Approssimandosi alle Final Four 2012 di Istanbul, dove con tutta probabilità Panathinaikos e Olympiacos sarebbero state tra le quattro squadre protagoniste, conoscendo bene ovviamente i rapporti tra il popolo greco e quello turco, il front office di Euroleague aveva pensato di martellare i media con spot distensivi e tranquillizzanti, facendo dire in video ai futuri protagonisti di quelle Final Four, ovviamente quelli delle due squadre greche, di mettere da parte rivalità e odi nazionalistici (migliaia di greci in Turchia, migliaia di potenziali -e non solo- problemi di ordine pubblico), pensando solo ed esclusivamente a tifare la propria squadra, cercando di creare per quanto possibile,un clima di distensione tra i greci che sarebbero arrivati a Istanbul, e i turchi che li avrebbero visti scorrazzare per Taksim Square.

Zelimir Obradovic era uno dei protagonisti scelti da Euroleague per diffondere il messaggio di distensione, e chi vi scrive aveva l’arduo compito, assieme a un responsabile editoriale di Euroleague Tv in una saletta dell’OAKA adibita a studio, di spiegare al coach serbo cosa avrebbe dovuto dire. Obradovic si dimostrò moderatamente disponibile nel dire un paio di frasi distensive in inglese visto che di greco, per sua ammissione, conosceva solo le parole malaka, roufiano e gamiete.

Cameraman pronto, lucina rossa, you can go, coach:

“Hi greek fans and Panathinaikos fans, I’m coach Obradovic. We are approaching the Final Four in CONSTANTINOPLE……” –  da quel momento in poi non ho più sentito quello che Obradovic stava dicendo, avendo un solo pensiero in testa: “come c***o si può mandare uno spot per la distensione, con il coach di una squadra greca che dice che si gioca a Costantinopoli invece che a Istanbul??????”.

Assieme al responsabile editoriale di Euroleague Tv, tacitamente incrociando gli sguardi, chiedemmo all’unisono a Obradovic: “Coach, maybe it’s better to record another one, if you please could change a little bit the words…”.

Nessuno di noi due, né io manovalante reporter né lui responsabile editoriale, ebbe il coraggio di dire a Obradovic quello che avrebbe dovuto dire. Lui, già un po’ spazientito, cambiò sì qualche parolina, ma CONSTANTINOPLE rimase fermamente nel suo speech, così a malincuore fummo costretti a non utilizzare lo spot di Obradovic, accontentandoci del solo Tsartsaris sulla PAO side.

Zelimir Obradovic, un uomo NATO per insegnare basket.

Già a 22 anni, mentre giocava con il Partizan Belgrado, allenava gli Under 15 bianconeri.

Ce l’aveva dentro, una vocazione, un regalo, un dono a tutte le future generazioni di giocatori e allenatori da metà anni 80 in poi, anche se lui rimane comunque l’unico e il solo, nessuno come lui in Europa, con parecchi fans di alto livello anche nella Nba, non sono certo un mistero infatti gli innamoramenti cestistici nei suoi confronti da parte di Gregg Popovich.

Partiamo dai numeri di Coach Obradovic, in rigoroso ordine wikipediano:

  • 9 volte campione Eurolega, 1 con Partizan Belgrado, 1 con Juventud Badalona, 1 con Real Madrid, 5 con Panathinaikos, e 1 con Fenerbahce
  • 2 Coppe Saporta (nel 1999 con la Benetton Treviso)
  • 2 volte Campione di Turchia
  • 1 Coppa di Turchia
  • 11 volte Campione di Grecia
  • 7 Coppe di Grecia
  • 1 volta Campione di Yugoslavia
  • 1 Coppa di Yugoslavia
  • 1 Supercoppa Italiana

e questo solo nella sua carriera di coach per club.

Sempre di wikipediana memoria, questi i suoi risultato con la nazionale yugoslava come allenatore, nella sua comunque breve carriera come da allenatore della Nazionale:

  • 1 volta Campione del Mondo nel 1998
  • 1 volta Campione D’Europa nel 1997
  • 1 Argento Olimpico nel 1996
  • 1 Bronzo ai Campionati Europei nel 1999

Da questa mera sequenza di numeri e di riconoscimenti, si possono evincere alcune cose.

Una personalità e un carisma impressionanti.

Una altissima opinione di sé stesso, cosa fondamentale e necessaria per tutti i coach di un certo livello, obbligati a gestire grandi campioni e personalità non facili, fattori che spesso vanno di pari passo.

Un amore spassionato per il gioco e soprattutto per il SUO gioco. Al Panathinaikos il pick’n’roll Mike Batiste-Dimitrios Diamantidis e le sue svariate opzioni successive sono diventate oggetto di culto e di ispirazione per tutte le successive generazioni di coaches, a tutti i livelli.

Certo, avere due giocatori come quelli appena citati a giocarti il pick’n’roll, due giocatori con una profonda intelligenza cestistica, aiuta.

Nella sua carriera Obradovic ha sempre potuto per sua fortuna contare su grandissime superstar.

Al Partizan nei primi anni novanta aveva Sasha Djordjevic e Predrag Danilovic, alla Joventut Badalona aveva Corny Thompson, i fratelli Jofresa e Jordi Villacampa, al Real Madrid aveva Arvydas Sabonis e Joe Arlaukas, al Panathinaikos nelle sue varie versioni aveva Zelijko Rebraca, Dejan Bodiroga, Ramunas Siskauskas, i già citati Batiste e Diamantidis, e molti altri.

Solo quest’anno forse, al Fenerbahce, la sua squadra è priva di vere e proprie superstars, solo giocatori fortissimi, con una chimica invidiabile. Ekpe Udoh, Bogdan Bogdanovic, Jan Vesely, Nikola Kalinic, Pero Antic, Gigi Datome, Bobby Dixon, giocatori di primissimo livello, top players a livello europeo, ma senza quella vera e iconica superstar, senza nessuno che fosse veramente la faccia della squadra, insomma lo Spanoulis o il Teodosic della situazione.

Intelligenza cestistica dicevamo.

Intelligenza cestistica riconosce intelligenza cestistica.

Come dice Gigi Datome nella sua recente intervista a La Giornata Tipo in occasione della presentazione delle Final Four:

“Ogni tanto in allenamento Obradovic chiede di giocare un’azione quando proviamo i giochi, e capita che con un taglio, un blocco o un velo, si ritrovi libero di segnare o di far segnare qualcun altro. A volte prevede le reazioni degli avversari. Pazzesco”.

Cosa può esserci di meglio per un coach per guardagnarsi la fiducia e la stima dei propri giocatori? Dimostrargli sul loro piano e sul loro campo che, nonostante la evidente differenza di forma fisica data dall’età, il coach ha un dono che sta cercando di trasmettere a loro, il dono di capire e comprendere e interpretare il gioco meglio di quasi chiunque altro, a prescindere dalla forma fisica. La sublimazione della Intelligenza cestistica.

E una spasmodica voglia e brama di diffondere e trasmettere questa intelligenza, di trasformarla in vittorie, in Coppe, in campionati, e più in generale in una perfetta macchina da canestri chiamata squadra.

Obradovic ‘accompagna’ Bjelica verso lo spogliatoio…

 

Nell’estate del 1991, pochi giorni prima del raduno della nazionale yugoslava in vista degli Europei in Italia, Obradovic era ancora un giocatore, convocato da Dusan Ivkovic per quegli Europei. Obradovic era tornato da pochi mesi a pieno regime dopo aver perso l’intera stagione 1989 a causa di un periodo in carcere per aver investito e ucciso un pedone (“drunken pedestrian who was crossing a dark road” cita il New York Times).

Obradovic aveva 31 anni, era ancora un grande giocatore, e vestiva ancora la maglia del suo Partizan Belgrado.

Il Direttore Sportivo del Partizan, Dragan Kicanovic, indimenticato campione della Yugoslavia dei miracoli nonché mortifero tiratore anche alla Scavolini Pesaro nel biennio 1981-1983, poco prima della partenza di Obradovic per il ritiro della nazionale, lo convocò preoccupato, e gli disse:

“Zeljko, non abbiamo il coach per la prossima stagione”.

“Ce l’ho io il coach per te Dragan” rispose Obradovic.

“E chi potrebbe essere?” rispose Kicanovic.

“Io” disse tranquillo Obradovic.

Con quel tarlo instillato nella mente di Kicanovic, i due si salutarono, onde poi risentirsi qualche giorno dopo.

Era fatta.

Obradovic era stato investito del ruolo di allenatore del Partizan.

Circa una settimana più tardi, alla vigilia della partenza della nazionale yugoslava per la Grecia, in vista del torneo dell’Acropoli in preparazione dell’Europeo, Obradovic parlò con Ivkovic, e gli disse che lasciava la squadra per prendersi carico del Partizan come allenatore, ponendo fine alla propria carriera di giocatore all’età di 31 anni.

Subito nella sua rookie season da allenatore Obradovic fece faville, portando il Partizan alla vittoria nella Coppa dei Campioni, nelle entusiasmanti Final Four dell’Abdi Ipekci di Istanbul, una vittoria con una tripla allo scadere di Sasha Djordjevic nella finale contro lo Joventud Badalona, interrompendo l’egemonia della Jugoplastika Spalato di Toni Kukoc, gli odiati e fino a poco tempo prima connazionali croati, che vinsero le precedenti tre edizioni del massimo torneo continentale. Una curiosità: è l’anno dello scoppio della guerra e il Partizan è costretto a giocare tutte le partite “casalinghe” a Fuenlabrada, in Spagna. In Coppa Campioni giocano solo gara 2 dei quarti di finale a Belgrado.

Il vero segreto del trionfo di Obradovic come allenatore in quella sua prima stagione, per quanto fosse già un predestinato ad essere un grande coach, fu il mentore che lo seguiva, lo cresceva, lo consigliava e lo strigliava, nientemeno che Il Professore, Asa Nikolic, scomparso nel 2000 a 76 anni dopo avere dispensato saggezza cestistica nel mondo per quattro decadi.

Obradovic attinse a piene mani dai consigli e dalle attitudini di Nikolic, si nutrì voracemente dei suoi insegnamenti, li fece propri e in pochissimo tempo sviluppò e affinò la sua personalità e il suo modo di allenare facendo tesoro dell’esperienza del Professore, facendo proprie le sue nozioni di base e sviluppandole in chiave propria, in base ovviamente alla propria personalità e al proprio credo cestistico.

Due dei suoi giocatori più importanti nel corso della sua venticinquennale carriera da allenatore, Dejan Bodiroga e Sasha Djordjevic, dichiararono, in separate sedi, che Obradovic allena il basket come giocare a scacchi.

Intervistato su questa particolare visione del suo modo di allenare, Obradovic rispose con il suo proverbiale pragmatismo: “beh sì, possono esserci dei parallelismi con il gioco degli scacchi, con la sola differenza che negli scacchi sei tu che giochi e sei tu che decidi come giocare, nell’allenare il basket sono i giocatori che devono materializzare le tue idee sul campo. Ringrazio comunque Bodiroga e Djordjevic, due giocatori con i quali ho sempre avuto una visione unitaria”.

Tra le righe di questa dichiarazione vi è tutta la “essenza Obradovic”, pragmatismo e cinismo, rispetto verso i propri giocatori più rappresentativi, coloro che in un qualche modo hanno contribuito a farlo diventare l’immenso coach che è, ma allo stesso tempo una sorta di netto distacco tra di lui e i propri giocatori, per quanto rappresentativi possano essere stati, intendendo probabilmente “io gioco a scacchi e vinco a scacchi solo se VOI fare quello che vi dico io, e voi che l’avete fatto siete tra i meritevoli”.

Abbiamo già citato la tripla allo scadere di Sasha Djordjevic che diede la vittoria al Partizan nella finale Coppa Campioni 1992 all’Abdi Ipekci contro lo Joventut Badalona. Proprio sulla panchina dei neroverdi di Catalunya Obradovic centrò la sua vittoria nella massima competizione europea, battendo 59-57 l’Olympiacos nella finale dello Yad Elyahu di Tel Aviv, nel 1994, con canestro di Corny Thompson a 20 secondi dal termine e con il libero sbagliato da Zarko Paspalj a 4 secondi dalla fine.

 

La terza vittoria per Obradovic arrivò l’anno successivo, sempre con una squadra spagnola, il Real Madrid, che a Saragozza annientò ancora una volta l’Olympiacos 73-61, Cinque anni più tardi Obradovic cominciò la sua dinastia di vittorie al Panathinaikos, portando i biancoverdi alla vittoria sul terreno nemico di Salonicco, alla PAOK Sports Arena, 73-67 al Maccabi Tel Aviv con un dominante Zeljko Rebraca e un illuminante Dejan Bodiroga.

Due anni dopo, dopo l’anno di “stand-by” con le due leghe scisse (nel 2001 vittoria della Kinder Bologna sul Tau Vitoria in Euroleague, e del Maccabi Tel Aviv sul Panathinaikos in Suproleague), le Final Four del PalaMalaguti di Bologna videro un nuovo capitolo della saga vincente di Obradovic, 89-83 in finale sulla favorita Kinder Bologna, ancora una volta Pao trascinato da Dejan Bodiroga, MVP delle Final Four.

 

Se ne va Bodiroga dal Panathinaikos, e nel 2004 ecco arrivare un altro leader carismatico e talentuoso, arriva dall’Iraklis Salonicco, Dimitrios Diamantidis, che immediatamente si ritrova investito delle responsabilità di playmaking da parte di Obradovic, che ancora una volta ci vide giusto. Le Final Four 2007 sono all’OAKA, ovviamente una bolgia per il PAO, che batte non senza fatica i campioni in carica del Cska Mosca, con un leggendario Theodoros Papaloukas (Mvp della regular season) che fino all’ultimo tentò di vincere la gara col Cska di fronte agli ostili 20.000 dell’OAKA. 93-91 alla fine per la truppa di Obradovic, che alza al cielo la sua sesta Eurolega, and counting.

A Berlino nel 2009 è ancora il Panathinaikos a vincere la Eurolega, dopo aver eliminato sul filo 84-82 l’Olympiacos in semifinale, battendo 73-71 ancora il Cska Mosca di Ettore Messina, con Vassilis Spanoulis in maglia PAO nominato MVP delle Final Four.

Si arriva a Barcelona, Final Four 2011, la crisi in Grecia comincia a farsi sentire ma il Panathinaikos è ancora una delle squadre più forti d’Europa, anche e soprattutto grazie ad Obradovic, capace di tenere assieme un gruppo di grandi campioni a suon di motivazioni e disciplina mentale. Anche se il ciclo biancoverde sembra ormai volgere al termine, ancora una volta Obradovic riesce a motivare i suoi verso la vittoria finale sul Maccabi Tel Aviv, in una inedita finale anticipata alle 16.30 per via di una festa nazionale israeliana. Vittoria 78-70 per il Panathinaikos, e ottava Euroleague per Zeljko Obradovic.

 

Le Final Four di Istanbul sono storia recente e ancora viva nei nostri occhi, vittoria che ha regalato a Obradovic la nona vittoria del più importante trofeo d’Europa.

Di tutte queste 9 finali di Eurolega vinte, solamente l’ultima con il Fenerbahce (80-64 sull’Olympiacos) e quella del 1995 alla guida del Real Madrid (73-61 sempre sull’Olympiacos, vittima sacrificale preferita di Obradovic) sono state nette, senza un finale più o meno in volata. Tutte le altre sono state combattute fino in fondo, sul filo di lana, quando gli aggiustamenti e le valutazioni del coach contano davvero, e qui Obradovic ha ben pochi rivali. Come allena lui nei momenti cruciali delle partite cruciali, probabilmente non allena nessuno, perlomeno oggi, perlomeno in quest’epoca.

L’esultanza del popolo gialloblù, Bobby Dixon che ostenta la bandiera turca, il taglio del codino di Gigi Datome da parte di Pero Antic sul palco, sono tutte immagini ancora lì, fresche nelle nostre menti, a testimoniare questo ennesimo capolavoro di Zeljko, in una sorta di ipotetico e sentito inchino a uno dei più grandi del basket moderno, un clutch coach se ce n’è uno, Zelimir Obradovic.

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