Questa notte ricomincia il campionato NBA, quel campionato di basket dove giocano 30 squadre e alla fine arriva sempre in finale la squadra di LeBron James.

Come sempre abbiamo preparato una comoda Guida, quest’anno molto più rapida e facile da consultare, nella quale trovate i roster, le analisi semi-serie di ogni squadra e un po’ di chicche (ma non quelle che si sciolgono sotto la lingua).

La Guida è stata realizzata con passione, sangue, sudore e vodka-tonic da: Matteo Soragna, Roberto Gennari, Marco Munno, Davide Romeo, Giorgio Barbareschie Raffaele Ferraro,

Per ogni squadra trovate anche una sorta di mini album delle figurine creato da un malato patologico di basket (nonché grande allenatore): Stefano Morigi.

L’illustrazione in copertina, come sempre, è di quel genio di Paolo Mainini.

Alla fine di tutto trovate un grafico interattivo di Fabio Fantoni: potete perderci una marea di tempo cliccandoci sopra e scoprendo una valanga di statistiche.

Ed ecco il nostro ranking per l’Est ed anche per l’Ovest. Importante: il 99.9% di chi fa pronostici ad inizio anno, non li azzecca. E noi di certo non rientriamo nello 0.1%.

Buona lettura!

 

E S T

 

#15

e poi: Matthew Dellavedova, Lamar Stevens, Dylan Windler, Darius Garland, Thon Maker, Damyean Dotson, Damyean Dotson, Dean Wade. Allenatore: JB Bickerstaff

di Giorgio Barbareschi

Si può avere a roster due pluri-All Star e non sapere che farsene? Sì, se sei i Cleveland Cavaliers e i due giocatori di cui sopra si chiamano Andre Drummond e Kevin Love.

Dopo aver totalizzato soltanto 38 vittorie in due stagioni, la franchigia dell’Ohio vorrebbe provare a costruire qualcosa sulle macerie lasciate dalla partenza di LeBron James, ma per ora si trova con il salary cap ingolfato dai contratti dei due lunghi e finché non riuscirà a disfarsene è poco probabile che possa cambiare qualcosa. Drummond fortunatamente andrà in scadenza la prossima estate, mentre purtroppo Love è a libri per altri 91 milioni e spiccioli da qui al 2023. Difficile trovare acquirenti, perché l’ex-Timberwolves è sì un giocatore con molti pregi, ma i difetti sono altrettanti e comprendono una pessima attitudine difensiva, una limitata disponibilità al sacrificio e un massimo di 59 partite disputate nelle ultime 4 stagioni a causa di un compendio di infortuni vari. 

Il resto del roster ha contratti meno ingombranti ma anche molto meno talento. Larry Nance Jr, Dante Exum, Cedi Osman, JaVale McGee e Matthew DellaVedova sono comprimari che nel contesto giusto potrebbero dare un buon contributo, ma se gli si chiede di tirare la carretta allora iniziano i problemi.

Le speranze risiedono nello sviluppo delle nuove leve. In primis Collin Sexton, che prima dello stop causato dall’emergenza Covid stava facendo intravedere prestazioni in netta crescita. Meno entusiasmante è stata la prima stagione NBA di Darius Garland, quinta scelta assoluta al draft 2019, mentre l’ultimo arrivato Isaac Okoro ha ottime doti nella metà campo difensiva ma in attacco è tutto da costruire (a partire dal tiro).

Insomma, un cantiere aperto che per il momento deve ancora trovare il cemento con cui costruire le fondamenta.

(Oh, comunque Okoro al debutto in preseason ha chiuso così la partita contro i Pacers. Mica male)

 

#14

E poi: Ignas Brazdeikis, Reggie Bullock, Theo Pinson, Immanuel Quickley, Dennis Smith Jr., Omari Spellman. Allenatore: Tom Thibodeau

di Davide Romeo

Se il 2020 fosse una franchigia, sapete già quale sarebbe. I poveri Knickerbockers di New York, materializzazione sportiva della teoria dell’Eterno Ritorno di Nietzsche, si avviano all’ennesima stagione di ricostruzione in una mescolanza di timide e sussurrate speranze e piatta disillusione. 

Thibodeau è un coach di prestigio e di esperienza ma avrà a disposizione un roster di qualità decisamente inferiore rispetto a quello che aveva con i T-Wolves, dove comunque ha fallito. Anche a causa di una delle peggiori tendenze cestistiche del decennio, ossia il doppio incarico coach/president of basketball operations. 

Il nuovo presidente Leon Rose porta una nuova ventata di freschezza in un front office che ha spesso mostrato strategie rivedibili, ma dovrà operare sotto l’inevitabile ombra del proprietario James Dolan, che ha un passato di rapporti burrascosi con i propri dirigenti e il cui rapporto con la tifoseria potrebbe dare un nuovo significato al vecchio meme “Dolan pls”.  

A ciò va aggiunto il fatto che la squadra ha pochi elementi di sicuro potenziale: Barrett ha avuto una stagione da rookie abbastanza deludente, Robinson è promettente ma ancora troppo inconsistente, Knox non ha ancora trovato una dimensione e il tempo stringe. La conferma di Payton toglie minuti e prospettive a due promesse come Smith Jr. e Ntilikina, diamanti grezzi che rischiano di diventare zirconi. L’ingaggio di Rivers porta ulteriore incostanza ad un reparto guardie già affollatissimo, Kidd-Gilchrist è un buon difensore ma poco altro (ma tanto l’hanno già tagliato), Randle e Noel non sono certo un frontcourt da playoff o particolarmente futuribili. 

Insomma, servirà un gran lavoro da parte di Thibodeau – uno che non è noto per la pazienza e lo spazio lasciato ai giovani – per trarre qualcosa di positivo da questo caos. Per concludere con sensazioni positive, Obi Toppin sembra avere le doti offensive necessarie per far bene fin da subito. Alcuni dicono che potrebbe lottare per il titolo di Rookie Of The Year, se riuscisse a trovare abbastanza spazio. Chissà. 

I have a bad feeling about this.

 

#13

E poi: Saddiq Bey, Wayne Ellington, Saben Lee, Rodney McGruder, Deividas Sirvydis, Isaiah Stewart. Allenatore: Dwane Casey

di Marco Munno

Dopo stagioni mediocri, ai Pistons c’è la voglia di ripartire: come pietra angolare del nuovo corso è stato ingaggiato, in estate, Troy Weaver come nuovo general manager. Sarà stato l’influsso di Sam Presti, del cui staff faceva parte ai Thunder prima della chiamata ricevuta dalla MotorCity, ma in questa offseason è stato protagonista con una lunga serie di operazioni, della quale sfugge la coerenza complessiva. In una NBA sempre più votata allo small ball sono arrivati una sfilza di lunghi poco avvezzi al gioco perimetrale, con contratti a volte esagerati rispetto a quanto mostrato sinora in carriera (sì, Plumlee e Okafor, si parla di voi). L’investimento più importante è stato quello su Jerami Grant, strappato ai Nuggets con un triennale da 60 milioni; come uomo franchigia affiancherà Blake Griffin, con buona pace di Bey e Doumbouya, rispettivamente rookie e sophomore che dovranno conquistarsi minutaggio in rotazione partendo alle loro spalle. Miglior sorte per l’altro giovane di prospettiva dei Pistons: l’ex Ulm Killian Hayes, settima scelta assoluta nell’ultimo draft, potrà partire nello starting five con un Derrick Rose ormai a suo agio nel ruolo di uomo di rottura in uscita dalla panchina.

In attesa della free agency del 2022 (in cui, vista la situazione contrattuale di molti dei ragazzi del roster a disposizione di coach Casey, i Pistons potrebbero presentarsi con tanto spazio salariale a disposizione), i Pistoni riusciranno a raggranellare qualche soddisfazione o dovranno rassegnarsi a vedere prolungato il loro stagnamento nelle zone basse della Eastern Conference?

(Proprio contro i Pistons, nel corso della passata stagione, Jerami Grant aveva piazzato il suo massimo in carriera di 29 punti)

 

#12

E poi: Vernon Carey Jr, Nate Darling, Caleb Martin, Jalen McDaniels, Nick Richards, Grant Riller. Allenatore: James Borrego

di Davide Romeo

Si può dire che il concetto di Succès de scandale, nato nella Parigi di metà Ottocento e consegnato alla storia da una popolare frase di Oscar Wilde – “no publicity is bad publicity” – abbia trovato una particolare fortuna nell’ultimo decennio. Se c’è una franchigia che si trova in un disperato bisogno di visibilità, probabilmente è quella che viene da sole tre comparsate ai playoffs nelle ultimi sedici stagioni e che si trova in difetto di un franchise player.
Il più giovane dei rampolli di Lavar Ball giunge a Charlotte col triplice obiettivo di risolvere le problematiche appena elencate.

LaMelo Ball è infatti molto di più che non l’attrazione principale dell’impresa circense orchestrata dal padre: il ragazzo ha potenziale, fiducia nei propri mezzi e innegabili qualità che ha già messo in mostra ad un – pur non eccelso – livello professionistico. Il giovane playmaker ha i mezzi adatti per raccogliere l’eredità giacente di Kemba Walker quale leader della squadra e pietra angolare della ricostruzione. Il suo gioco forse non è ancora sufficientemente maturo per tale responsabilità, ma avrà spazio e fiducia per crescere.

Anche questa stagione degli Hornets sarà infatti priva di pretese: l’anno scorso sono stati una squadra pessima in entrambe in attacco e in difesa. In ragione di ciò appare ingiusto aspettarsi che l’obiettivo stagionale siano i playoff: la franchigia è un cantiere aperto in cui il focus sarà sulla crescita di talenti come Bridges, Washington e il rookie Corey Jr..

Ci sono già delle certezze, quali Devonte’ Graham – una delle note più liete della scorsa stagione – e Terry Rozier che viene da un career year: i due componenti del backcourt stanno per entrare nel prime delle loro carriere e possono incidere.

L’innesto di Gordon Hayward è promettente: dopo due stagioni al di sotto delle aspettative ha fame di rivalsa. A trent’anni è il più “anziano” della squadra e si candida al ruolo di leader offensivo della compagine: quanto – e quando –  tuttavia questa potrà essere competitiva, dipenderà letteralmente dalle mani di LaMelo Ball.

“Giocare a Charlotte non è stressante” – Cody Zeller, 28 anni. Non è una gag…. – Foto Streeter Lecka

 

#11

E poi: Ryan Arcidiacono, Devon Dotson, Cristiano Felicio, Chandler Hutchison, Luke Kornet, Adam Mokoka, Denzel Valentine. Allenatore: Billy Donovan

di Marco Munno

Per la franchigia di Chicago i discorsi fatti nel corso delle ultime stagioni si sono ciclicamente ripetuti: attesa dell’esplosione dei giovani nelle preview di inizio anno sportivo, processo che va storto per cattiva gestione fra coaching staff e front office, dubbi sull’adeguatezza dei ragazzi per un rilancio, scelta al draft vista come barlume di speranza per il futuro… per poi ricominciare.

Stavolta però i cambi sono stati corposi, soprattutto perché hanno investito il reparto che prende le decisioni, quello dirigenziale e a cascata quello legato al coach. Al posto di John Paxson a capeggiare la gestione della squadra è arrivato Artūras Karnišovas, che ai Nuggets si era fatto notare per aver messo lo zampino nelle scelte di Jokic, Murray e Harris (in pratica il nucleo attuale del roster di Denver); al fianco dell’ex giocatore fortitudino sono arrivati un nuovo gm (Marc Eversley) e un nuovo allenatore (quel Billy Donovan sacrificato nel tritatutto dei Thunder nonostante avesse guidato il team ad una stagione ben più positiva di quanto pronosticabile a inizio anno).

Il roster è per ora rimasto sostanzialmente lo stesso, ma con tutti i ragazzi ora guardati con una diversa lente d’ingrandimento: Zach LaVine dovrà dimostrare di avere anche la leadership e non solo le cifre di un All-Star, Lauri Markkanen dovrà dare continuità ai suoi lampi fenomenali da lungo perfetto per la pallacanestro attuale, Wendell Carter e un Coby White in crescita nella seconda parte della passata stagione dovranno dimostrarsi continui (così come Otto Porter jr, potenziale collante del quintetto). Nel migliore dei casi i vari tasselli del mosaico si incastreranno alla perfezione per poter finalmente portare dei sorrisi nella Windy City, nel peggiore qualche cambio nel gruppo sarà quasi inevitabile per non ritrovarsi nuovamente allo stesso punto delle ultime annate.

(Karnišovas coi Bulls in qualche modo ci aveva già avuto a che fare)

 

#10

E poi: Jonathan Isaac, Khem Birch, Jordan Bone, Michael Carter-Williams, Gary Clark, Karim Mane, Chuma Okeke. Allenatore: Steve Clifford

di Marco Munno

Squadra che vince non si cambia, recita un famoso detto. Squadra che vince poco… neanche, ha recitato in questa offseason il front office dei Magic. Con una bassissima flessibilità salariale, l’idea per la franchigia di Orlando è quella di puntare ancora su un gruppo che, dopo i progressi nella stagione 2018/19, ha rallentato la sua crescita nella stagione scorsa. Dove, tuttavia, ha piazzato nuovamente un upset ai playoff, battendo in gara 1 i favoriti Bucks (così come accaduto contro i Raptors nella postseason precedente) prima dell’inevitabile uscita al primo turno. Vučević e Fournier, coi loro pregi e i loro difetti ben chiari, sembrano aver mostrato cosa possono dare alla causa: per migliorare, ci si aspetta un passo in avanti da Fultz e un’inversione di tendenza da un Aaron Gordon in calo nelle ultime due annate sportive. Coach Clifford, che comunque è riuscito a dare delle fondamenta ad una squadra che ne era priva, punterà poi su un contributo di squadra per rimpiazzare quello di Jonathan Isaac, fuori per l’intera stagione, con la novità Bacon aggiunto al mix delle soluzioni possibili. Con un Ross abituato al ruolo di sesto uomo, un’ulteriore alternativa ai ragazzi del quintetto titolare potrebbe essere rappresentata da Cole Anthony. Prima della sua unica stagione in NCAA, il figlio della vecchia conoscenza dei parquet NBA, Greg Anthony, era dato fra le prime tre scelte del Draft 2020; a causa dei problemi fisici e di una stagione non scintillante è scivolato in basso, ma potrebbe risultare una steal e una piacevole sorpresa per dei Magic desiderosi di non restare fuori dai playoff.

Tale padre, tale figlio? – Foto sportscasting.com

 

#9

E poi: Moritz Wagner, Anthony Gill, Garrison Mathews, Raul Neto, Anzejs Pasecniks, Jerome Robinson, Cassius Winston. Allenatore: Scott Brooks

di Roberto Gennari

Via Wall, dentro Westbrook. Da un certo punto di vista, si potrebbe dire che non cambi poi molto per la squadra della capitale, eppure la separazione dal numero 2 è un po’ un anno zero per i Wizards. Che solo tre anni fa arrivavano ad un passo dalle finali di conference, in quella che era stata la miglior stagione della franchigia dai tempi del titolo del 1979, guidati proprio dal play ex Kentucky, che disputò una stagione tale da fargli prendere anche qualche voto come MVP. Sono passati tre anni ma sembrano secoli, e così si volta pagina. Dal draft è arrivato un giocatore di talento cristallino come Deni Avdija, che farà molto probabilmente buone cose da subito, anche se l’aspetto su cui Washington aveva maggior bisogno di crescere, la difesa (29esimi per punti subiti, ultimi per Defensive Rating), non avrà certamente in lui l’uomo che gli fa cambiare volto.

Coach Brooks, però, sente di poter tornare da subito alla postseason, un po’ perché Westbrook sarà carico a mille come sempre (a proposito: in ossequio a uno che a Washington ha fatto benino, per la prima volta in carriera abbandonerà la maglia numero 0 e vestirà il numero 4 che aveva alla High School), un po’ perché Beal è pur sempre Beal: un giocatore della Madonna.

(Non dire mai a Bradley Beal che fa cagare. Finirai dalla parte sbagliata dell’highlight)

 

#8

E poi: Bruno Fernando, Kris Dunn, Brandon Goodwin, Solomon Hill, Nathan Knight, Skylar Mays, Tony Snell. Allenatore: Lloyd Pierce

di Marco Munno

Dopo aver perso il posto nella postseason (fisso dai playoffs 2007) tre stagioni fa, agli Hawks era partita l’opera di ricostruzione. A John Collins, arrivato nel draft del 2017, era stato affiancato Trae Young nel draft successivo; quindi, nel 2019 i rookies di spicco sono stati De’Andre Hunter e Cam Reddish. La base composta dai giovani è stata completata, con qualcuno a diventare nel frattempo una stella (Young), qualcuno sulla buona strada con qualche intoppo legato agli infortuni (Collins), qualcuno un pò più indietro ma già con ottimi (Hunter) o comunque buoni (Reddish) flash di talento mostrati. Insomma, per lo step successivo, ovvero un ritorno ai playoffs, mancavano i veterani: su di loro si è concentrato il gm Travis Schlenk durante questa offseason. Dopo aver portato Capela alla Philips Arena nello scorso febbraio per farne il centro titolare, ha rinforzato il backcourt con Bogdan Bogdanovic, Rajon Rondo e Kris Dunn, e il frontcourt con Danilo Gallinari. Il primo pare l’unico certo di completare lo starting five (nonostante l’affollamento nel ruolo); gli altri tre sembrano destinati a partire dalla panchina, dando così un’eccellente profondità al roster e una moltitudine di soluzioni a disposizione di coach Lloyd Pierce. In una Conference in cui non sembra esserci una ressa per le ultime posizioni disponibili per l’accesso alla postseason, gli Hawks sembrano destinati a ritagliarsi un ruolo di mina vagante (a patto che migliorino il lacunoso approccio difensivo di squadra), con fondate ambizioni di non smettere di giocare al termine della stagione regolare.

“Li vedi anche tu quei playoff all’orizzonte?”

 

#7

E poi: Brian Bowen II, Jalen Lecque, Kelan Martin, T.J. McConnell, JaKarr Sampson, Cassius Stanley, Edmond Sumner. Allenatore: Nate Bjorkgren

di Roberto Gennari

La scorsa stagione si è chiusa con una eliminazione piuttosto mesta ai playoff per mano dei Miami Heat, sia pure con tutte le attenuanti del caso, vedasi alla voce “infermeria piena”. I rapporti con Oladipo, poi, sono tutt’altro che idilliaci, anche se per il momento il “cocco di casa” non si è mosso dai Pacers. Il quintetto (Brogdon, Oladipo, Warren, Sabonis, Turner) però è buono e competitivo in ogni ruolo, e anche la panchina non è proprio totalmente sguarnita.

Il benservito a Nate McMillan è stato un mezzo fulmine a ciel sereno, soprattutto se si considera che al suo posto è stato preso un head coach esordiente (Nate Bjorkgren) e con un’esperienza anche come assistant coach tutto sommato limitata. Di buono c’è però che ha fatto da assistant coach a Nick Nurse negli ultimi due anni, e quindi ha esperienza di playoff e di finali NBA. Il problema, per lui, è che i Pacers escono da cinque anni consecutivi al primo turno della post-season, e se McMillan è stato defenestrato per questo motivo significa che l’obiettivo minimo fissato dalla dirigenza sono le semifinali di conference. Forse così riusciremo a toglierci dalla testa quella vocina incessante che ripete “Bjorkgren chi?”

(Il momento più 90s della scorsa stagione, gentilmente offerto da TJ Warren e Jimmy Butler)

 

#6

E poi: Terence Davis II, Malachi Flynn, Jalen Harris, Stanley Johnson, Alex Len, Patrick McCaw, Matt Thomas, Yuta Watanabe, Paul Watson. Allenatore: Nick Nurse

di Giorgio Barbareschi

L’annata 2019/20 ha certificato l’appartenenza della franchigia canadese all’elite della NBA. Pur orfana di Kawhi Leonard, la banda di Nick Nurse è stata protagonista di una stagione entusiasmante sublimata in sette, meravigliose partite disputate contro i Boston Celtics. 

I Raptors si sono arresi nelle semifinali di conference contro i ben più attrezzati avversari, ma hanno venduto cara la pelle fino all’ultimo. Kyle Lowry ha confermato il suo status di leader, Fred Van Vleet ha ulteriormente innalzato le proprie prestazioni (e guadagnato un contratto da 85 milioni in 4 anni che solo due anni fa sarebbe stato impensabile), OJ Anunoby ha impreziosito una stagione in netta crescita con un clamoroso buzzer beater, e il trio Boucher-Powell-Davis ha dimostrato di poter valere minuti importanti.

Da loro e da Pascal Siakam (lui sì invece protagonista di una postseason decisamente inferiore le aspettative) ripartirà il cammino dei Raptors. Un cammino che si preannuncia complicato, perchè Ibaka e Gasol, fondamentali nel rendere i canadesi una delle migliori difese NBA degli ultimi due anni, sono partiti verso il sole della California. Per tentare di non farli rimpiangere sono arrivati Aaron Baynes e Alex Len, non proprio dei fini dicitori ma in grado (soprattutto il primo) di farsi rispettare nel pitturato.

Per il resto ci si affida alla sapiente guida tecnica di Nick Nurse, insignito lo scorso anno di un meritatissimo premio di Coach of the Year, e si attende l’estate prossima, quando Lowry e i 30 milioni annui del suo contratto andranno in scadenza e si capirà se Siakam e Boucher possono essere i due pilastri su cui costruire il futuro della franchigia. 

Perché i canadesi ormai hanno scoperto la passione per la palla a spicchi, e non vogliono certo rinunciarci.

Per rendere felice Nick Nurse basterebbe liberarlo dalla presenza di Drake vicino alla sua panchina, ma temiamo che questo non sarà possibile – foto ESPN

 

#5

E poi: Carsen Edwards, Javonte Green, Tacko Fall, Romeo Langford, Semi Ojeleye, Payton Pritchard, Tremont Waters. Allenatore: Brad Stevens

di Matteo Soragna

Le tre finali di Conference negli ultimi quattro anni dimostrano che la gestione Brad Stevens e il nucleo di Boston sono di quel livello. Ora arriva la parte più difficile, fare il passo successivo e giocarsi la possibilità di arrivare fino in fondo.

I Celtics vivono di certezze: la mentalità guida di Marcus Smart alla settima stagione con i verdi, la solidità su entrambi i lati del campo di Jaylen Brown e la consacrazione definitiva a super star di Jayson Tatum, che offensivamente nella bolla ha trovato grande continuità e volume nella casella degli assist, il tutto unito alla cultura della franchigia. La variabile è capire se queste basteranno a giocarsi le partite per indossare l’anello. 

L’organizzazione e l’applicazione difensiva come al solito garantiranno struttura alla squadra, ma la competizione a Est sarà pazzesca (con almeno quattro squadre Celtics, Bucks, Heat e Nets) che puntano alle Finals.

Le condizioni fisiche di Kemba Walker incideranno tantissimo e quel ginocchio preoccupa non poco, ma non quanto il fatto che ha dimostrato che per vincere ha bisogno di fare molto canestro visto che difensivamente patisce oltre i limiti.

Nella off season sono arrivati Tristan Thompson per dare rimbalzi e presenza fisica e Jeff Teague per aiutare il secondo quintetto a essere un po’ più pericoloso in attacco.

Lasciato andare Gordon Hayward, il grande equilibratore dei quintetti, che spaventava per la gestione dei continui infortuni, ci sarà spazio per la crescita di Romeo Langford e Payton Pritchard.

Una chiave sarà l’affidabilità e la possibile esplosione di Robert Williams, per dare quell’atletismo devastante che è sempre un po’ mancato a Boston sia a protezione del ferro che nella metà campo offensiva nel suo ruolo.

(Resta il fatto che la cosa più interessante della stagione sarà constatare i progressi di Tacko Fall col nuoto)

#4

E poi: Bruce Brown, Nicolas Claxton, Tyler Johnson, Rodions Kurucs, Timothe Luwawu-Cabarrot, Jeremiah Martin, Reggie Perry. Allenatore: Steve Nash

di Giorgio Barbareschi

Un tempo lo zimbello della Lega, i Brooklyn Nets sono oggi diventati LA franchigia della città di New York. Lo testimoniano gli arrivi a roster di Kyrie Irving e Kevin Durant e quelli in panchina di Steve Nash e Mike D’Antoni, tutti giunti nella Grande Mela per tentare di riportare la squadra a quelle finali NBA che mancano dai tempi di Kidd, Jefferson e Martin.

Sulla carta l’impresa potrebbe essere alla portata, perché KD e Kyrie sono due dei primissimi giocatori della Lega nella metà campo offensiva, e il resto del roster non manca di profondità e di talento. In panchina poi ci sono due delle menti più brillanti applicate al gioco del basket, sebbene Nash sia alla prima esperienza da head coach, con Jacque Vaughn destinato a fornire supporto nelle strategie difensive.

Allora perché molti vedono nei Nets una potenziale candidata a un’annata ben sotto le aspettative? In primo luogo perché Durant è fermo da oltre un anno dopo la rottura del tendine d’Achille, subita in gara 5 delle NBA Finals 2019. Per quanto KD sia dotato di un fisico molto leggero, si tratta di un infortunio che potrebbe limitarne la straordinaria elasticità e fluidità, soprattutto se consideriamo che stiamo parlando di un giocatore di 32 anni. 

Poi ci sarebbe la questione Irving. Anche lui non estraneo ai problemi fisici e reduce da un’operazione alla spalla, negli ultimi anni l’ex delfino di LeBron è salito agli onori della cronaca più per dichiarazioni e vicende extracestistiche (l’ultima la potete ammirare nel video qui sotto) che per le prestazioni in campo, e l’esperienza di Boston si è chiusa con un sostanziale fallimento che ne ha messo in (forte) discussioni le (presunte) doti di leadership. 

Se tutti i pezzi si incastreranno alla perfezione ci sarà da divertirsi, altrimenti un po’ meno.

(Prima le teorie terrapiattiste, poi lo sciopero delle interviste, adesso i riti voodoo per purificare il campo prima della gara. Il prossimo passo sarà la conversione al pastafarianesimo?)

#3

E poi: Tony Bradley, Terrance Ferguson, Isaiah Joe, Dakota Mathias, Tyrese Maxey, Kyle O’Quinn, Vincent Poirier. Allenatore: Doc Rivers

di Roberto Gennari

Con l’addio al coach Brett Brown (sostituito da Doc Rivers) e la nomina di Daryl Morey come nuovo President of basketball operations, possiamo dirlo: The Process is over. E i risultati non sono stati quelli sperati. Certo, ad oggi i due giocatori simbolo dei Sixers di questi anni sono ancora a Phila, ma le prime mosse di mercato sembrano voler dire a tutti che col passato si dà un taglio. Via Horford e il suo contrattone, mossa non semplice e pertanto un mezzo capolavoro, dentro Seth Curry per ridare ai Sixers quella dimensione perimetrale che le partenze di Belinelli e Redick avevano di fatto venire meno, e Dwight Howard per permettere un miglior load management di Embiid.

In panchina, dai Lakers, l’aggiunta di Danny Green, che porta esperienza, difesa e qualche tripla, anche se non sposta esageratamente, e dal draft Tyrese Maxey da Kentucky, che si spera potrà sollevare saltuariamente Ben Simmons dai compiti di playmaking. Il 4-0 secco e senza appello rimediato dai Celtics brucia ancora, ma Philadelphia, ad oggi, può aspirare principalmente al ruolo di mina vagante ad Est. Già tornare alle semifinali di conference non sarebbe male…

E basta co’ ‘sto Process!

 

#2

E poi: Avery Bradley, Maurice Harkless, Udonis Haslem, Meyers Leonard, KZ Okpala, Chris Silva, Max Strus, Gabe Vincent. Allenatore: Erik Spoelstra

di Matteo Soragna

La finalista del 2020 si presenta al via con il nucleo base a cui hanno aggiunto Avery Bradley e Maurice Harkless, esperti e giocatori di ruolo.

La Heat Culture è sulla bocca di tutti i giocatori di Miami e l’impersonificazione di quel modo di intendere la pallacanestro è Jimmy Butler che nei playoff ha giocato un basket di livello celestiale, non ha litigato con nessun compagno e ha portato la squadra alle Finals.

Bam Adebayo, un po’ più pesante dopo il supermax da $163 MLN firmato in off season e un po’ più leggero dopo la casa regalata immediatamente alla mamma, è un giocatore pazzesco che se continua a migliorare come ha fatto nella scorsa stagione, agli Heat stappano bottiglie per un bel po’ di tempo.

Tyler Herro e Duncan Robinson da rookie si sono adattati con facilità disarmante al livello più alto e devono continuare a performare in quel modo, una bella responsabilità e una bella sfida.

Interessante sarà il percorso di Precious Achiuwa, lo stesso ruolo di Adebayo che sul rookie ex Memphis Tigers ha dichiarato: “È meglio di me alla sua età”.

La chiave saranno le condizioni fisiche di Goran Dragic, nei playoff il miglior realizzatore degli Heat (fino all’infortunio al piede), perché in attacco e in termini di leadership (Butler lo ha minacciato di rifirmare subito) ha dato tantissimo a coach Spoelstra.

Proprio Spoelstra ha davanti a sé una grande sfida, riportare Miami in fondo e confermare che la passata stagione non è stata solo una bella favola.

Quando tua moglie il sabato sera a mezzanotte, prima di spegnere la luce e dormire, si gira dalla tua parte e ti dice: “Caro, domattina facciamo un salto all’ikea?”

 

#1

E poi: Bryn Forbes, Jaylen Adams, Thanasis Antetokounmpo, Torrey Craig, Mamadi Diakite, Sam Merrill, Jordan Nwora. Allenatore: Mike Budenholzer

di Davide Romeo

Quando, a inizio dicembre, il giovane ateniese più famoso al mondo ha celebrato il suo ventiseiesimo compleanno, i suoi compagni di squadra gli hanno regalato delle penne. Il contratto di Giannis Antetokounmpo sarebbe infatti scaduto al termine dell’imminente stagione e ça va sans dire che i Bucks avessero ogni interesse ad assicurarsi le prestazioni del giocatore greco per il maggior tempo possibile. 

Ora che le “penne di compleanno” sono state messe all’uso pratico e Giannis ha firmato la più redditizia estensione di contratto della storia della Lega, i Bucks possono approcciarsi al 2020/21 con una minore dose di urgenza di vincere. Ma anche se forse non sarà championship or bust, ci si aspetta comunque che la franchigia di Milwaukee si candidi a tale obiettivo e soprattutto dimostri di non essere “solamente” una squadra da Regular Season, nomea fin troppo familiare per una compagine allenata Mike Budenholzer. Le ultime due campagne ai playoff sono state eufemisticamente al di sotto delle alte aspettative conseguenti allo schieramento in campo di un MVP della lega, specie se affiancato da un supporting cast più che degno. 

Proprio quest’ultimo elemento presenta le maggiori differenze rispetto allo scorso anno. Il playmaker non sarà più Bledsoe ma Jrue Holiday: le ultime stagioni del 29enne sono state le migliori della sua carriera e i pianeti si sono allineati per regalargli una grande occasione. La sua versatilità difensiva sarà utile a confermare la difesa dei Bucks come la migliore del campionato, ma potrà soprattutto fornire nuove opzioni – specie nel gioco a due – ad un attacco che si è mostrato fin troppo stagnante rispetto alle penetrazioni di Antetokounmpo e agli scarichi sui tiratori. In tal senso è da inquadrare l’ingaggio di Bobby Portis, stretch four versatile che può essere un valido comprimario se eviterà flagrant e sberle ai compagni. Se Brook Lopez, fresco di nomina nel secondo quintetto difensivo, e Khris Middleton, leader vocale e garante degli equilibri tattici della squadra, sono due certezze, “Playoff Pat” Connaughton è stato una piacevole sorpresa nella scorsa stagione e può dare profondità al reparto esterni, mentre DJ Augustin è una known commodity.  

Una piccola incognita è rappresentata da Di Vincenzo: “Big Ragù” partirà titolare e avrà la possibilità di mostrare  di che “pasta” è fatto, continuando il percorso di crescita delle ultime due stagioni. In attesa del passaporto italiano…


(Ok il midrange, ma anche la dab è da migliorare bro)

 


O V E S T

 

#15

E poi: Trevor Ariza, Moses Brown, Josh Hall, Frank Jackson, Ty Jerome, Darius Miller, Isaiah Roby, Kenrich Williams. Allenatore: Mark Daigneault

di Roberto Gennari

L’obiettivo vero di Sam Presti deve essere quello di avere un intero primo giro del draft NBA a disposizione, altrimenti non si spiega. O meglio: era chiaro che una volta partito Chris Paul l’unica cosa sensata da fare fosse smontare il giocattolo per intero, ma ecco, presentarsi ai nastri di partenza con il pur ottimo Shai Gilgeous-Alexander, due giocatori ancora da formare come Dort (commovente in single coverage su Harden nella serie playoff tra Rockets e Thunder) e Bazley e tre veterani che non sono reduci dal Dream Team come Hill, Ariza e Horford, fa capire come quest’anno le ambizioni di tornare ai playoff per i Thunder siano più magre di una dieta iperproteica del dottor Nowzaradan. Certo, ci sono anche l’ex Villeurbanne Théo Maledon e il prospetto già visto in Eurolega Aleksej Pokusevski, ma così come per Dort e Bazley, siamo sempre nel campo del “futuribile, speriamo”. L’obiettivo a lungo termine è abbastanza chiaro: non restare col salary cap impantanato e costruire la squadra attraverso le scelte ai draft. Quello per la stagione 2020-2021, poi, è ancor più chiaro, anzi, lampante: lacrime, sangue e sudore.

(qui un poco più che diciassettenne Pokusevski segna il suo primo punto in Eurolega, e subito dopo viene coperto di coppini come nella miglior tradizione minors)

 

#14

E poi: Ed Davis, Ashton Hagans, Jaden McDaniels, Jordan McLaughlin, Jaylen Nowell, Jarred Vanderbilt. Allenatore: Ryan Saunders

di Roberto Gennari

Hanno avuto la prima scelta assoluta in un draft dove non sembrava ci fossero dei Tim Duncan o dei Michael Jordan da pescare. Sono andati su Anthony Edwards, sperando che gli scout avessero ragione quando lo comparavano a Donovan Mitchell e Dwyane Wade. Il problema, casomai, è che non lo sarà da subito: nella sua stagione collegiale si sono visti lampi di classe purissima, alternati a momenti di amnesia difensiva e un decision making tutto da costruire. Il problema per lui è che arriva in un contesto di per sé già non facilissimo: Karl-Anthony Towns deve ancora dimostrare al mondo del basket di non essere solo uno stat padder, D’Angelo Russell di non essere solo una points guard, Beasley, beh, Beasley deve dimostrare un po’ di tutto.

La mossa di richiamare Ricky Rubio, invece, è molto sensata, perché conosce l’ambiente ed è molto più maturo di quando se n’è andato, e con Juancho Hernangomez forma un asse spagnolo quantomeno affidabile. Tramite trade, infine, è arrivato anche Ed Davis a dar manforte sotto le plance: il suo impiego ai Jazz è stato scarno anzichenò, e spera di potersi rilanciare in un contesto dove le aspettative di fare i playoff sono praticamente nulle, con buona pace di coach Saunders.

(Dal minuto 6:25 in poi: NON state vedendo Jimmy Butler in difesa, ecco)

 

#13

E poi: Kyle Guy, Justin James, DaQuan Jeffries, Chimezie Metu, Cory Joseph, Jahmi’us Ramsey, Glenn Robinson III, Robert Woodard II. Allenatore: Luke Walton

di Davide Romeo

A dimostrazione che una delle forze più potenti a governare l’entropia del nostro universo è l’ironia, l’ultimo anno in cui i Kings sono arrivati ai playoff è stato il primo in cui uno dei loro più grandi rimpianti muoveva i primi passi nella pallacanestro organizzata. L’uomo che snobbò Luka Doncic in quel fatidico draft di due anni fa – un altro grande slavo della pallacanestro, Vlade Divac – ha terminato il suo mediocre mandato da GM senza riuscire a rendere la squadra in grado di lottare anche solo per l’ottavo slot ai playoff. La sfortuna ci ha messo del suo: l’uomo che fu preferito allo sloveno, Marvin Bagley, è ad oggi ancora un’incognita. Il ragazzo aveva fatto vedere cose buone, pur non straordinarie, nel suo anno da rookie, ma un repentino infortunio nella scorsa stagione impedisce di valutare quale possa essere il suo impatto effettivo nel reparto lunghi dei Kings ora che aspira ad un posto da titolare. Dovrà contendere tale posto a Bjelica, che ha appena disputato la sua miglior stagione sul suolo americano a suon di triple dagli angoli. 

Harrison Barnes, una superstar mancata, e Jabari Parker, un talento di cristallo, avranno minutaggi consistenti tra le ali. L’ingaggio di Whiteside aggiunge ulteriore peso (ma non neuroni) ad un frontcourt che ha rappresentato il punto debole dello scorso anno e mette pressione ad Holmes che probabilmente non sarà più titolare. 

Il backcourt è forse la miglior risorsa della squadra: De’Aaron Fox, fresco di rinnovo, è il leader indiscusso e punta a diventare un All Star in tempi brevi, Buddy Hield non è diventato l’erede di Steph Curry come qualcuno sperava ma rimane un solido tiratore con una ventina di punti nelle mani. A questo duo si aggiunge ora Tyrese Haliburton, un facilitatore che può ricoprire entrambi i ruoli sugli esterni e ha le leve per diventare un buon difensore, cui fanno da contrappeso un fisico esile e un tiro decisamente migliorabile. 

In generale, la squadra non pare ancora pronta per competere nel solito, agguerritissimo, Ovest ma ha troppo talento per non provarci: i playoff non sono dunque un obiettivo ma una, pur lontana, possibilità. 


Raccapricciante testimonianza audiovisiva dei crimini di guerra cui sono costretti i rookie dei Kings

 

#12

E poi: Keita Bates-Diop, Drew Eubanks, Keldon Johnson, Tre Jones, Luka Samanic, Quinndary Weatherspoon. Allenatore: Gregg Popovich

di Giorgio Barbareschi

Gli Spurs di oggi (e Popovich, che della franchigia ne è l’immagine indissolubile) assomigliano a un vecchio leone che cammina nella savana con passo ormai lento e a cui tutti guardano ancora con rispetto, ma che viene ormai escluso dal branco al momento di spartirsi le parti migliori della preda. Terminata l’epoca dei Big Three e dei 22 anni consecutivi di approdo alla postseason, i texani hanno infatti imboccato un viale del tramonto che sono destinati a percorrere ancora per un po’.

DeRozan, Gay, Aldridge e Mills sono veterani a libro paga per circa 80 milioni complessivi, ma sono tutti e tre in scadenza e nella prossima offseason libereranno parecchio spazio salariale. Il problema sarà come riempirlo perché, per quanto la passione locale resti forte, in termini NBA San Antonio non è certo un mercato di primo piano e il River Walk non assomiglia granchè al Sunset Boulevard di L.A.

Possibile che uno o più dei nomi di cui sopra venga inserito in qualche trade con squadre in modalità win now, in cambio di giovani prospetti o pick future su cui ricostruire. Anche perchè in casa non è che ci sia granchè: Jakob Pöltl non sembra progredire più di tanto (seppur recente destinatario di un rinnovo da 26 milioni per i prossimi tre anni), le prime due stagioni NBA di Lonnie Walker sono state quantomeno deludenti e per Dejounte Murray c’è da sperare che la rottura del legamento crociato non lasci strascichi in un giocatore che faceva dell’esplosività la sua migliore caratteristica.

Dal draft sono arrivati Tre Jones e soprattutto Devin Vessel, straordinario difensore sugli esterni per il quale Pop potrebbe fare un’eccezione alla regola che lo vede panchinare senza pietà i giocatori al primo anno. Ma non ci metteremmo comunque la mano sul fuoco.

Quantomeno Walker ha deciso di tagliarsi quell’orrendo cespuglio che aveva in testa…

 

#11

E poi: Grayson Allen, Tyus Jones, John Konchar, Sean McDermott, Jontay Porter, Killian Tillie, Xavier Tillman Sr. Allenatore: Taylor Jenkins

di Matteo Soragna

Taylor Jenkins ha portato una squadra giovanissima a giocarsi i play-in nella bolla di Orlando, non ottenendo il pass per i suoi primi playoff da capo allenatore anche a causa dell’infortunio di Jarren Jackson. 

Memphis ci proverà quest’anno con ancora uno dei roster più giovani, guidati dal Rookie of the Year Ja Morant, uno dei giocatori più elettrizzanti e aggressivi dell’Nba (getto le carte in tavola e confesso che è uno dei miei preferiti) chiamato a migliorare il tiro da fuori e a scegliere un nuovo giocatore da saltare e schiacciargli in testa e, appena tornerà dopo l’intervento al menisco, da Jackson che ha mostrato talento, varietà di soluzioni e continuità nella passata stagione.

Dillon Brooks porterà come al solito canestri in quantità così come Valanciunas sarà solido in attacco (un po’ meno in difesa) e a rimbalzo.

La panchina, soprattutto con Clarke, Melton (fresco di estensione) e Jones, dovrà confermare quello che ha fatto la scorsa stagione, quando spesso creava parziali e vinceva il confronto con i pari quintetti.

La chiave può essere Justise Winslow, l’anno scorso ha giocato solo undici partite ma per il ruolo che occupa, l’età (ancora solo 24 anni) e le caratteristiche lo rendono una delle addizioni più importanti per questa stagione. 

La foto che racchiude il 2020. Nel senso che il 2020 è rappresentato da Kevin Love. – foto Espn

 

#10

E poi: Wenyen Gabriel, Willy Hernangomez, Kira Lewis Jr., Will Magnay, Naji Marshall, Sindarius Thornwell. Allenatore: Stan Van Gundy

di Matteo Soragna

I Pelicans partono per il nuovo progetto da Stan Van Gundy e la sua mentalità difensiva e dalla rinuncia a Jrue Holiday. Va da sé che le fortune sia economiche che sul campo di New Orleans passeranno da Zion Williamson e le sue condizioni fisiche, l’ex Duke l’anno scorso ha giocato solo ventiquattro partite. In pre season ha fatto rivedere che fisicamente e come energia domina chiunque: quando sarà in grado di allontanarsi dal ferro cambierà l’Nba.

Brandon Ingram, fresco di estensione meritata dopo aver vinto il premio di giocatore più migliorato, gestirà la maggior parte degli attacchi e cercherà di confermare le statistiche già ottime della stagione precedente (alla voce assist dovrà dedicare molte energie).

Lonzo Ball e Eric Bledsoe garantiscono entrambi fisicità in difesa, in attacco il primo deve trovare solidità nel tiro da fuori (con la tecnica definitivamente messa a posto) e continuerà ad essere un ottimo passatore, Bledsoe terrà il ritmo alto in transizione (tenendo fede alla tendenza dei Pelicans negli ultimi anni).

Sotto canestro Steven Adams (rimbalzi e blocchi granitici) e Jaxson Hayes (PnR e transizione) offrono caratteristiche diverse ma per entrambi si pone la domanda della convivenza nei quintetti con Williamson, non potendo aprire il campo con il tiro da fuori.

Qui potrà trovare più spazio il nostro Nik Melli, che con il suo QI, la capacità di passare la palla e il tiro da fuori, sarà pedina fondamentale nei diversi assetti. Sperando che la gestione di Van Gundy sia differente da quella di Gentry che non ha dato molte certezze e continuità di lavoro al prodotto di Reggio Emilia.

Gli obiettivi saranno un posto nei playoff e la salute di Zion.

 

 

#9

E poi: Tyson Chandler, Thabo Sefolosha, Jae’Sean Tate, Sterling Brown, Bruno Caboclo, Mason Jones, Kenyon Martin Jr., David Nwaba, Brodric Thomas. Allenatore: Stephen Silas

di Giorgio Barbareschi

Il ciclo degli Houston Rockets, la franchigia che più di tutte è andata vicina a spodestare la squadra più forte di questo secolo, è giunto al capolinea. Della squadra che è andata a un bicipite femorale di distanza (e 27 tiri da 3 sbagliati di seguito) dall’eliminare l’Invincibile Armata dei Golden State Warriors targati Curry-Thompson-Iguodala-Durant-Green, restano praticamente solo P.J. Tucker e James Harden, entrambi tra l’altro non particolarmente contenti della cosa.

Il primo non ha gradito il braccino corto della dirigenza texana nelle trattative di rinnovo del suo contratto e non si è presentato per la trasferta di preseason a Chicago. Il secondo ha prima saltato diversi allenamenti, preferendo spendere il suo tempo a festeggiare nei night club (e contraendo il Covid, tanto per gradire), poi si è presentato alla prima gara con un’apparente pancetta da minors che ha subito fatto scatenare l’indignazione popolare. 

Che poi magari aveva solo addosso qualche sottomaglia in più, ma perché rovinare una bella storia con la verità?

Harden ha espressamente dichiarato alla dirigenza che vuole essere ceduto a una contender e ha indicato come papabili destinazioni Milwaukee (praticamente impossibile), i Nets (che lo prenderebbero anche, ma non sembrano avere giocatori che interessino ai Rockets), gli Heat (ma il Barba non sembra essere il prototipo del giocatore che piace a Riley) e i più abbordabili Philadelphia 76ers, che avrebbero giocatori e scelte per imbastire una contropartita. Al momento Daryl Morey (toh, chi si rivede) si rifiuta di includere Ben Simmons nella trattativa e per ora non si muove niente, ma non è detto che la cosa duri a lungo.

A condire un ambiente che si prospetta complesso da gestire per il nuovo (ed esordiente) coach Stephen Silas ci sono anche l’arrivo del lungodegente John Wall, che non gioca una partita da quando i Beatles suonavano nei pub di Liverpool, e del sempre tranquillissimo DeMarcus Cousins. Per il resto un gruppo di mestieranti e giocatori di seconda fascia, la maggior parte dei quali non hanno idea di quante lettere compongano la parola D-I-F-E-S-A. Auguri di cuore.

 

#8

E poi: Langston Galloway, Ty-Shon Alexander, Damian Jones, Abdel Nader, Cameron Payne, Jalen Smith. Allenatore: Monty Williams

di Marco Munno

Dopo anni nei bassifondi della Western Conference, finalmente i Suns si presentano ai nastri di partenza della stagione con la concreta possibilità di tornare ai playoff, che in Arizona mancano da un decennio. Il duo composto da gm (James Jones) e coach (Monty Williams) ha posto ottime basi durante la scorsa stagione, nonostante i diversi ostacoli incontrati: dalle tante facce nuove a roster, alle 25 gare di sospensione di Ayton fino ai vari infortuni patiti da membri importanti della rotazione nel corso dell’annata sportiva. Un’annata sportiva chiusa in crescendo: non è arrivata la qualificazione alla postseason, ma quanto fatto nella bolla di Disney World (ovvero un percorso di 8 vittorie su 8 incontri disputati) ha mostrato quanto il tentativo di definire un core giovane, ma dalle chiare gerarchie per il team, stia funzionando.

Al fianco della stella Devin Booker e dei suoi sodali DeAndre Ayton, Mikal Bridges e Cameron Johnson è stata messa esperienza: quella di Chris Paul, reduce dall’ottima stagione da leader di un gruppo giovane ai Thunder, è stato il profilo individuato per far compiere alla squadra un ulteriore salto di qualità. Il sacrificio di Ricky Rubio e di Kelly Oubre Jr. (comunque assente nella bolla), resosi necessario per portare CP3 a bordo, è stato comunque ammortizzato dall’aggiunta di un altro veterano come Jae Crowder; inoltre, E’Twaun Moore e Langston Galloway insieme al confermato Dario Šarić danno profondità ad una panchina anello debole nella scorsa annata per la poca profondità.

La concorrenza ad Ovest per non chiudere la stagione a fine stagione regolare non è poca: ma la candidatura dei Suns per un posto nella postseason appare più che solida.

(I Suns ripartono dallo splendido discorso di coach Monty Williams al termine dell’ultima partita giocata nella bolla)

 

#7

E poi: Zach Collins, Keljin Blevins, CJ Elleby, Nassir Little, Anfernee Simons. Allenatore: Terry Stotts

di Matteo Soragna

Se è vero che da sette stagioni vanno ai playoff, è vero anche che il miglior risultato è stata la finale di Conference del 2019 e per quattro volte sono usciti al primo turno. La sensazione è che questo gruppo, pur essendo costante, non possa andare oltre un certo standard.

Damian Lillard nelle otto partite che hanno portando i Blazers a giocare la post season in Florida ha portato a casa quasi 38 punti e quasi 10 assist di media e ha comunque chiuso la stagione a 30+8 con il 40% da 3. Niente fa pensare che non possa ripetersi anche quest’anno.

CJ McCollum ha giurato amore eterno alla franchigia dell’Oregon e allo stesso Lillard, rinforzando il legame che fa della coppia una delle più eleganti, talentuose e produttive del reparto guardie Nba.

Jusuf Nurkic dopo il terribile infortunio alla gamba che lo ha tenuto fuori un anno ha giocato una stagione molto incoraggiante, che è servita anche per ritrovare il ritmo.

A grande richiesta c’è stata la conferma di Carmelo Anthony che, a quanto pare, accetterà di partire dalla panca per il bene della squadra. Convington dopo l’esperienza a Houston e Kanter di ritorno da Boston porteranno esperienza e solidità, in difesa e per aprire il campo il primo, in attacco il secondo.

Gary Trent Jr. nei seeding games ha tirato da tre punti con percentuali senza senso, interessante vedere la sua capacità uscendo dalla panchina di essere un giocatore che si accende subito.

Il punto di domanda riguarderà le condizioni fisiche di Zach Collins e Rodney Hood, giocatori importantissimi negli equilibri della squadra ma che nell’ultimo anno hanno passato più tempo in infermeria che in campo.

Ehm scusate, intendevo dire Robin Hood.

 

#6

E poi: Marquese Chriss, Damion Lee, Nico Mannion, Mychal Mulder, Alen Smailagic, Klay Thompson. Allenatore: Steve Kerr

di Marco Munno

Dopo le sfortunate Finals 2019, i Warriors hanno passato tutta la scorsa annata sportiva in attesa del riscatto: perso Durant in direzione Brooklyn, perso Klay Thompson per l’intera stagione 2019/20 per la rottura del legamento crociato, perso dopo 4 partite anche Steph Curry per la frattura della mano, qualsiasi velleità di ritornare a svettare nella piramide della NBA era stata temporaneamente messa in soffitta.

Nel frattempo, sono stati valutati alcuni ragazzi in vista di un loro inserimento nel ciclo successivo, ancora centrato sul trio Curry-Green-Thompson, come Eric Paschall, Marquese Chriss e Wiggins (ottenuto per D’Angelo Russell, solo di passaggio nella Baia). Inoltre, con la seconda scelta assoluta, hanno avuto l’opportunità di un’ottima pesca al Draft 2020 (e, insomma, al draft nell’ultima decina d’anni ai Warriors ci hanno saputo fare): dopo anni passati giocando sempre meno con un centro di riferimento, la selezione è ricaduta proprio su un ragazzo che potesse nei piani futuri fare il titolare in quella posizione come James Wiseman (a cui Kevon Looney, altro reduce del precedente ciclo dei Warriors, terrà presumibilmente il posto in caldo durante il periodo di ambientamento nella Lega). A metà novembre è arrivata però la doccia fredda: rottura del tendine d’Achille per Klay Thompson, che di conseguenza sarà fuori gioco per un’altra stagione.

Kelly Oubre Jr., arrivato per prenderne il posto in quintetto, avrà il difficile compito di non farlo rimpiangere troppo dopo le buone cose mostrate a Phoenix; inoltre, Wiggins sarà chiamato a mostrare finalmente di non essere solo un realizzatore fine a sé stesso. Insomma, l’ambizione di tornare subito ai vertici per la banda di coach Kerr dovrà essere mitigata; in una Conference dall’elevata competitività media, i Warriors potrebbero fare da mina vagante così come ritrovarsi nuovamente fuori dai playoffs.


(Esordio di Oubre con i Warriors in preseason entrando in campo correndo come Naruto: il limite fra spensieratezza e idiozia è davvero sottile…)

 

#5

E poi: Juwan Morgan, Jarrell Brantley, Trent Forrest, Shaquille Harrison, Elijah Hughes, Miye Oni. Allenatore: Quin Snyder

di Davide Romeo

I 163 milioni a Donovan Mitchell e i 205 a Rudy Gobert sono il prezzo pagato dagli Utah Jazz per assicurarsi le prestazioni dei loro due All Star nel prossimo futuro. Tanto? Troppo? Probabilmente sì, ma d’altronde i giocatori non fanno certo la fila per venire a giocare nel piccolo market di Salt Lake City: quando capita di averne un paio bravini per le mani – come la guardia che ha viaggiato a 36 di media nell’ultima serie di playoff disputata, e il miglior difensore degli ultimi due anni – bisogna tenerseli stretti. 

La conferma della permanenza degli assets più preziosi della franchigia giunge al termine di una offseason priva di particolari stravolgimenti. 

Derrick Favors è tornato where he belongs, dopo essere stato sacrificato sull’altare di Bogdanovic in ragione della svolta “offensivista” della scorsa stagione. Un esperimento non necessariamente fallito, ma sicuramente non riuscito: un’altra uscita al primo giro e un crollo dei parametri difensivi a fronte di un leggero miglioramento nell’efficienza al tiro e nei punti segnati non erano certamente l’obiettivo che si era posto coach Snyder. Il ritorno dell’ala grande è un fit perfetto, perché il suo apporto difensivo in uscita dalla panca darà anche maggiore profondità ad un roster che è più volte sembrato troppo “corto”.

Non sarà un ritorno alle origini però, bensì un mix tra l’antica mentalità difensiva e la nuova attitudine che li ha resi in grado di giocarsela ad armi pari con le bocche di fuoco dei Nuggets pochi mesi fa.  

Mitchell avrà le chiavi dell’attacco e Gobert sarà il ministro della difesa, come è nell’ordine naturale delle cose. Mike Conley dovrà dimostrare di essere ancora uno dei migliori generali in campo della lega: la prima stagione è stata sicuramente al di sotto delle aspettative. Royce O’Neale può diventare ancora più incisivo in difesa. Bogdanovic ha viaggiato a 20 punti di media ed è probabilmente uno dei venti realizzatori più efficienti della lega, ma non siete ancora pronti per questa conversazione. Joe Ingles in uscita dalla panca è un lusso, ma anche da lui ci si aspetta più continuità. Jordan Clarkson è rimasto: se continuerà a spezzare le partite come nella scorsa stagione sarà in lotta per il titolo di sesto uomo dell’anno – d’altronde dice di ispirarsi a Ginobili (…). Harrison torna da un infortunio alla mano ma ha già impressionato i compagni con la sua difesa. 

L’obiettivo sarà avvicinarsi di nuovo alle 50 vittorie di due anni fa: la chiave per raggiungerlo sarà nel trovare maggiore continuità, perché il talento c’è e si vede. Superare il primo turno, dopo la bolla di Orlando, è un obbligo.

Shaquille Harrison come raffigurazione del 2020 cestistico

 

#4

E poi: Trey Burke, Boban Marjanovic, Tyler Bey, Nate Hinton, Wes Iwundu, James Johnson, Tyrell Terry. Allenatore: Rick Carlisle

di Davide Romeo

Al termine degli scorsi playoff, Mark Cuban aveva twittato che “questo era solo l’inizio”. Noi ci sentiamo di concordare con il pericoloso pazzo milionario che possiede la franchigia texana. Il motivo è semplice, un po’ paffuto e proviene dalla Slovenia. Su Luka Doncic non c’è molto da dire che non sia stato detto, è un talento generazionale che racconteremo ai nostri nipoti durante le World Series di Fortnite. Con buona pace di Marcus Morris, che non sembra essere un suo grande estimatore. 

Con l’imminente ritorno di un Porzingis abile e arruolato avremo la possibilità di assistere al pieno potenziale offensivo dei migliori talenti prodotti dal basket europeo dell’ultimo decennio. Hardaway Jr., archiviate le stagioni newyorkesi all’insegna dell’ inefficienza offensiva, sarà nuovamente chiamato ad un ruolo di terzo violino in cui sembra aver trovato la propria dimensione.

Se mettere la palla dentro al cesto non sarà un problema – anche in virtù dell’abilità di coach Carlisle e della sua “cinque fuori” – la vera sfida per questi Mavericks è rappresentata dal lato difensivo del campo.  

Un upgrade in tal senso sarà fondamentale per ambire a scollinare le cinquanta vittorie: l’innesto di Josh Richardson è chiaramente orientato a tale obiettivo. Così come quello di James Johnson, che sa essere un marcatore arcigno e versatile. Ricordate le sue difese su Lebron di qualche anno fa? 

L’apporto di questi nuovi ingaggi sarà cruciale dato che Burke, Courtney Lee, Cauley-Stein e Kleber sono discreti comprimari ma l’anno scorso hanno potuto poco per contenere i Clippers. 

Boban Marjanovic forse non farà mai la differenza, ma non importa: è patrimonio dell’umanità. 

L’accesso ai playoff è quasi un obbligo, ma se tutti restano sani non dovrebbe rappresentare un problema. Questi Mavs non sono però ancora considerabili una vera e propria contender: possono far bene e sarà certamente un anno in cui acquisiranno consapevolezza del proprio upside. Ma non c’è fretta, non c’è pressione e il futuro sembra roseo.

Nine months into my 2-weeks quarantine break

 

#3

E poi: Vlatko Cancar, PJ Dozier, RJ Hampton, Isaiah Hartenstein, Markus Howard, Zeke Nnaji, Greg Whittington. Allenatore: Michael Malone

di Matteo Soragna

In Colorado si stanno ancora gustando i fantastici playoff giocati da Jamal Murray e si augurano che la stella dei Nuggets abbia quel rendimento con la continuità che non ha mai avuto allo stesso livello nei suoi primi anni nella lega.

La connection con Nikola Jokić gestirà come da tradizione la maggior parte dell’attacco, che è stato il quinto per efficienza, e offre giocate che valgono da sole il prezzo del biglietto (che per ora però nessuno potrà comprare).

Hanno perso Jerami Grant, che stava migliorando anno dopo anno, sostituendolo con JaMychal Green, role player già solido. Importante il ritorno di Will Barton anche se i dubbi sul suo recupero a pieno regime sono legittimi.

Monte Morris da due anni consecutivi esce dalla panchina, produce punti e ha il miglior rapporto assist/palle perse. Insieme a lui è cresciuto nella stagione P.J. Dozier che ha dimostrato carattere e talento uniti ad un fisico che nel suo ruolo può fare la differenza.

L’ago della bilancia potrebbe essere Michael Porter Jr., ha già dimostrato nel suo anno da rookie di poter portare a casa ventelli e rimbalzi, come del resto di non poter difendere nemmeno su Bruno Vespa. Il rapporto con Jokić (ma non solo) non sembra essere idilliaco, con il serbo (ma non solo) che ad ogni errore in difesa e ad ogni forzatura in attacco sbuffa o allarga le braccia.

Attendiamo con ansia gli sviluppi di Bol Bol che ha offerto lampi di talento ma in spezzoni di partite che contavano poco e l’esordio con (speriamo) tanti minuti a disposizione per Facundo Campazzo, che insieme a Jokić potrebbe formare la coppia di passatori più creativa di tutta l’Nba.

Non sappiamo come sarà l’impatto di Campazzo con la NBA. Di certo non avrà paura.

 

#2

E poi: Patrick Patterson, Mfiondu Kabengele, Amir Coffey, Terance Mann, Daniel Oturu, Jay Scrubb. Allenatore: Tyronn Lue

di Marco Munno

Coi due colpi estivi Kawhi Leonard e Paul George, nella scorsa estate i Clippers sembravano essere pronti a spezzare la maledizione che attanaglia la franchigia: due pezzi da 90 andavano a sommarsi a tanti ragazzi messisi in luce nel percorso delle ultime stagioni della squadra losangelina meno blasonata. Con i due migliori giocatori in uscita dalla panchina della Lega (Lou Williams e Montrezl Harrell) e specialisti di livello (Beverley, Morris, Zubac, Shamet, Green) la squadra sembrava avere profondità e solidità intorno alle due stelle così da poter rappresentare la migliore alternativa ai concittadini guidati dal duo LeBron/Davis (se non rappresentare direttamente i favoriti).

Invece, sono esplosi i conflitti interni, che il talento individuale di molti componenti del roster non è riuscito a soffocare. In questa offseason in casa Clippers si sono dovuti raccogliere i cocci, con l’abbandono di Harrell verso i cugini gialloviola e quello di Green verso i Nuggets (ovvero due dirette concorrenti per il primato all’interno della Western Conference) col conseguente (sin troppo) ricco rinnovo contrattuale di Morris (a proposito di teste calde, per non dire quella parola che fa rima con Campazzo). Colpo di coda è stato l’ingaggio di Serge Ibaka, che dovrà colmare il vuoto lasciato da Harrell e portare esperienza da vincente in uno spogliatoio divenuto una polveriera quando pareva vicinissimo alla Terra Promessa. Così come esperienza di vertice dovrà portarla il nuovo coach, Lue: spesso non ha brillato per soluzioni tattiche, ma proprio riuscendo a gestire una presenza forte come quella di LeBron è riuscito in passato a conquistare quell’anello che i losangelini del patron Ballmer agognano.


(A reclutare Ibaka ci ha pensato Leonard, suo compagno ai Raptors, con un paio di sms: le doti di comunicatore di Kawhi prima o poi dovranno essere oggetto di studio)

 

#1

E poi: Quinn Cook, Talen Horton-Tucker, Alfonzo McKinnie, Kostas Antetokounmpo, Devontae Cacok, Jared Dudley. Allenatore: Frank Vogel

di Roberto Gennari

La scimmia dalle spalle è stata tolta, la revenge season completata. Adesso, verrebbe da dire, viene il bello. Già, perché oltre ad aver fatto la cosa più difficile, ovvero vincere quando tutti li aspettavano al varco, nel mercato estivo i gialloviola si sono pure rinforzati.

Se da un lato sono partiti Rajon Rondo, Avery Bradley, Danny Green, Dwight Howard e JaVale McGee, dall’altro sono arrivati Dennis Schroeder, Marc Gasol e Montrezl Harrell, in fuga dai Clippers dove era stato additato come uno dei principali responsabili dell’eliminazione per mano dei Nuggets ma ovviamente contributore di sostanza alla causa.

Se la squadra di coach Vogel ha vinto il titolo soprattutto dimostrando che a un certo punto si tira giù la saracinesca e si fa sudare sangue a tutti per ogni singolo canestro, le acquisizioni estive sembrano ribadire il concetto, con l’unico inevitabile limite di accorciare un po’ le rotazioni. Ah, e poi c’è quel piccolo dettaglio di avere in rosa Anthony Davis e LeBron James. Ok, LeBron ha un anno in più, ma se qualcuno ha visto segni di declino fisico negli ultimi playoff, alzi la mano. E no, Alex Caruso non vincerà il titolo di MVP neanche quest’anno.  

Lo sguardo di LeBron nel finale: “fallo un’altra volta e stanotte dormi nel reparto ortopedia”

 


 

Ecco una chicca grafico-statistica da parte del nostro nerd Fabio Fantoni. Nel grafico che segue, con il box in alto a destra, potete selezionare la squadra di cui volete spulciare alcuni dettagli statistici (riferiti alla stagione precedente) rendendo dinamica la vostra esplorazione.

In particolare, sulla base delle due metriche selezionabili per asse x (default salario 2020/21) ed asse y (default PER), abbiamo rappresentato ogni giocatore NBA con un pallino, evidenziando per dimensione e colore verde quelli della squadra selezionata.

Poi, se volete un approfondimento statistico in senso stretto, a fianco degli assi trovate la relativa distribuzione interquantile delle due metriche selezionate, mentre se cercate qualcosa di più immediato nella parte inferiore della visualizzazione avete un veloce recap sui valori puntuali dei giocatori nell’ambito della squadra di interesse.

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