illustrazione grafica di Paolo Mainini
articolo di Marco Munno
thanks to Baskonia

 

 

In Eurolega 8.4 punti a partita con il 50% abbondante al tiro, 6 rimbalzi a gara (settimo assoluto nel torneo), 12.3 di PIR in media (trentesimo assoluto nella competizione). In Liga ACB, quello che può essere reputato il campionato cestistico più importante dopo la NBA, 11.4 punti a partita con il 64.2% da 2 e il 33.3% da 3, 5.6 rimbalzi a gara, 15.8 di valutazione media (quindicesimo nel torneo). Queste le cifre nell’inizio della stagione 2020/21 di Achille Polonara, impreziosite da giocate che fra un amazing e uno espectacular, finiscono regolarmente fra gli highlights settimanali delle due competizioni.

Un pacchetto completo che ad oggi lo rende uno dei più validi numeri 4 d’Europa: in controtendenza con il resto del mondo, l’annus horribilis 2020 rappresenta invece quello migliore della carriera e forse della vita (grazie alla nascita della figlia) di Achille. Una situazione che un anno fa non si sarebbe mai immaginato.

“Innanzitutto perchè la mia compagna non era incinta. Avevamo in programma un figlio, ma non sapevamo quando sarebbe arrivato; ora possiamo abbracciarla, con un nome come quello di Vitoria scelto accuratamente. Non con una doppia T, come solito in Italia, ma come la città che mi ha accolto e in cui mi sto togliendo tante soddisfazioni; quando un giorno le amichette le chiederanno perchè si chiama così, avrà una storia particolare da narrare”.

Un racconto che parte dalla proposta ricevuta a sorpresa dal club basco, quando Achille era impegnato nella preparazione estiva a Sassari dove aveva appena rinnovato:

“Non me l’aspettavo, ma a 27 anni non potevo farmi sfuggire l’occasione di misurarmi sul palcoscenico dell’Eurolega, con la quale non mi ero mai confrontato. Sarò sempre grato al presidente Sardara e al coach Pozzecco per avermi dato l’opportunità di scegliere, ma volevo mettermi alla prova ad un livello superiore. Sapevo che ci sarebbe stato da sgomitare per avere i miei minuti, vista la presenza nel ruolo di uno dei migliori giocatori d’Europa come Shengelia, ma volevo giocarmi le mie carte.”

Un inizio non facile in terra spagnola, con coach Perasovic a vederlo esclusivamente come backup del georgiano e non al suo fianco, dove venivano alternati dei numeri 5 più “classici” come Fall, Diop e Eric. Poi, è arrivata la svolta, con il cambio in panchina e coach Dusko Ivanović al comando.

“Il coach ha cominciato a dare minutaggio al di là del nome sulla casacca, premiando chi stesse meritando partita per partita. Più volte ci siamo trovati in campo con quintetti mai provati in allenamento o soluzioni non sperimentate, ma guidate da ciò che stesse succedendo sul parquet in quel momento. Ricordo ad esempio il match di Eurolega a Vitoria contro il Khimki: per sostituire Henry nel primo quarto il coach chiamò me, dicendomi di marcare Shved. Gli chiesi per conferma se avessi sentito bene: non mi sbagliavo”.

E accoppiato al fenomeno russo, tutto sommato Polonara tenne botta

“Sapere di avere la possibilità di non uscire al primo errore ma di avere un discreto credito in campo mi ha dato fiducia, di conseguenza ho avuto meno paura di osare”.

Si è innescato quindi quel circolo vizioso in cui Achille si era già ritrovato a Teramo, nella prima tappa del suo percorso da professionista, o a Sassari, l’ultima in Italia prima del passaggio in Spagna: in entrambi i casi ha trovato allenatori che gli hanno fatto spazio in rotazione, ripagandoli con un’impennata di rendimento. Non a caso, le due migliori prestazioni per punti in Serie A sono arrivate nei momenti più importanti vissuti da Polonara nelle due compagini: il suo record di 34 punti fu fissato nel 2012, la seconda miglior prova da 29 punti arrivò nel 2019.

“Coach Ramagli credette moltissimo in me quando ero un ragazzino: nella sua prima stagione intera da capo allenatore a Teramo mi promosse nelle gerarchie del team, facendomi diventare il primo cambio sotto canestro a soli 19 anni, tagliando addirittura uno straniero (Yaniv Green) tenendo in squadra solo Brandon Brown e Valerio Amoroso davanti a me. Discorso simile a Sassari: coach Pozzecco ridusse la rotazione dei lunghi, basandola su tre elementi invece di quattro e ne trassi giovamento.”

Protagonista nell’emozionante filotto di vittorie ottenuto nella seconda parte della stagione 2018/19, proprio in Sardegna PolonAir ha lasciato un pezzo di cuore, con un legame con gli amici come Marco Spissu, e con l’intero ambiente che ha più volte ribadito.

Analoga la trafila vissuta in quel di Vitoria: anche lì è diventando progressivamente non solo un’alternativa a Shengelia ma suo compagno di reparto, in un accoppiamento più leggero ma più dinamico e perimetrale, adatto ad una batteria di esterni con due leader quali Henry e Vildoza. A proposito di Toko, in questa stagione è passato al CSKA Mosca, così come l’altro lungo del Baskonia Johannes Voigtmann nell’estate precedente… non ci sarà due senza tre?

“Mai dire mai, però ad ora vedo solo il Baskonia, che mi ha dato l’opportunità che a questo livello non mi era stata mai concessa. E’ vero comunque che sono ambizioso: chissà, magari poi toccherà alla NBA…”

Non si tratterebbe comunque del primissimo contatto con la realtà Oltreoceano: quello, infatti, risale al 2017, anno in cui Achille disputò la Summer League coi Bucks. O meglio, avrebbe dovuto disputare, se un infortunio non si fosse messo in mezzo impedendogli di scendere in campo.

“Al camp non c’erano giocatori NBA già fatti e finiti, ma ragazzi in cerca di un’opportunità di entrare a farne parte; tuttavia, si trattò di un’esperienza di cui avevo voglia, per avere un contatto con la realtà americana”.

Un discorso lasciato in sospeso e magari da riprendere, così come quello con la maglia azzurra.

Dopo le presenze con l’Under 18 e con l’Under 20, con annessa medaglia d’argento agli Europei di categoria del 2011 (in un gruppo che comprendeva gente attualmente nel giro azzurro come Nicolò Melli, Alessandro Gentile, Michele Vitali, Riccardo Moraschini, Andrea De Nicolao, Simone Fontecchio, Filippo Baldi Rossi), esordì in azzurro non ancora ventunenne.

A proposito dell’Europeo Under 20, nella semifinale contro la Francia con 15 punti fu il secondo miglior marcatore azzurro

Saltato sfortunatamente EuroBasket 2013 a causa di un infortunio alla caviglia, fu parte integrante del gruppo che si qualificò per poi giocare quello successivo del 2015. Sembrava l’inizio di un sodalizio duraturo ma nelle successive competizioni arrivarono le esclusioni (a parte le presenze nelle sole qualificazioni al Mondiale 2019, quelle in cui però i ragazzi impegnati in NBA e Eurolega non erano a disposizione).

“E’ inutile essere ipocriti: ci sono rimasto male per essere rimasto fuori dalle convocazioni, ma le bocciature hanno rappresentato anche uno spunto per interrogarmi sui miei limiti e motivarmi per superarli. La maglia azzurra rappresenta sempre il massimo per un atleta, spero di tornare il prima possibile ad indossarla”.

Si tratterebbe di un’altra soddisfazione in scia con quelle ottenute in questo inizio di stagione (“sono stato lusingato dal ruolo ancora più centrale offertomi dalla dirigenza basca dopo la partenza di Shengelia”) e la fine della precedente, quella in cui è arrivato il sospirato primo scudetto della carriera. In quella che stava diventando un pò una maledizione per Achille: in carriera erano arrivati i due titoli consecutivi di miglior Under 22 del campionato (il primo a Teramo, il secondo a Varese), la Supercoppa italiana con Reggio Emilia, la FIBA Europe Cup con Sassari ma anche vari assalti a vuoto al titolo.

Nella prima stagione a Varese, quella del gruppo degli “Indimenticabili”, si era fermato in semifinale, col rammarico però di averla giocata in condizioni fisiche precarie e senza contare sul compagno di reparto, uno dei migliori centri visti negli ultimi anni in Italia, Bryant Dunston.

A Varese fu coniato il soprannome PolonAir, da un’idea dell’addetto stampa societario Davide Minazzi

Successivamente nell’esperienza a Reggio Emilia come perno del gruppo italiano, anima della squadra di fianco a Kaukenas, Lavrinovič e Drake Diener (nella prima stagione), era arrivato per ben due volte al passo successivo, quello della finale. Così come nell’ultima annata completata a Sassari. Ma in tutti i casi, il trionfo era stato appannaggio degli avversari.

“Certo, dopo una tale serie di eventi, un pò di film mentali te ne fai. Però, stavolta le sensazioni erano buone”.

Così Achille riguardo allo stato d’animo precedente al match fra il suo Baskonia e il Barcellona, ultimo atto della Liga ACB 2019/2020, conclusasi con un mini torneo nella “bolla” di Valencia.

“Per prepararci alla ripresa avevamo svolto una breve preparazione fisica mirata, inoltre nella bolla c’era la percezione che avrebbe potuto accadere qualsiasi cosa. Insomma, perchè non provarci?”

Quella percezione che invece non sfiorò coach Pešić, condottiero del Barcellona favoritissimo in finale, quando nelle foto di rito con il trofeo prima della finale disse al rivale Ivanović di toccare la coppa finché ne avesse l’occasione…

Il Barcellona effettivamente era scappato nel punteggio prima dell’intervallo, contro un Baskonia la cui brillante corsa nel torneo sembrava vicina al termine. La partita tuttavia non era stata “uccisa”, il margine di 6 punti al rientro dopo l’intervallo lungo non rappresentava di certo un margine rassicurante per i blaugrana su una squadra in cui proprio Achille era stato protagonista nel corso dell’intero percorso verso l’ultimo match.

Tuttavia, dopo le tante giocate mozzafiato regalate nella bolla, in finale la prestazione di Polonara era stata impalpabile fino a 2 minuti e 29 secondi dal termine. Un solo punto realizzato, fino alla ricezione in punta dello scarico di un raddoppiato Shengelia: l’esitazione di Davies nell’andarlo a chiudere risultò decisiva, con la tripla del vantaggio del Baskonia puntualmente a segno.

Nei 2 minuti e 19 secondi successivi, si segnarono solamente altri 3 punti: tutti da parte del Barcellona, che però a 10 secondi dal termine si ritrova a difendere contro la presumibile ultima conclusione dei baschi.

Stavolta, sul passaggio da breve distanza di Shengelia a Polonara, Davies cambiò subito attaccandosi ad Achille; dalle mani di Polonara non partì tuttavia un nuovo tiro, ma un gran assist raccolto dalle mani di Vildoza, liberatosi con un backdoor di Kuric per appoggiare solo soletto il canestro decisivo.

 

Finalmente, un titolo per Achille, scappato in tribuna a fine match per sciogliersi in un pianto liberatorio. Lacrime di felicità, non di dolore, come rimarcato da lui stesso, diventato il terzo italiano a portarsi a casa la Liga ACB dopo Gregor Fučka e Gianluca Basile (curiosamente entrambi con la maglia del Barcellona).

La conclusione ideale del lungo percorso compiuto, dai primi tiri in palestra tentando di emulare il fratello Valerio di 7 anni più grande (“il mio idolo”, così come lui lo è ora per il nipote Michele Serpilli), passando per le delusioni che hanno forgiato l’Achille vittorioso.

Come avrebbe commentato qualcuno: “Mamma, butta la pasta!”

Occhio però a non prendere la frase troppo sul serio…

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