 45 punti segnati da Nico nella gara in trasferta. L’anno successivo finisce a Rovigo: anche qui domina, finisce ben 16 volte oltre i 25 punti, non ne segna mai meno di 13, però l’episodio per cui viene ricordato è tutt’altro che piacevole, ed è questo pugno ad un avversario nella partita contro Cologna.

In Italia ormai Nico ha fatto il suo tempo e nessuna squadra in A2 pare convinta di voler scommettere su di lui, forse anche a causa di questo episodio. Allora l’anno seguente fa le valigie e vola in Spagna, dove si accasa al San Isidro, squadra dell’isola di Tenerife che gioca nell’equivalente spagnolo della nostra B2. Anche lì ovviamente è troppo forte per tutti e allora, finalmente, per Richotti arriva una chance importante: all’età di 23 anni viene ingaggiato dal Real Madrid B, squadra di LEB Silver, per vedere se questo fenomeno delle serie minori può tornare buono anche per campionati più importanti e per squadre del blasone del Real. A Madrid però rimane un anno, perché il suo cuore ormai è alle Canarie (e chiamatelo scemo). L’estate successiva lo contatta il Canarias di Tenerife, squadra di LEB Oro, e ovviamente Nicolas accetta per prendere due piccioni con una fava: tornare nelle isole e andare a giocare ad un livello che non vedeva dagli anni degli esordi in serie A argentina. A Tenerife si sente a casa e dopo un anno di ambientamento nella sua seconda stagione conduce il Canarias alla vittoria della LEB Oro e della Copa Principe: nel campionato 2012/13, dopo sette stagioni spese nelle serie minori tra Italia e Spagna, può finalmente debuttare in ACB. Oggi Richotti è al suo quinto anno con l’Iberostar Tenerife, come viene chiamato oggi per ragioni di sponsorizzazione. Nella prima stagione in ACB ha chiuso con 9.1 punti di media, l’anno scorso è salito addirittura a 12.1 (20° in classifica marcatori), mentre quest’anno sta lasciando più spazio a Luke Sikma (2° miglior giocatore per valutazione) e annota “solo” 11.2 punti di media contro squadre come Real Madrid, Barcellona, Unicaja e Laboral Kutxa. Non male per uno che fino a pochi anni fa giocava in palestre del genere…

 

 

Un altro giocatore che si può dire sia partito da lontano -e in tutti i sensi- è sicuramente Brad Oleson. Per la precisione, la 31enne guardia del Barcellona arriva dal Polo Nord, e non stiamo scherzando. Oleson infatti è nato e cresciuto a North Pole, cittadina di 2.117 abitanti (stando al puntuale censimento del 2010) nel pieno cuore dell’Alaska. Senza poter fare molto in un paesino in cui di media la temperatura minima giornaliera è pari o inferiore ai 2° per ben nove mesi all’anno, Oleson ha deciso di dedicare la sua gioventù al basket. Una volta terminata l’high school a North Pole, Brad prova ad abbandonare l’Alaska per andare a giocare al Peninsula College, un piccolo community college di Port Angeles, cittadina facente parte di quella meravigliosa zona dei dintorni di Seattle che è l’Olympic Peninsula. Qui però Oleson rimane solo un anno, può sembrare strano ma ha nostalgia di casa, quindi l’anno successivo torna in Alaska per giocare con i Nanooks, la squadra di University of Alaska-Fairbanks, college di Division II della NCAA. Fairbanks è a pochissimi chilometri da North Pole, e qui Brad Oleson può esprimersi al meglio. Arrivato in una squadra che l’anno prima aveva chiuso con un record di 4-23, alla sua prima stagione in blu e oro cambia da solo la faccia dei Nanooks.

alaska

Nei suoi tre anni a Fairbanks, l’università colleziona un record di 64-24, con Oleson che segna rispettivamente 17.2, 22.9 e infine 24.4 punti, guadagnando il titolo di giocatore dell’anno e di capocannoniere della Great Northwest Athletic Conference per due volte. Brad si fa anche conoscere maggiormente quando Alaska-Anchorage organizza un torneo chiamato Top of the World Tournament, in cui è l’unica squadra di Division II in mezzo a tutte le altre di Division I, ma nonostante questo vince il torneo con Oleson mvp della manifestazione. Nel suo ultimo anno però la corsa si ferma alla finale del regional, in cui segna solo 14 punti. Senza la soddisfazione di poter giocare una Final Four, sia pure di Division II, ma con il record di punti segnati nella storia dell’università e la nomina nel quintetto ideale della nazione, Brad comincia la sua carriera da professionista. E per quanto al college abbia fatto bene, l’handicap di provenire da una piccola università fuori dal mondo e lontana dai radar degli scout NCAA non gli permette certo di poter puntare alla NBA o a un buon campionato europeo. Quindi il primo contratto professionistico di Oleson è con i Dodge City Legends, franchigia del Kansas che gioca in USBL, una lega minore del Midwest (ora sparita) che si giocava da fine marzo a inizio luglio. Dopo aver vinto il titolo ed essere stato nominato nel quintetto rookie della sia pur breve stagione, Oleson firma il suo primo contratto oltreoceano con il Rosalia de Castro, squadra galiziana di LEB Plata, che sarebbe sempre l’equivalente della nostra Silver/B1. Lì rimane per ben tre stagioni, collezionando 18.6 punti con il 49.7% da tre nel suo primo anno e 17.8 con il 47.3% dall’arco nell’ultimo, ovvero l’unico giocato in LEB Oro dopo la sorprendente promozione dell’anno prima. Terminata l’esperienza in Galizia, nel 2008/09 Oleson viene chiamato in ACB dal Fuenlabrada e gioca una stagione superlativa, chiudendo come sesto miglior cannoniere della Liga spagnola a quota 18.3 punti (che oggi basterebbero per stravincere la classifica marcatori) segnando il 44.8% delle sue triple.

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Questo exploit lo porta a firmare addirittura con il Real Madrid, che però prima ancora di fargli giocare una partita con la casacca bianca lo scambia con il Caja Laboral, ottenendone in cambio Pablo Prigioni e Sergi Vidal. A Vitoria l’alaskano fatica nelle prime due stagioni (addirittura il primo anno segna solo 5.5 punti con il 36.4% da tre, peggior dato in carriera), poi si rilancia nel 2011/12 e l’anno seguente a metà stagione viene acquistato dal Barcellona.

vitoria

Con i blaugrana Oleson ha vinto due titoli ACB ed è diventato il terzo giocatore alaskano della storia (dopo Trajan Langdon e Doron Perkins) a qualificarsi per le Final Four di Eurolega. Ma il suo traguardo più imporante forse l’ha ottenuto nella sua città natale: a North Pole infatti il sindaco Jeff Jacobsen ha istituito qualche anno fa il “Brad Oleson Day”, con il quale tutto il paesello celebra il suo concittadino più famoso il 24 aprile di ogni anno. Interpellato sul perché sia stata scelta quella data (lui è nato l’11 aprile), Oleson ha risposto: “Non ne ho la più pallida idea, credo sia perché gioco con il 24 sulla schiena, ma non me la sono mai sentita di chiederglielo”. E se vi steste chiedendo cosa si fa di preciso nel Brad Oleson Day, ci pensa sempre lui: “Assolutamente niente. E’ giusto un’onoreficenza che si sono inventati per rendermi omaggio, ma in realtà è una cosa abbastanza divertente, giusto per scherzare un po’ a North Pole”. Probabilmente nessun altro giocatore di Alaska-Anchorage, dei Dodge City Legends o del Rosalia de Castro avrebbe mai anche solo immaginato di poter giocare una Final Four di Eurolega o di avere una giornata dedicata tutta per sé…

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Mario Castelli

Classe (poca) 1988, saronnese, ex giocatore. Ma molto più ex che giocatore. Non so scrivere presentazioni, anzi non so scrivere e stop. Mi domando da tempo perchè i video dei Kings del 2002 e degli Spurs del 2014 non si trovino su Youporn, ma non riesco a darmi risposte. Vivo per guardare partite, guardo partite per poter mangiare e mangio per vivere. Ma anche vivo per mangiare, mangio mentre guardo partite e guardo partite per guadagnarmi da vivere. Maledetti circoli viziosi.

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